50
Kit
9 agosto 1999
Con quarantott’ore ancora davanti prima della totalità, Ling disse ad alta voce quello che sentivamo tutti: «Questo festival finirà per essere ricordato come il più costoso fallimento della storia».
Aveva ragione. Alti pennoni sventolanti, studiati per fare da segnali in mezzo alla folla, erano sparpagliati su un campo deserto. Sembrava meno il cuore pulsante della controcultura e più un campo da golf su cui alcune persone vestite male e con attrezzature carenti si erano avventurate per sbaglio. Il nostro piccolo chiosco se la cavava bene, soprattutto perché la tenda era una bolla che intrappolava il calore del generatore e del bollitore. Il nostro primo cliente della giornata era ancora qui, fatto da due ore, con i dreadlock untuosi sparpagliati sui materassini come tentacoli.
«Questo tempo ti distrugge», disse Mac. Guardò di traverso me e Ling come se fosse colpa nostra. In quattro ce la cavavamo bene, ma senza Laura non funzionavamo più; tornavo ai vecchi tempi, a reggere il moccolo a Mac e alla sua fiamma della settimana. Noi tre ci eravamo dati sui nervi a vicenda per tutto il giorno, sfogando le reciproche frustrazioni l’uno sull’altro: Mac era arrabbiato per aver perso soldi, io ce l’avevo col tempo, Ling stava finalmente iniziando a capire che Mac non era tanto un tipo molto divertente quanto più un drogato patologico. Da quando eravamo arrivati in Cornovaglia era sempre stato sbronzo o fatto, in preda a una sbornia o ai suoi postumi. La conseguente soluzione delle piccola e delicata Ling era stata quella di cercare di assecondare i suoi appetiti. Quel mattino stavano entrambi bevendo tè corretto col whisky. Dopo una dozzina di tazze di tè, io ero completamente andato e pisciavo cannella. Dalle nostre casse proveniva una delicata musica d’ambiente, ma io avevo l’auricolare collegato a una radio portatile e mi sintonizzavo due volte all’ora sulle previsioni del tempo.
«Ce la stiamo cavando molto meglio di tanti altri», dissi, anche se non era così difficile. Jon, il tipo dei burrito organici, era in lacrime mentre i suoi ingredienti ammuffivano e il suo staff si girava i pollici dietro il bancone.
«È tutta colpa tua», disse Mac.
«Cosa?»
«Tu e i tuoi stracazzo di grafici a torta o come diavolo si chiamano, calcolare il sole, farmi venire in Cornovaglia. Saremmo dovuti andare in Turchia come volevo. Metterlo sulla carta di credito».
«È esattamente l’opposto di quanto hai suggerito tu», dissi. «Se ti ricordi, sei stato tu a dire di voler restare in Inghilterra, ecco perché ho passato un’intera settimana a fare quei cazzo di grafici del tempo per te».
«Volevi solo farti figo davanti a Laura. Si è tutta eccitata per il West Country e questa storia del commercio equo solidale e tu ti sei lasciato trascinare».
«Non ha niente a che vedere con Laura e tutto a che vedere con la corrente del Golfo», dissi. «Doveva esserci il sole in Cornovaglia, ma non c’è. Non posso farci nulla».
Era come un segugio che aveva agganciato una traccia. «Sai qual è il tuo problema?».
Mi preparai; aveva così tanto tra cui scegliere.
«Sei il suo zerbino, ti tiene sul palmo della mano. Ora che hai finalmente trovato qualcuno da scoparti, non ti importa di altro».
Mi sentii sbiancare, anche se Ling interpretò il ragionamento di Mac come una battuta. La sua risata era di quel genere caloroso e spontaneo che deriva da un divertimento genuino più che del tipo imbarazzato e pieno di compatimento di qualcuno che ha appena sentito una scomoda verità fatta passare per scherzo.
«’Fanculo!», mormorai in direzione di Mac, quando Ling mi voltò le spalle. Alzò le mani in un gesto di scuse che era finto solo in parte; persino lui si era reso conto di essersi spinto oltre. Mi allontanai, tremando per quanto ci fosse mancato poco. Mac sapeva, era il solo a sapere, che Laura era l’unica donna con cui fossi stato a letto. La pietra miliare dei miei ventun anni di verginità mi era finalmente stata tolta dal collo con impaccio quella notte nel suo gelido appartamento. Mi viene quasi da ridere, adesso, al pensiero che un tempo questo era il mio più oscuro e profondo segreto. Resto sveglio la notte e desidero ritornare a essere un verginello ventunenne. Non si è mai lasciato sfuggire una chance di sfottermi a riguardo – «Ero certo che ti saresti sistemato con la prima ragazza che ti ha fatto vedere le tette» – ma sempre in privato; per lui era più divertente farmi pendere quel segreto sopra la testa che rivelarlo a tutti e sprecarlo. Non si era mai avvicinato tanto a lasciarselo sfuggire, e persino davanti a Ling. Avrei voluto prenderlo a cinghiate, ma invece di dire qualcosa che ci portasse ancora più in là su questa strada, optai per il silenzio e uno sguardo velenoso che gli rimbalzò addosso come un’antenna satellitare rotta; era già passato all’argomento successivo.
«Se anche non faremo nemmeno un po’ di soldi, possiamo sempre movimentare le cose», disse. Si era già portato la mano alla tasca, aveva già preso la sua decisione. Ebbi un mancamento quando ne tirò fuori una serie di pezzi di carta perforata con i simboli delle carte da gioco: quadri, picche, cuori e fiori. Strappò un piccolo quadratino e lo mise sulla lingua di Ling.
«No, grazie», dissi, quando mi porse un francobollo, grande quanto la punta del suo dito, con sopra il simbolo dei quadri. Non avrei avuto niente a che fare con l’LSD. Negli anni avevo assistito a pessimi trip, e se era così dall’esterno col cazzo che volevo scoprire come sarebbe stato dall’interno.
«Sei un tale sfigato».
«Se lo dici tu». Mac pensava che chiunque volesse trascorrere più di un giorno da sobrio o senza farsi fosse un puritano. Se anche nel mio caso fosse stato vero, era tutto cambiato dopo aver incontrato Laura. Dividere con lei una pasticca di ecstasy ci aveva avvicinati ancora di più: ci aveva dato l’accesso alla mente dell’altro con la stessa facilità con cui aveva aperto i nostri corpi. Il problema non erano le droghe, ma Mac. Non c’era alcuna esperienza condivisa con lui: quale che fosse lo stimolo, era sempre il suo trip, e voleva solo che gli altri gli tenessero compagnia durante il viaggio per giustificare i propri eccessi.
Alzò gli occhi al cielo. «Ok, consideralo un sacrificio per la squadra», disse, cambiando tono. «Ci preparo un altro tè».
«Non per me», dissi, ma immerse lo stesso una bustina in una tazza con un sorriso così gentile da farmi diventare immediatamente sospettoso. Ha intenzione di metterci dentro qualcosa, pensai. Accarezzai l’idea di accettare per poi rovesciarglielo addosso. Controllai l’orologio; mancavano altre ventiquattr’ore all’arrivo di Laura.
«Sai che ti dico?», dissi. «Posso gestirlo da solo il chiosco, voi andate a divertirvi».
Vidi la mano di Mac soffermarsi sopra la tazza come l’assassino in un film di Agatha Christie. Poi si rimise in tasca la pasticca.
«Grazie, fratello».
Li guardai allontanarsi e gli augurai un trip orribile. Sperai che vedesse il viso di Ling sciogliersi, rivelando il teschio al di sotto.
C’era abbastanza lavoro da far passare in fretta il tempo. Il sole freddo calò e partì la musica; il rimbombo del basso mi squassava le costole. Comprai un’enchilada da Burrito Jon, perché mi faceva pena, e la mangiai ascoltando le previsioni del tempo su Radio 4, borbottando alternativamente per il tempo, mio fratello e la mia patetica esperienza sessuale.
Tutte le eclissi erano importanti, ma questa lo era in modo particolare. Volevo che Laura sperimentasse appieno tutto lo stupore del fenomeno. Mi aveva mostrato così tanto e questa era la mia opportunità per lasciare che fosse lei a entrare nel mio mondo. Tutto doveva essere perfetto.
A mezzanotte ogni palco si spense e iniziarono i falò. All’una stavo pensando di chiudere, ma il nostro amico dai capelli unti tornò barcollando verso il chiosco. Le cornee iniettate di sangue incorniciavano due pupille ridotte a capocchie di spillo.
«Scusa», dissi. «Sto chiudendo, amico».
Non ero cresciuto nel genere di famiglia in cui si chiamava la gente “amico” e non ero mai stato in grado di suonare convincente.
«Facci un tè», ordinò l’hippy. «Semplice, niente di strambo». Aveva riconosciuto in me i difetti che infastidivano tanto Mac; la mia obbedienza non fece che confermarli. Gli passai la tazza. Sul bancone c’era anche una scodellina (elegante, marrone, irregolare) di zollette di zucchero. Ci ficcò dentro la mano sporca e ne mangiò una manciata.
«Per favore, non farlo», dissi. «Dovremo buttarle via».
Rise e i suoi denti erano dello stesso colore dello zucchero di canna.
«Alla salute», disse e se ne andò, portandosi dietro la tazza gialla, che diedi per persa, insieme alla scodellina di zucchero che rovesciai nel cestino e alla sterlina che avrei dovuto farmi pagare. «Coglione!», mi gridò dietro, a mo’ di saluto.
Sentendomi alto quanto Pollicino, mischiai l’acqua calda del bollitore con quella fredda del rubinetto nel lavello per sciacquare le tazze. Avevo iniziato da cinque minuti quando mi resi conto che qualcuno mi stava osservando.
«È tua?». Una tazza gialla fluttuava nell’aria all’altezza del petto; dietro c’era una ragazza con i capelli neri ricci, la pelle bianca e un viso piccolo a forma di cuore. «Un hippy disgustoso l’ha buttata a terra e mi ha colpito una gamba. Non so perché sia un tale coglione, forse dipende dall’eclissi. Sarà colpa di una congiunzione astrale, di Mercurio retrogrado o delle linee temporanee».
«No, credo dipenda dal fatto che ci sono parecchi acidi in circolazione», dissi. Rise e le uscì del vapore dalla bocca. Mi porse la tazza e l’affondai nell’acqua saponosa.
«Gradirei un tè, per favore. Senza zucchero, ma con molto latte».
E tanti saluti all’idea di chiudere. «Arriva subito», dissi.
«È questo il problema con gli hippy», disse, mentre immergevo la bustina del tè. «Fanno sempre l’esatto opposto di quello che dovrebbero rappresentare. Pace e amore un paio di palle. Ok, non tutti. Sono sicura che tu sia il ritratto dell’onestà. Ma alcune delle persone più pigre e violente che ho mai conosciuto hanno appeso al collo un distintivo per il disarmo nucleare o si sono fatti quel tatuaggio indù che hanno tutti». Avrebbe potuto descrivere Mac. Quando finalmente quella verità a lungo conosciuta venne espressa ad alta voce, ebbi l’impressione che mi si accendesse una lampadina.
«Hai fatto tutto il circuito quest’anno?», disse. «Non ti ho mai visto prima».
«Il circuito?»
«Dei festival, è quello che faccio anch’io. Lavoretti pagati in contanti durante le vacanze. Ne ho girati così tanti nelle ultime estati che sto iniziando a riconoscere le facce. Quel tipo dei burrito laggiù, sono certa di averlo visto a Phoenix l’altr’anno».
«Può darsi», dissi, notando solo in quel momento che Burrito Jon aveva chiuso per la notte. «È la prima volta che facciamo qualcosa del genere. In realtà l’idea è stata di mio fratello, cercavamo solo un sistema per vedere l’eclissi guadagnandoci sopra qualcosa».
«E ha funzionato?»
«Abbiamo perso soldi a venire qui».
«Non mi meraviglia che non riesca a trovare un impiego. C’è un eccesso di offerta. Un mercato del lavoro stravolto. Sono una povera vittima del capitalismo». Rise di nuovo. «Questo tè è buono».
Sorrisi. «È strano andare da sola a un festival?»
«Non avrei voluto. In genere convinco sempre qualcuno ad accompagnarmi, ma quest’anno agosto è un mese strano perché la maggior parte dei miei amici sono andati a lavorare a Ibiza per l’estate. Un paio di persone che conosco guarderanno l’eclissi nel Devon, forse sarei dovuta andare con loro». La brezza scuote gli alberi, facendo tintinnare le campane eoliche. «È strano qui, vero? C’è quasi qualcosa di sinistro. Non è solo la mancanza di gente, ma il modo in cui è stato organizzato. In genere c’è solo un grosso campo o dei campi con alcune siepi, ma qui c’è proprio boscaglia, macchie di alberi. Ci sarebbe poco da sorprendersi, imbattendosi in un orco o in Cappuccetto Rosso». Anche lei sembrava uscita da una fiaba, con quella pelle innaturalmente bianca. «Sono Beth, comunque».
«Kit». La mano che strinsi era morbida, come se l’avesse affondata nel miele, così diversa dalle lunghe dita sottili di Laura che quasi mi si mozzò il respiro; non potevo ignorare la scarica elettrica di desiderio che avvertii e mi staccai da lei, spezzando il contatto.
«Siete solo tu e tuo fratello?», mi chiese diretta, ma la mano mi formicolava ancora dove mi aveva toccato. All’improvviso, mi resi conto di quanto fossimo isolati. Mi sembra di essere in uno di quei vecchi film, con un angelo sulla spalla destra a rappresentare la voce della mia coscienza e un diavolo sulla sinistra, una piccola incarnazione rossa del mio sé animale. Dille di Laura, sussurrò l’angelo. Diglielo subito.
Glissai sulla domanda. «Al momento sta avendo un trip con la sua ragazza. Meglio soli che insieme a qualcuno in preda alle allucinazioni».
Beth fece una smorfia. «Già, gli acidi non sono fanno neanche per me. Non da Glastonbury ’94 e le croci infuocate che calavano su di me in mezzo al campo». Rabbrividì. «I festival non sono il posto ideale in cui perdere la testa». Tamburellò con le dita sulla tazza. «Quindi cosa fai quando non sei qui?»
«Sono appena uscito da Oxford e sto per iniziare il dottorato in astrofisica».
«L’altro giorno ho letto che sempre più fisici sono religiosi», disse. «A quanto pare tutti gli altri scienziati sono atei, ma rispetto a qualunque altra disciplina, tra i fisici, quelli che trascorrono realmente del tempo a contemplare le vastità dell’universo, c’è un numero maggiore di credenti. Ho pensato che fosse molto interessante». Non ho idea di quale espressione avessi, ma lei sorrise ancora. «Scusami, sto parlando troppo. È solo che è la prima conversazione intelligente che faccio da due giorni a questa parte».
«Anch’io», dissi, ed ero sincero. Parlare con Beth mi veniva naturale. Capiva tutte le mie battute e io le sue. Ci scambiammo aneddoti di viaggio; le raccontai tutto di me, tranne l’unica cosa importante. Diglielo, mi esortò l’angelo. Dille di Laura, dille che hai una ragazza. Il diavolo si limitò ad appoggiarsi al forcone e sogghignare. Alzai gli occhi al cielo: ancora niente stelle.
«Non promette bene per domani, eh?», disse Beth.
«Le nuvole coprono tutto il West Country», risposi. «Ma magari ci sarà una tregua. Venti forti, non si può mai sapere».
«A proposito, in questo momento fa molto freddo», disse. «Non c’è uno spazio al chiuso? Vorrei continuare a chiacchierare, ma sto diventando cianotica».
«Certo». La mia voce, notai, era regredita di anni; ero un adolescente impacciato che cercava di fare conversazione con le ragazze in spiaggia. «Potrei chiudere, comunque». Beth mi guardò spegnere l’insegna e chiudermi la tenda alle spalle.
È a quel punto che imparai la differenza tra contemplare e agire. Stavo riflettendo sulla logistica: la sacca d’aria calda nella tenda, dove trovare un giaciglio pulito, la sua biancheria, la fibbia della mia cintura. Nel momento in cui si pensa in termini di come, si è già a metà dell’opera.
La zona relax, con le lucine e i tappeti persiani, era un sudicio harem. Con Laura c’era sempre stato amore, ma il desiderio misto a trasgressione aveva il doppio dell’attrattiva. Pensai tra me e me, con la logica inattaccabile dell’arrapato senza speranze, che l’avrei fatto una volta e poi sarei tornato da Laura. Riflettei anche – per quanto la ragione me lo consentisse – che avevo semplicemente rimandato le donne, i nuovi corpi, i rapporti occasionali che spettavano a ogni giovane uomo.
Un sacco a pelo rosso in un angolo era tenuto insieme da una cintura.
«È pulito», dissi e lo aprii. Si srotolò come un tappeto rosso. Beth si sedette a un’estremità, io all’altra.
«Quindi», disse e io sorrisi al rallentatore.
Se avessi saputo a cosa stavo dando il via, l’avrei fatto comunque? Gattonai sul pavimento e la baciai. Sapeva di tè speziato con un retrogusto di legna bruciata. «Sei adorabile», mi disse. Ci spogliammo, gemendo quando le dita ghiacciate sfioravano la pelle calda. Il suo corpo era ricoperto di vernice dorata, soli danzanti che le spalmai sopra i seni. Accarezzai le ali d’angelo sulla sua schiena, come volessi impedirle di prendere il volo. Beth era di una dolcezza arrendevole che minacciava di andare avanti all’infinito e improvvisamente mi ritrovai dentro di lei. Si muoveva piano, con gli occhi e la bocca incollati sui miei. Se non fosse stata un’estranea avrei usato una frase che Laura odiava, avrei detto che stavamo facendo l’amore. Quando stavo per arrivare all’orgasmo, mi trattenne e mi fissò. «Sei adorabile», ripeté, ma questa volta non stava sorridendo. Seppellii il viso nei suoi capelli mentre venivo, e persino il diavolo sulla mia spalla si girò dall’altra parte in preda al disgusto.