Eden non vedeva altro che la differenza fra la luce e il buio. E non sentiva quasi niente. Tutto immobile, e i suoi pensieri chiari. Sapeva esattamente dove si trovava. Pensò che poteva essere l’ultima volta in cui era sveglio e solo, perché sapeva che cosa avrebbe fatto Gabe al suo ritorno. Sapeva che la prossima volta che avesse sentito sul fianco il tampone fresco impregnato di alcol, sarebbe stato il segno della fine ormai imminente. Non aveva paura, non provava niente. Lo sapeva e basta. Quante volte gli avevano sparato addosso durante una missione, e quante notti prima di un pattugliamento era rimasto sveglio a pensare alla morte e ad averne paura, benché la morte fosse ancora una cosa lontana? Ora sapeva che fra poco sarebbe arrivato un uomo con una siringa a ucciderlo.
Strano, pensò, che gliene importasse così poco.
Se era davvero questa l’intenzione di Gabe, allora voleva avere voce in capitolo. Voleva rispetto. Però il codice a colpi non aveva funzionato. Nonostante l’impegno che ci aveva messo, nessuno lo aveva riconosciuto. E così gli venne in mente di provare qualcosa di più semplice. Qualcosa che dimostrasse che era vivo, niente di più. Lentamente ricominciò a battere i denti: clac, clac, clac, clac, clac... clac, clac. Ripeté il messaggio più volte. Era un ritmo allegro, non disperato come prima. Lo eseguiva lietamente, come se stesse attraversando un parco fischiettando, o canticchiasse sotto la doccia.
Poi sentì qualcosa di pesante muoversi vicino a lui. Era Gabe. Era rimasto sempre lì seduto. Allora Eden ripeté le due battute con sette note e sentì che il cuore gli batteva forte. La stanza era silenziosa e poco illuminata, perciò non riusciva a vedere niente di Gabe. In compenso lo sentiva. Era vicino, e chinandosi sul letto allungò la mano sopra di lui.
Così Eden poté sentire anche il suo odore, un odore di pulito finto e sgradevole, come quello di un cane tornato da una toelettatura, pulito, ma pur sempre un cane. Poi Gabe gli appoggiò un palmo pesante sul petto. Il cuore si mise a battere all’impazzata, anche l’infermiere dovette accorgersene. Eden era in attesa della puntura dell’ago, l’ultima. Fece tutto quello che poté. Continuò a battere il suo motivo mentre perdeva conoscenza, come uno stupido quintetto di ottoni su una nave che va a picco. Voleva pensare a quel ritmo semplice, nient’altro. Non a Mary, a Andy o a me, non a quel giorno nella valle di Hamrin e all’odore della violenza misto a quello dei pini, non agli anni passati in questo letto, e soprattutto non a quello che stava per succedere. Voleva soltanto la chiarezza di quel vecchio ritmo: cinque più due.
Si interruppe.
Era stato davvero pronto a lasciarsi sopprimere da Gabe, però ora non sapeva più che cosa fare.