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Kit

8 maggio 2000

 

Il mattino del processo mi svegliai con un respiro lungo e affamato d’aria, come se avessi dormito con la faccia affondata nel cuscino. Restai per un momento disorientato al trovarmi in una stanza pacchiana sopra a un pub. Laura dormiva – anche lei in modo irregolare – al mio fianco, l’incarnazione innocente di tutto ciò che rischiavo di perdere. Ci trovavamo nel centro di Truro, ma a giudicare dal silenzio che regnava all’esterno, non si sarebbe detta una città. Dov’erano i camion della nettezza urbana? Le sirene? Le zuffe? Restai sdraiato nel letto della stanza d’albergo, con le pareti a motivi floreali così soffocanti che mi sorprese non aver avuto una reazione allergica da polline, e desiderai tornare a Londra.

Ero agitato all’idea di lasciare mio fratello. La morte di nostro padre era stata una liberazione che sfiorava quasi l’anticlimax; o lo sarebbe stata, se Mac non avesse raccolto il testimone del combinaguai quasi fosse una bottiglia che il vecchio gli aveva messo in mano. Ero in pensiero per lui, ero in pensiero per Ling e la piccola Juno, ma soprattutto ero in pensiero per me stesso.

Fui colto da uno stupido e infantile desiderio nostalgico di una bacchetta magica. Quando ero piccolo e il mio mondo consisteva nella mia famiglia, nel mio telescopio e in una pila di romanzi di Philip K. Dick, fantasticavo costantemente sulle Avventure nel tempo di Kit. Esploravo tutti i consueti sogni, dall’uccidere Hitler al vincere alla lotteria, ma adesso sapevo che, avendo il potere di viaggiare nel tempo, sarei tornato all’agosto precedente e avrei intercettato Beth sulla strada per Capo Lizard. Una momentanea perdita di raziocinio aveva minato la mia sanità mentale; mi recavo una volta al mese in clinica per testare eventuali malattie sessualmente trasmissibili e avevo continuato, in modo ridicolo e superstizioso, anche molto tempo dopo l’eventualità di trasmetter qualsiasi infezione a Laura.

Quel mattino restai a fissare nella penombra il dipinto del naufragio alla parete, domandandomi dove fosse Beth e se avesse dormito. Doveva aver rivissuto la nauseante immagine che continuavo a visualizzare nella mia mente, di Jamie che la penetrava. Il pensiero mi faceva venire voglia di piangere; accanto a me Laura si agitò nel sonno. Le misi una mano sulla spalla finché non si placò.

Mi faceva male il cuore per la speranza che Beth non dicesse nulla della nostra notte insieme.

Sono felice di non aver saputo allora quanto fosse impulsiva, o mi sarebbe venuto un infarto. Non importava quanto duramente potesse perseguirla la difesa, desiderai che ricordasse come il mio sangue freddo nei momenti in cui Laura l’aveva trovata avesse reso possibile quel processo.

Avevo atteso dieci mesi di ricevere la telefonata del tribunale che mi informava di essere al corrente dei miei trascorsi con Beth, che aveva confessato all’ultimo minuto e che tutto l’impianto d’accusa sarebbe crollato come un castello di carte se la difesa di Jamie ci avesse anche solo soffiato sopra. Aspettavo semplicemente che venisse fuori al processo.

Sembravano esserci infinite variabili da prendere in considerazione. Beth avrebbe ceduto e raccontato di me durante il controinterrogatorio? Qualcuno ci aveva visti? Avevano trovato il mio DNA su di lei? Capelli, pelle; eravamo stati incollati l’uno all’altra. Liquido seminale. Ci eravamo entrambi fatti la doccia il giorno successivo, ma i fluidi corporei restavano dentro per giorni. Anche se non ero schedato, ero certo che, se avessero nominato un maschio non identificato, avrei fatto qualcosa che mi avrebbe tradito – con Laura se non con il tribunale. La notte sognavo che la difesa avesse in qualche modo preso un mio tampone mentre dormivo e nel sogno mi chiamavano come testimone a sorpresa, esaminando letteralmente al microscopio la mia infedeltà.

Solo quando fummo tornati in Cornovaglia mi resi conto che trovare tracce di uno sperma diverso da quello di Jamie nel corpo di Beth aveva delle implicazioni anche per lei. Sapevo grazie a Laura che, anche se teoricamente non si doveva giudicare il comportamento “libertino” di una donna, niente avrebbe impedito loro di provarci.

L’insistenza di Laura a restare in tribunale il primo giorno fu una vera e propria tortura.

L’unico elemento a darmi un minimo di sollievo fu il fatto che sembrasse troppo coinvolta dal processo da notare che mi ero chiuso in me stesso; oppure, se l’aveva notato, aveva attribuito il mio strano comportamento a un lutto che in realtà era talmente in basso nella mia lista delle priorità che certe volte mi chiedevo se l’avrei mai affrontato. Ancora adesso non sono del tutto sicuro di esserci riuscito.

Mi sforzai di conversare a proposito del caso, perché non dire niente sarebbe parso sospetto, ma fu come giocare a tennis con le bombe a mano. Cercai di parlare in linea generale, della natura del consenso, ma persino così non ero in grado di dire la cosa giusta. Da quella settimana, mi era sembrato di vivere con un bicchiere colmo d’acqua in equilibrio sopra la testa. È possibile camminare senza rovesciarne nemmeno un goccio se si dedica tutta la propria concentrazione al mantenere l’equilibrio. Ultimamente proteggere Laura è una condizione così interiorizzata che sono in grado di fare l’equivalente emotivo di un balletto o di una capriola senza rovesciarne una goccia, ma all’epoca tutto ciò che facevo era controllato e consapevole, e il risultato era una tensione fisica che mi si palesava sul viso e sulle spalle e che presto era diventata parte del mio corpo tanto quanto la testa o le mani.

Il terzo giorno di processo, quando Fiona Price si alzò per controinterrogarmi, per poco non confessai sul posto per prevenire la torchiatura che ero certo stesse per arrivare, ma mi trattenni e fui ricompensato quando mi resi conto che le sue sconcertanti domande erano indirizzate ad avvalorare la tesi di Jamie di avere avuto della droga nascosta in tasca. Più tardi, fui certo di essermi tradito quando l’avvocato chiese alla dottoressa se avesse trovato dello sperma nel tampone vaginale di Beth e io scattai in avanti quasi fossi stato catapultato dalla sedia. Per la mia mente paranoica equivaleva a una confessione, ma Laura alzò semplicemente gli occhi al cielo e tornò a concentrarsi sulla scena in corso.

 

La verità sul caso Beth Taylor
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