Mary era tornata a casa, da sua madre. Al mattino si svegliò sul pavimento della sua vecchia stanza, che adesso era diventata della figlia. Era molto presto. Era arrivata di sera, e dopo aver messo a dormire Andy non era riuscita ad andarsene, per questo aveva dormito per terra, avvolta in una trapunta. Le era sempre venuto più naturale dormire su un fianco, ma la moquette era sottile e il duro pavimento di legno le aveva provocato un dolore all’anca che l’aveva svegliata. Si appoggiò su un gomito, e avvicinò il viso al lettino. La piccola dormiva profondamente, e i capelli rossi e lunghi ricadevano dalla sponda.

La stanza era immersa in un buio che stava diventando penombra. Mary andò carponi verso la finestra e si alzò, lasciando che la trapunta le cadesse dalle spalle come la pelle di certi animali quando è il tempo della muta. Girò il bastoncino per chiudere le stecche delle imposte. Andy si mosse, disturbata dal piccolo rumore. Ora era di nuovo tutto buio. Mary uscì evitando di passare dai punti dove sapeva che alcune tavole di legno scricchiolavano, e lasciò la porta socchiusa. La casa taceva, soltanto il canto degli uccelli lontani si faceva a ogni minuto più intenso.

Avrebbero dormito tutti per un’altra ora, pensò. Scese, e dopo aver infilato il cappotto sopra la tuta, uscì nel cortiletto sul retro della casa a schiera. Due aiuole costeggiavano il cortile. Durante la notte era scesa una spolverata di neve che ricopriva la plastica nera messa a protezione della terra gelata. La primavera precedente la madre le aveva mandato delle foto di Andy che seminava nelle aiuole. Qualche mese dopo erano arrivate le foto di Andy che raccoglieva i frutti del suo lavoro. Immagini molto colorate: la rete verde su cui si arrampicavano piselli e fagiolini, i gialli e i rossi dei pomodori, e la zucca pesante, appoggiata sul terreno. Fra le due aiuole c’era un tavolo di pietra e qualche sedia di vimini. Era qui che sua madre si metteva a leggere, quando era bel tempo.

Mary arrivò nel vicoletto dove tenevano i bidoni dell’immondizia. Ormai erano tutti di plastica. L’ultima volta che era stata lì erano di alluminio. Fra il fianco della casa e il vicolo c’era un basso gradino di mattoni. Mary spazzò via la neve con una mano e si sedette. Prese dalla tasca della tuta un pacchetto di sigarette e dei fiammiferi di legno. Il mattino era perfettamente immobile. Il rumore del fiammifero strofinato risuonò forte. Il fumo le uscì dalle narici fluttuando nell’aria fredda, piroettando in nuvolette.

Sua madre non sapeva che aveva ripreso a fumare, ma del resto non aveva neppure mai saputo che avesse cominciato. Era una delle prime cose che aveva imparato a nascondere, e ora le sembrava più semplice continuare così, come da ragazza. Quando finì la sigaretta si alzò e rovistò con la mano sotto le tavole della pavimentazione esterna, tastando terra ghiacciata e schegge di vernice che si stava staccando. Poi, sotto un cavalletto che le era familiare, trovò quel che cercava: un vecchio barattolo di caffè riempito di mozziconi tanto tempo prima. Aprì il coperchio. Si aspettava che i mozziconi puzzassero, dopo tutti quegli anni, invece il freddo tratteneva gli odori. Spense la sigaretta nella neve e mise il nuovo mozzicone insieme agli altri. Poi ne fumò una seconda. Non sapeva quando avrebbe avuto un’altra occasione di fumare in pace.

Sentendo la madre muoversi in casa spense la seconda sigaretta prima di finirla e fece sparire anche quel mozzicone nel barattolo. Poi chiuse il coperchio e lo nascose di nuovo sotto le assi. Da una tasca del cappotto prese una gomma da masticare e si diresse verso la veranda. Si sciacquò le mani sotto il rubinetto, poi raccolse il giornale che avevano lasciato davanti alla porta e rientrò in casa.

L’ingresso dava direttamente sul salotto, dove la madre di Mary, seduta al tavolo di legno, stava impacchettando gli ultimi regali per la nipote. Mary appese il cappotto dietro la porta e posò il giornale sul tavolo. Quand’ebbe finito di incartare i regali la madre si dedicò alla lettura del giornale. Muoveva la bocca sillabando le parole, e intorno alle labbra le si formavano sottili rughe, quasi un testo parallelo che subito spariva, mentre con mani curate si ravviava i capelli sempre più radi, neri con striature grigie, come il fumo della plastica bruciata.

Mary attraversò il salotto ed entrò in cucina a preparare la colazione. Aggiunse uova, latte e un po’ d’olio a una scatola scaduta di miscela per pancake. Aggiunse agli ingredienti le fragole che trovò dentro un piatto nel frigorifero, senza nemmeno chiedere se avessero altre destinazioni. Poi sistemò le fette di bacon su un tovagliolo di carta.

La scintilla del piano cottura brillava ostinata, ma la fiamma non partiva. Mary guardò la madre che, intenta a leggere, non poteva vederla, e accese con uno dei fiammiferi che teneva nella tasca della tuta. Mise poche gocce d’olio sul tegame e versò un po’ di pastella con le fragole che scoppiettò a contatto con l’olio e il fondo caldo, schizzando sui bordi, pronta a bruciare. Mary abbassò la fiamma. Piano piano la pastella si gonfiò, i bordi si fecero porosi.

Ora il rumore della cottura era intenso. Il sole si era alzato.

Mary prese i piatti di plastica dalla dispensa. Tazze e piatti erano spaiati, non riuscì a trovarne tre uguali. Li mise via e salì in ginocchio sul piano di lavoro per arrivare al servizio buono di porcellana sul ripiano più alto. Posò delicatamente tre piatti con l’orlo dorato, prese tre bicchieri di cristallo e da un cassetto sfilò le posate, non lucidate da tempo. Il primo piatto era molto impolverato, come i bicchieri. Mary si strofinò le mani sui pantaloni della tuta, andò a sciacquare le stoviglie sotto il rubinetto, poi apparecchiò il tavolo del salotto.

Sentì lo sfrigolio del tegame perché sua madre era entrata in cucina e aveva messo a cuocere il bacon. Lanciandole un’occhiata Mary vide che stava sollevando il bordo di un pancake con la forchetta.

«Non così» le disse. «Usa la spatola.»

La madre la guardò come se fosse una bambina, e ignorando il consiglio girò il pancake con la forchetta. Un gesto perfetto. Poi parlò, ma senza distogliere gli occhi dal tegame: «Se non fai alzare Andy arriveremo in ritardo».

«Preferirei lasciarla dormire.»

«Guarda che non la obbligo a venire in chiesa. Le piace.»

Mary imboccò le scale ma Andy la anticipò, aprendo la porta. Appoggiata a uno stipite, aveva ancora la mano sul pomolo, con un’espressione turbata come hanno a volte i bambini al risveglio, spaventati dalla giornata che li aspetta. La pelle del viso sembrava umida e gonfia, e Mary la accarezzò. Andy si strofinò gli occhi qualche secondo, poi le tese le braccia. Mary la prese e se l’appoggiò su un fianco; la bambina aveva compiuto tre anni da poco ed era magra e snella. Mary temeva che fosse eccessivamente magra, ma sapeva che cosa le avrebbe detto la madre, se gliene avesse parlato: era semplicemente una bambina snella.

Andy le appoggiò la testa sulla spalla e i loro capelli, rossi e neri, si mescolarono. Il profumo di pancake e bacon arrivava fino in cima alle scale. All’inizio la bambina disse di no, che non voleva fare colazione, ma quando sentì la nonna muoversi in cucina si divincolò e sfuggì all’abbraccio della madre. Scese le scale lentamente, tenendosi al corrimano, attenta a non incespicare nella lunga camicia da notte. La nonna servì la colazione sui piatti di plastica spaiati, e poi lei e la bambina si avvicinarono all’albero di Natale.

Mary non fece commenti mentre sparecchiava il tavolo del salotto, e rimise tutto nell’armadietto mentre sua madre e sua figlia mangiavano.

«Se non fai colazione» le gridò la madre dalla cucina, «aiutaci almeno con i regali.»

«Tra un attimo. Voglio prima chiamare l’ospedale» rispose Mary. Cominciò ad aggirarsi per la casa lentamente, cercando il telefono nei luoghi più scontati: nella borsa, in valigia, nelle tasche del cappotto, ma non lo trovò. Allora controllò nella camera della figlia, e fra le pieghe della trapunta sul pavimento. Tornò giù, ripercorrendo il tragitto che aveva seguito la sera prima quando era arrivata.

Nonna e nipote avevano finito la colazione e sedevano in attesa vicino all’albero, mentre Andy faceva domande sui regali. La nonna le disse che doveva aspettare ancora un pochino.

Mary decise di provare a chiamare il suo cellulare dal telefono fisso in cucina. Scattò la segreteria. Fece diversi tentativi, aggirandosi per la casa in preda al panico, invitando madre e figlia a stare in silenzio, nella speranza di sentire la suoneria o almeno la vibrazione. Mentre Mary cercava, la nonna permise alla bambina di cominciare ad aprire i pacchetti. Mary se ne accorse e interruppe la ricerca perché non voleva perdere quel momento speciale. Si sedette anche lei per terra e restò a guardare la bambina che strappava la carta natalizia dei pacchetti. Guardò anche l’albero, un grande abete che le sovrastava, con le lucine a spirale fino alla punta protesa verso il soffitto. Fra i rami erano appese decorazioni che erano in famiglia da molte generazioni. Una palla color avorio spolverata d’oro, ricordo del papà di Mary. Fra le lucine elettriche si vedevano tre minuscoli candelabri color argento, i soli sopravvissuti di un set appartenuto alla sua bisnonna materna.

Mary osservò l’albero in cerca di una decorazione. Una foto di lei e Eden dentro una cornicetta a forma di fiocco di neve, ma non riuscì a trovarla. Si chiese se fosse nascosta, o se sua madre avesse deciso di non appenderla, quest’anno, o se l’avesse addirittura buttata via perché non la voleva più vedere.

Quando Andy ebbe finito di aprire i suoi doni, la nonna annunciò che era ora di prepararsi per andare in chiesa. La bambina si precipitò di sopra tenendo stretto sottobraccio un nuovo pupazzo.

«Continuo a non approvare che la porti in chiesa» disse Mary.

«Io invece vorrei che venissi anche tu.»

Mary distolse lo sguardo. «All’ospedale hanno soltanto il mio cellulare, come contatto.»

Sua madre si alzò senza parlare e si diresse verso il telefono in cucina. Compose un numero che aveva scritto su un post-it verde e le tese il ricevitore. Dopo alcuni trasferimenti da un operatore all’altro finalmente rispose l’infermiera di turno nel Centro Ustioni. Mary le spiegò che non trovava più il cellulare e l’infermiera la rassicurò: le condizioni di Eden erano stabili, tutto bene. Prese nota del numero di casa e disse che se ci fosse stata qualche emergenza l’avrebbero chiamata subito.

«Adesso vai a cambiarti» insisté la madre di Mary.

Lei fece come le veniva chiesto e salì di sopra a cambiarsi per la funzione. Mentre si vestiva provò un senso di sicurezza che aveva in sé qualcosa di amaro. Sua madre aveva gettato via molto tempo prima la decorazione d’argento a forma di fiocco di neve, con dentro la loro foto.