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Laura

21 marzo 2015

 

«Sentite, so che non è facile per nessuna delle due». Il tono persuasivo e ragionevole di Jamie contrasta brutalmente con il coltello che tiene in mano. «Credetemi, non vorrei rivangare il passato più di quanto non lo vogliate voi, ma la gente ha creduto alla vostra storia troppo a lungo, non pensate? È ora che il mio nome venga riabilitato».

«Jamie, tu sai cosa è successo», dice Beth. A quelle parole, lui allenta la presa sul manico per un secondo, il tempo sufficiente a far scivolare la lama di un millimetro in avanti. Lacera la mia maglietta di qualche centimetro e mi fa spuntare una goccia di sangue dalla pancia, sotto il petto. Non posso evitare di urlare, ma al brusco «taci!» di Jamie riesco a soffocare le grida. Continuo comunque a sentirle in bocca, come una falena. Scrivi, ordino telepaticamente a Beth. Scrivi qualsiasi cosa ti dica di scrivere e più estrema è tanto meglio. Ogni bugia che ti costringe a scrivere è solo un’altra munizione per farlo rinchiudere a vita.

Sempre che ne usciamo vive, sussurra una vocina dentro di me.

Il taglio non è profondo, è solo un graffio superficiale. Il sangue e la posizione lo fanno sembrare peggiore di quanto non sia. Sono molto più preoccupata per il colpo alla testa, le orecchie mi stanno ancora fischiando.

Il tessuto della maglietta entra a contatto con la goccia di sangue, che viene assorbita e sembra sbocciare, improvvisa e rapida, come in un video in time-lapse di un papavero che si dischiude. È la macchia che si allarga che sembra far decidere Beth. Prende la penna e liscia il foglio davanti a lei, poi fissa Jamie.

«Perché non mi dici tu cos’è successo davvero», dice con voce tagliente. Jamie non pare cogliere il suo tono, perché sorride. Quando si schiarisce la voce, sento il riverbero sulla punta della lama.

«Il 10 agosto 1999, viaggiavo da sola», sottolinea la parola come se volesse strizzarne fuori un significato allusivo, «diretta a un festival musicale a Capo Lizard, in Cornovaglia, tenuto in concomitanza con un’eclissi totale di sole. C’era un’atmosfera allegra e disinibita al festival». Fa ancora una pausa, questa volta non a effetto, ma per dare a Beth il tempo di scrivere. «La seconda sera, intorno a un falò, ho attaccato bottone con Jamie Balcombe, anche lui in viaggio da solo. Ci siamo intesi all’istante». È la voce che aveva in tribunale, da ragazzo ricco e istruito, che non è stata minimamente inficiata dal soggiorno dietro le sbarre.

Non so se Beth sia consapevole che sta scrollando la testa mentre la sua grafia aguzza riempie la pagina. Sta a malapena guardando le lettere, mentre le scrive. I suoi occhi guizzano dalla carta, a Jamie, al coltello puntato contro la mia pancia.

«Non così in fretta, non stai sostenendo un esame da segretaria». La sua risata gli viene dalla gola, non dalla pancia. «Deve essere leggibile». Beth continua a scrivere allo stesso ritmo, ma in maniera un po’ più chiara. Riesco a sentirla digrignare i denti, uno scricchiolio che mi disturba.

Beth termina il paragrafo e Jamie riprende. «Il mattino dell’eclissi mi sono imbattuta di nuovo in Jamie. Abbiamo deciso di andare a guardarla in un posto un po’ più appartato».

Il piano di Jamie, una volta ottenuta la “confessione” mia e di Beth, dev’essere di portarla alle autorità, e in tal caso è come se si costituisse. Questo nel migliore dei casi; nel peggiore Antonia ha ragione: non ha più niente per cui vivere e vuole solo riabilitare il proprio nome, secondo lui, prima di lasciare questo mondo, e se questo implica il portarci con sé allora non dubito che lo farà.

Ci voltiamo all’unisono quando il mio telefono riproduce la suoneria di Kit. Dev’essere appena sceso dalla metro. Ogni squillo fa vibrare il telefono sul tavolo, allontanandolo un po’ da me; restiamo tutti a guardarlo avvicinarsi al bordo. M’immagino Kit che ignaro di tutto si domanda se mi serva qualcosa da Tesco mentre torna a casa. E se questa fosse la nostra ultima possibilità di parlarci? Se fosse la nostra ultima comunicazione? Il telefono finalmente scivola nello spazio tra il tavolo e la parete, sparendo al tatto e alla vista. Suona ancora un paio di volte, poi cala il silenzio.

Penserà che non gli rispondo perché sto mettendo il broncio per la faccenda dei social media; sembra tutto così meschino alla luce del coltello puntato contro la mia pancia. In questo momento gli perdonerei qualunque cosa.

 

La verità sul caso Beth Taylor
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