I giorni in cui Eden era sveglio risalgono ad alcuni anni fa. Da allora sono stato qui ogni giorno, in questo interregno vuoto e bianco, ad aspettarlo, proprio come fa lei. Entrambi ci chiediamo che cosa ne sarà di noi quando alla fine lui se ne andrà. Forse io mi trasferirò in un altro luogo dove non esiste l’attesa. Forse lei tornerà da sua madre e da sua figlia, e le sue scelte e i ricordi saranno molto lontani nel tempo. Ma questi sono mondi distanti e per il momento restiamo qui.

Al mattino lei entra ancora nella sua stanza e occupa il solito posto sul divanetto. Ogni giorno gli appoggia la mano sulla porzione di pelle liscia sul fianco. Nelle giornate buone gli invia il messaggio che lo ama, nelle giornate brutte gli dice che le dispiace. Lui non reagisce mai. C’è soltanto una cosa a cui reagisce. La sera, prima di tornare nella sua camera al dormitorio, lei gli preme la mano contro il fianco. Poi trasmette il suo numero nel caso lui dovesse andarsene durante la notte. La reazione di Eden è sottile, ma sempre la stessa: chiude gli occhi e si addormenta.

A volte, quando sogna, lui e io ci incontriamo in questo interregno. È sempre felice di vedermi, e ci comportiamo come vecchi amici. E parliamo sempre di un’unica cosa, e non è la valle di Hamrin, o il periodo che ha passato con lei a Onslow Beach o la nostra notte insieme nella loro casa, o la scelta di Mary. Parliamo di nostra figlia, e ci diciamo che forse soffriamo, ma non abbiamo rimpianti.