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Laura

15 novembre 2003

 

Jamie Balcombe fu rilasciato dopo aver scontato metà della sua pena. Era stato un prigioniero modello per due anni e mezzo; nella biblioteca della prigione aveva insegnato agli altri carcerati a leggere e scrivere. Dopo l’incendio mi aveva scritto ancora una lettera, era venuto a sapere dell’incidente – rabbrividii quando mi resi conto che ci stava tenendo d’occhio – e sperava che la mia esperienza traumatica avesse accresciuto la mia empatia e le probabilità che ritrattassi tutto. Risigillai la busta e la rispedii alla prigione, dicendo che l’indirizzo indicato non esisteva più, e non arrivarono altre lettere. Non so se le autorità l’avessero aperta; se anche fosse, non influì minimamente sulla concessione della libertà vigilata.

La scarcerazione di Jamie mi portò al contempo paura e sollievo.

Paura che in qualche modo avrebbe contattato Kit. Ero sicura che Kit avrebbe creduto alla mia bugia anziché alla verità di uno stupratore condannato, ma restava comunque una bugia, e non una che fossi in grado di ripetere davanti alla persona la cui opinione contava di più per me. E sollievo perché ogni giorno che lui aveva passato in prigione era stato per me come un graffio sulla pelle. Per lo meno adesso era uscito; era solo – solo! – il suo buon nome a essere rimasto infangato.

Non assistemmo a un’altra eclissi totale per cinque anni dopo lo Zambia. Eravamo – be’, io lo ero – troppo spaventati da Beth per andare in Sudafrica nel 2002. L’Antartide nel 2003 poteva benissimo essere distante quanto la luna; il prezzo di sicuro era quello per le nostre capacità economiche, già provate dall’acquisto della casa di Wilbraham Road dell’anno prima, fondato sull’allora diffusissima pratica dell’ipoteca autocertificata.

Continuavamo a inseguire l’ombra, ma senza l’eccitazione dei grandi festival alternativi; al contrario, uscimmo dai radar. Nel 2006, quando la totalità era più visibile sopra la Libia, e il terzo “festival della vita” si tenne in Turchia, assistemmo all’eclissi dalla parte opposta del mondo, in Brasile.

La notte prima del nostro volo, Kit mi sorprese a infilare di nascosto una crema al cortisone e un’intera confezione di Diazepam in una tasca del nostro bagaglio.

«Non dobbiamo farlo», disse, scrutandomi in volto.

«È tutto prenotato e tutto pagato».

Non era esattamente stato tutto pagato, il che era peggio; il viaggio era stato prenotato grazie a carte di credito già a secco. Kit mi sorrise con uno sforzo così evidente che pensai che gli sarebbero scricchiolate le guance.

«Non ha importanza», disse. «Se devi stare male di nuovo, non ne vale la pena». Fui commossa dal tentativo di Kit di convincermi, ma lo conoscevo troppo bene. Viaggi all’estero ed esperienze selvagge e strabilianti avrebbero fatto appello a qualunque uomo più di una moglie nervosa con le croste alle braccia, figuriamoci a Kit, la cui ossessione per la caccia alle eclissi gli scorreva nelle vene da molto prima che mi conoscesse. Quando ero con l’umore a terra, mi preoccupavo che per lui contasse più di me. Quelle date erano inscritte nel suo DNA; erano il suo ultimo legame con il padre. Ce l’avrebbe avuta con me per il resto dei suoi giorni se fossi stata il motivo per cui avrebbe finito per smettere. È colpa mia, sono stati la mia bugia e il mio cattivo giudizio a lasciar entrare Beth. Ed è mia responsabilità gestirne le conseguenze.

«Ma certo che andiamo», dissi. «Non possiamo lasciarla vincere».

«Grazie», disse lui. «So quanto ti è costato dirmelo».

Ne sapeva solo una parte, immagino.

Pernottammo in un albergo modesto e osservammo un’eclissi pulita e perfetta insieme, seduti sul cofano della nostra auto a noleggio, a metà di una collina in cui eravamo gli unici anglofoni nel raggio di chilometri. Quattro minuti e sette secondi di totalità: la luna coprì il sole, creando un gigantesco buco di proiettile su un’enorme tela. Dopo, ci convincemmo che Beth si era rassegnata. Più tardi avremmo scoperto che era stata in Turchia. Nel 2006 YouTube era appena nato e ci sarebbero voluti un altro paio di anni prima che un festaiolo tedesco postasse il video online.

I nostri viaggi successivi furono contaminati a vari livelli dalla mia ansia.

Kit cercò di facilitarmi le cose quando andammo in Cina nel luglio del 2009. Prenotammo un albergo anonimo accanto all’autostrada, l’ultimo posto dove sarebbe venuta a cercarci. Anche così, la settimana prima del viaggio quasi non chiusi occhio. Sapere che avrei dovuto sopportare la scomodità non mi impedì di evitare un attacco di panico in aeroporto e in volo e presi così tanto Valium che Kit fu costretto a trascinarmi di peso giù dall’aereo. Fu l’eclissi tranquilla e monotona – se mai una cosa del genere fosse stata possibile – che mi aveva promesso. Trascorsi la maggior parte del viaggio a guardare Kit armeggiare con l’attrezzatura fotografica vicino all’autostrada.

Per l’eclissi totale del 2010 mi sarebbe tanto piaciuto andare all’enorme festival organizzato sull’Isola di Pasqua, ma Kit sostenne che non valeva la paranoia, perciò assistemmo all’evento a metà delle Ande in Patagonia. Sul fianco montuoso la neve era così secca da sembrare più sabbia che acqua. Kit scattò alcune bellissime foto del cono d’ombra che si allargava sulla distesa bianca. Avrei potuto giurare di non aver distolto per un secondo gli occhi dal cielo durante la totalità, ma la nostra guida m’immortalò mentre mi guardavo alle spalle, quando tutti intorno a me osservavano rapiti con il naso all’insù.

Nel 2012 a Cairns mi sarei dovuta rilassare; sulle spiagge punteggiate di palme della Gold Coast australiana erano attese decine di migliaia di persone, ma c’erano smartphone ovunque ed ero terrorizzata che qualcuno potesse riprenderci come avevano fatto con Beth, perciò indossai un cappello così grande da fare quasi fatica a vedere il sole. Ora, quando guardo la mappa e mi immagino il percorso della totalità di quell’eclissi, mi sembra che metà dell’Australia fosse coperta dall’ombra, e che le probabilità che lei ci trovasse su un’isola così gigantesca erano minime. Non è come adesso, quando l’ombra cade per lo più sopra le acque e tutti sono accalcati su quelle scure isole settentrionali, talmente minuscole che non c’è alcun posto in cui nascondersi davvero.

 

La verità sul caso Beth Taylor
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