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Laura
20 maggio 2000
All’epoca doveva essere facile rintracciarmi. Langrishe è un cognome insolito e non mi sono mai imbattuta casualmente in un mio omonimo. Quando arrivò la lettera, in un’elegante diagonale sul malconcio zerbino davanti all’uscio, capii subito di cosa si trattasse; non solo l’origine, anche se il francobollo della prigione mi rivelò che ora si trovava a Wormwood Scrubs, ma il contenuto. Poteva avere una sola ragione per scrivermi. Aveva usato un foglio di carta legale gialla, a righe – che ironia.
Cara Laura,
ti scrivo dalla mia cella a Wormwood Scrubs. In quella accanto c’è un pedofilo seriale; la scorsa settimana ha minacciato una delle guardie donne della prigione con una lama di rasoio incastrata in un vecchio manico da spazzolino. Questa è la mia vita, ora. Questo è il genere di uomini con cui mi hai condannato a vivere. L’unica cosa che mi dà forza, a parte Antonia e la mia famiglia, è sapere che non merito di trovarmi qui e che senza alcun dubbio verrò scarcerato una volta che il mio nome sarà stato riabilitato.
Perché, Laura? Non riesco ancora a capire perché tu abbia mentito sul banco dei testimoni. So che non hai sentito la mia accusatrice dire di no, e so che lo sai. Potrai anche aver ingannato la giuria, potresti persino aver convinto la mia accusatrice che stavi dicendo la verità, ma io e te sappiamo. Come fai a guardarti allo specchio?
Ormai sarai venuta a sapere che faremo appello. Sono sicuro che presto ci incontreremo di nuovo in tribunale e questa volta il mio legale ti smaschererà. Non è meglio fare la cosa giusta adesso, contattare la polizia o i miei rappresentanti legali, e rettificare la tua testimonianza, anziché aspettare di arrivare in aula? Naturalmente ci saranno ripercussioni per te, ma ovunque ti manderanno non sarà mai tetro come il posto in cui mi trovo io ora. Continuerò a scriverti. Se ti scrivo abbastanza spesso – e ho un sacco di tempo a disposizione – sono convinto che finirai per renderti conto della gravità di ciò che hai fatto. Ti ho vista in Cornovaglia e in tribunale. Riconosco la passione e il senso di giustizia quando li vedo e mi dispiace che queste qualità ti abbiano portata alla conclusione sbagliata, ma la tua coscienza deve rimorderti e non mi scuserò per volerne approfittare. Perciò ti prego, ti prego: rimangiati le tue bugie e restituiscimi la mia libertà.
Tuo,
Jamie Balcombe
Mi accasciai sulle scale con tale forza da farmi male alle anche. La prima cosa a colpirmi fu la sua arroganza; aveva l’ardire di parlarmi in termini di cose che sapevamo entrambi, quando io c’ero stata, quando io avevo visto. Nel tono spavaldo della lettera avvertii nuovamente quel suo fascino tagliente. Pensai allora che doveva avere infranto almeno una legge, scrivendo a una testimone. Indagai in tal senso più avanti, nel corso della settimana, facendo chiamate furtive e costose dalla cabina telefonica al programma di protezione testimoni e al servizio di libertà vigilata, e scoprii che quel genere di cose accadeva molto più spesso di quanto si potesse credere. Scrivere a un testimone diventa un crimine solo se vi è intimidazione e lui era troppo furbo per minacciarmi apertamente. E, comunque, doveva sapere che ero troppo spaventata all’idea di farmi scoprire per portare la lettera alle autorità. Controllare la posta in uscita, scoprii, era un processo casuale e sarebbero andati alla ricerca di falle alla sicurezza – droghe o evasioni – più che di discorsi sui processi. Immagino che, se avessero censurato ogni galeotto che professasse la propria innocenza, la corrispondenza si sarebbe esaurita molto in fretta. Forse se le avessi conservate tutte, la loro frequenza e il loro volume avrebbe potuto far pensare a un qualche tipo di molestia o intimidazione, ma non volevo altro che liberarmene prima che Kit potesse vederle.
All’epoca ero in grado di distinguere con facilità tra il fatto che Jamie avesse ragione, come tecnicamente era, e la sua rettitudine, che non credevo avesse diritto di sbandierare.
Aprii la porta e l’agganciai al fermo. Camminando in punta di piedi e scalza sul pavimento sudicio di Clapham Common Southside, gettai la lettera in un cestino pubblico, infilandola tra un bicchiere vuoto di Starbucks e un quotidiano. Per tutto il week-end ne avvertii la presenza per strada, all’esterno. Non mi rilassai finché il martedì mattina non passò il camion della nettezza urbana. Lo osservai dal balcone, mentre uomini in tuta da lavoro rovesciavano un cestino dopo l’altro nello scomparto. Mi convinsi di aver visto una carta gialla, chiara come una bugia, vorticare in mezzo all’immondizia, mentre le fauci del camion inghiottivano quella verità indigeribile.