Al poligono di tiro i mitra sparavano lunghe raffiche, e quando i colpi erano troppo alti, i traccianti aprivano incisioni rosse nel cielo e poi scomparivano; quand’erano troppo bassi piroettavano a terra, incendiando la boscaglia. Quando andavano a segno centravano vecchi carri armati diffondendo scintille nel cielo e nella boscaglia, e questo provocava altri piccoli incendi. A un certo punto erano talmente tanti, quei piccoli fuochi, che dovevamo smettere fino a quando non si erano spenti. Aspettavamo, e inevitabilmente si finiva per andare ben oltre la mezzanotte.
Non mi dispiaceva perché ero in compagnia di Eden, e insieme ce ne stavamo seduti per terra. «Che cazzata stare qui a guardare la sterpaglia bruciare» disse una sera. Vedevo la luce riflessa nel suo sorriso. Per un po’ restammo in silenzio. Eravamo troppo stanchi. Poi lui disse: «È arrabbiata con me. Ha tre classi al giorno, in palestra. Le ho detto che è troppo, che dovrebbe smettere, e lei si è arrabbiata».
«E se anche fosse troppo?» chiesi. Ma sinceramente tre ore di lezione di palestra non mi sembravano granché.
Lui mi guardò, giudicando senza parole, poi aggiunse: «Ci stiamo provando, capisci? E non ci riusciamo».
Mi alzai e scrollai una gamba. A stare seduto si era intorpidita. Volevo anche controllare se gli incendi si erano spenti ma no, al contrario, sembravano diffondersi. Poi abbassai gli occhi per guardare Eden e vidi che anche lui mi stava osservando.
«Allora hai deciso di non fare un altro turno? Rimani qui, lasci l’esercito?»
«Non credo di potercela fare, se arriva un figlio» rispose.
Annuii.
«Ma non ci stiamo riuscendo» aggiunse.
Tornai a sedermi vicino a lui e poi mi sdraiai scrutando il cielo in cerca della costellazione di Andromeda, e penso sapesse che la stavo cercando, ma non credo gliene importasse niente perché sapeva che non sarei riuscito a trovarla, mentre lui da un bel po’ di tempo sapeva dove cercarla.
Poi le stelle scomparvero e i fuochi si spensero.
Aveva cominciato a piovere.
Eden si svegliò e fu subito all’erta. Era ancora in ospedale. Dopo l’ictus tutto si era riorganizzato. Certe cose erano sparite, altre si erano aggiunte. Non ci vedeva più. Adesso c’erano soltanto macchie che separavano l’oscurità dalla luce. Lì, sdraiato, fissava la chiazza luminosa del mattino. In quella chiazza c’erano ricordi, una testa piena di ricordi. Ognuno era un puntolino, ma erano granelli di sabbia visti talmente da vicino che sembravano pianeti. Il tempo che aveva trascorso con lei sulla Mustang a Onslow Beach divenne un universo. L’alito di lei profumava del burro di arachidi che mettevano nei panini, se lo ricordava, e ricordava anche che aveva portato lo stesso reggiseno per una settimana. Era nero. Il pizzo sembrava ruvido al tatto e lui lo toccava ogni volta che poteva, leggendo il corpo di Mary come se fosse stato scritto in braille.
Sua moglie.
Lì, sdraiato, ne sentiva il profumo. Acqua e sapone. Era sempre stata brava a proteggerlo. Guardò verso la parte più luminosa della stanza, vicino alla finestra, dove c’era il divanetto su cui dormiva.
Da quanto tempo era lì?
Un uomo deve poter guardare la moglie dormire. Guardarla, poi chiudere gli occhi e annusarne il profumo. E ora poteva fare alcune di queste cose, e facendole ritornare a se stesso. Tornarono anche altri ricordi. Pensò agli scarafaggi. Sembravano un sogno, e il terrore che aveva provato lo imbarazzava.
Adesso capisco che cosa è reale, si disse.
Dalle vibrazioni delle molle del materasso capì che Mary aveva appoggiato i piedi sul pavimento.
Percepiva moltissime cose.
Anche questa era una novità.
La luce si affievolì intorno alla finestra, perché lei, in piedi, la bloccava. Che cosa stai guardando? pensò. Sentiva le lenzuola morbide e pulite, tirate fin sotto il mento, e la pelle, tesa e accartocciata come carta oleata contro le ossa e i muscoli della faccia. Sentiva Mary respirare, le labbra muoversi contro la sua guancia mentre gli parlava senza emettere suono, la pesante cortina di capelli che si mescolava ai ciuffi ostinati e ispidi sulla sua testa. Lei continuava a muovere le labbra, sussurrando così a bassa voce che non la si sentiva. Poi dall’altra parte della stanza arrivò una forte vibrazione. Pensò che fosse stata sbattuta una porta, però non se ne era accorto. Le labbra di Mary si muovevano ancora.
Come nelle preghiere, il ritmo delle sue parole non si fermava mai.
Non ne distingueva nessuna.
Non ci sentiva.
Un’ondata di ansia lo assalì, frangendosi e disperdendosi come una silenziosa onda di nulla. Perché non c’era niente che lui volesse vedere o sentire. Se avesse avuto l’udito, le infermiere gli avrebbero detto che era diventato cieco. Se avesse avuto la vista, le infermiere avrebbero scritto per dirgli che era diventato sordo. Non avrò paura, promise a se stesso. Sarò più grande di tutti.
Sarò morto.
Sarò su questa terra più vicino alla morte di chiunque, capace di comprendere ciò che soltanto i morti sanno. È una bella cosa, pensò, sapere soltanto quello che sanno i morti. E di che cosa si tratta? Sanno soltanto che un tempo sono stati vivi, ed è per questo che sono morti.
Attraverso le molle del materasso sentì la porta sbattere un’altra volta. Poi piccoli passi che si aggiravano frettolosi. Gli era tutto così chiaro. Riusciva a immaginare la stanza intera. Come puoi permettere che mi veda in questo stato? pensò. Poi sentì una mano morbida, dalle ossa sottili, che gli accarezzava la testa, cauta, e un’altra mano ancora più piccola, e delicata.
La manina di Andy.
Era chiusa a pugno, chiusa in se stessa, sulla sua testa. Poi i piccoli passi affrettati si allontanarono.
Oggi Mary non avrebbe dovuto portarla. Era così importante che la bambina avesse ad ogni costo un ultimo ricordo di lui, anche se si trattava di questo? Anni prima aveva visto alla tv un servizio su una sparatoria in una scuola. Mentre i bambini uscivano dalle loro aule tenendosi per mano, un poliziotto aveva avuto la prontezza di ordinare a tutti di chiudere gli occhi, perché così non avrebbero visto i corpi dei compagni uccisi nei corridoi e in palestra. Era stato salutato come un eroe per aver risparmiato quella vista ai ragazzini.
Lui avrebbe voluto essere come quel poliziotto.
Sapeva che stava sudando dal bruciore delle piaghe intorno al collo, e dalle lenzuola che si inumidivano e gli si incollavano addosso, e anche dal cuore che picchiava contro il petto, troppo grosso e troppo forte per morire e basta. Gli pareva che il cuore lo stesse seppellendo, facendolo sprofondare nel letto fino a quando le lenzuola lo avrebbero avviluppato, richiudendosi sopra di lui, invisibili e fangose.
Perché lei permetteva che Andy lo vedesse così, nudo e sfigurato?
Si sforzò di respirare più lentamente, ma il cuore continuava a martellare. Chiuse gli occhi, contò fino a cento, recitò il Padre Nostro. Martellava ancora. Una sensazione nota, l’aveva provata spesso. Era stato così dopo il suo primo turno al fronte, quando avevano cercato di concepire la figlia.