Eden non credeva che provarci alla vecchia maniera sarebbe servito, Mary invece lo sperava e volle andare in auto al loro vecchio posto a Onslow Beach. Era inverno e il parcheggio era deserto. I gabbiani in volo sembravano neri contro il cielo, mentre quelli che zampettavano sulle dune erano bianchi. Lei parcheggiò la Mustang con il parafango rivolto verso un avvallamento fra le dune che lasciava intravedere l’oceano. Vicino alla spiaggia il vento increspava le onde, ma più al largo non era forte, e il mare era calmo. All’orizzonte passavano alcuni transatlantici, così lontani da sembrare immobili pur correndo veloci come fanno tutte le grandi navi.
Quando lei spense il motore Eden non parlò, e il silenzio li ricoprì. Senza il riscaldamento acceso l’aria nell’abitacolo si raffreddò presto. Mary era infreddolita e sfiduciata perché lui non la cercava. Riavviò il motore e si protese verso il sedile posteriore per prendere un sacchetto di tozzi di pane che aveva portato. Uscì a nutrire i gabbiani mentre dentro la macchina l’aria si riscaldava.
Lui la guardò avvicinarsi alle dune, e vide i gabbiani volare via. Giravano in tondo nel cielo e tornavano, neri contro il sole. Mary lanciò pezzetti di pane in aria e alcuni uccelli riuscirono a prenderli al volo con il becco, ma non tutti, perché era piuttosto difficile. Il pane ricadde sulla sabbia e i gabbiani scesero. Lei rise quando si avvicinarono allungando il collo bianco e il becco giallo verso i suoi piedi. Lui alzò lo sguardo al cielo ma non vide altre sagome nere, perché anche i gabbiani più abili avevano scelto la soluzione più facile di avvicinarsi a mangiare.
Quando il sacchetto fu vuoto lei si incamminò verso la Mustang. Il vento le aveva arrossato le guance. Riprese posto dietro al volante. Il riscaldamento era acceso da un po’ e Mary disse di essere molto infreddolita, nella speranza che lui volesse riscaldarla.
Le prese le mani fra le sue. Le mani di Mary erano così morbide e fredde che Eden si domandò se le loro piccole ossa potessero spezzarsi. Lei gli si strinse addosso respirando contro il suo collo. Eden pensò che non la stava riscaldando, era lei che raffreddava lui. Adesso i capelli di Mary erano talmente vicini che ne sentiva il profumo. Non riusciva a distinguere le proprie mani da quelle di lei, gli sembravano ugualmente intorpidite. Lei si ritrasse. Eden sentì che il cuore gli divorava il petto in quel modo che dal suo ritorno era diventato familiare. Mary si sfilò il maglione e sotto portava il vecchio reggiseno dei tempi in cui per lui era stato facile. La toccò, e lei trasalì sotto il gelido tocco. Ben sapendo che era stata lei a prendere l’iniziativa, Mary cercò di incoraggiarlo. A lui pareva che tutto il sangue in circolo nel suo corpo precipitasse verso il cuore mentre faceva scorrere le dita sul pizzo ruvido che le nascondeva i seni. Lei allungò una mano sul suo inguine, speranzosa. Ma quel che c’era era inerte, e freddo. Si mise lo stesso cavalcioni sopra di lui, perché si era riscaldata e voleva riscaldare anche lui. Si diede da fare fino a quando le guance si arrossarono e perle di sudore le si formarono sotto gli occhi. Ma lui era diventato troppo freddo per poterne ottenere qualcosa, e allora si spostò. Di nuovo seduta dietro il volante, spense il motore.
A lungo nessuno dei due parlò. Senza il corpo di sua moglie addosso lui ritornò normale e lei si infilò il maglione. Poi gli disse: «Resterò con te per tutto il tempo necessario».
«Che cosa ho perso laggiù?» chiese lui senza distogliere gli occhi dall’oceano e dalle navi solo apparentemente immobili.
«Niente che potrai ritrovare tornando» disse lei, leggendogli nel pensiero.
Si guardarono, ma Eden non sapeva cosa dirle. Poi un gabbiano atterrò sul tetto della Mustang e si sporse per becchettare i tergicristallo, chiedendo altro pane. Siccome non avevano più niente da dare, lasciarono la spiaggia e tornarono a casa.