Il giorno in cui partimmo per la missione Eden e Mary si svegliarono nello stesso momento. L’unica luce nella stanza veniva dai numeri rossi della sveglia digitale sul comodino. Erano le quattro. Lei spense la sveglia prima che potesse suonare e Eden accese la lampada sul comodino. Doveva presentarsi all’adunata alle cinque, perché alle sei gli autobus ci avrebbero portati tutti all’aeroscalo. Indossò l’uniforme. Mary si infilò i pantaloni da yoga e una maglietta che rivelava la prominenza del ventre.

Mentre lei era in bagno Eden preparò il caffè per entrambi, era troppo presto per fare una vera colazione. Quando le passò la tazza, lei la rifiutò. Eden si scusò di aver dimenticato che non poteva più bere caffè.

Poi le preparò il tè e uscì nel gelo, diretto al passo carraio. Mise in moto la vecchia Mustang, scaldandola per lei.

Quando rientrò le portò di sopra il giubbotto. L’aiutò a indossarlo. Le chiuse persino la lampo, facendo attenzione alla pancia. Voleva essere gentile come ogni buon futuro padre con una futura madre.

Mentre scendevano per uscire le diede la mano libera, tenendo nell’altra sia il caffè che il tè. Lei non aveva bisogno di aiuto per scendere le scale, e lo trovò un gesto un po’ sciocco. I bagagli erano già stati caricati e lei insistette per guidare... toccava a lei. Avrebbe tanto voluto che Eden restasse, ma se proprio doveva partire lo avrebbe accompagnato lei.

Durante il tragitto nessuno dei due parlò. Il traffico era molto scarso. Superarono la palestra... aveva dovuto lasciare il lavoro per via della gravidanza. A quell’ora il parcheggio era deserto. Fra un paio d’ore, al ritorno, ci sarebbero state le auto delle sue allieve. Poi, un po’ più lontano, superarono il Days Inn e poco oltre vide l’uscita per Piney Green Road. Il semaforo passò dal verde al giallo. Lei accelerò anche se stava per diventare rosso. Non sopportava l’idea di stare ferma sotto quel cartello con Eden vicino.

Rallentò e lui si voltò a guardarla. «Forse quando torno potremmo cercare una casa più vicina alla spiaggia» disse.

Mary gli lanciò un’occhiata. I semafori e le insegne al neon gli illuminavano la faccia, riflettendo troppi colori contemporaneamente. «Per la bambina sarebbe bello avere la spiaggia vicina» disse lei.

«Potremmo portarla a fare delle passeggiate.»

«A che età imparano a nuotare?» chiese lei.

«A tre anni, credo.»

Parcheggiarono a un paio di isolati dalla base. Eden voleva salutarla in privato, senza intrusi. Mary scese dall’auto. Lui tolse dal bagagliaio la sacca da viaggio e lo zaino. Restarono in piedi vicino al cofano. Le luci d’emergenza lampeggiavano nell’oscurità e in lontananza il bagliore del mattino metteva in risalto le cime nere degli alberi contro il cielo azzurrognolo. Si guardarono come se volessero baciarsi, ma non riuscirono a farlo. Lei gli prese la mano e se la appoggiò sulla pancia. «Tu lo vuoi, vero?» chiese.

Lui annuì.

Non rinuncerò mai più a te, pensò lei, e quella promessa rischiò di spezzarle il cuore.

Due giorni dopo la partenza di Eden, Mary tornò nello studio legale. Doveva ritirare la procura. L’avvocato gliela consegnò in una busta insieme con altre scartoffie. Fra queste c’era una copia della polizza di assicurazione sulla vita di Eden, modulo numero SGLV 8286. Leggendo attentamente il documento, vide che il denaro non era stato destinato a lei. Dapprima non riconobbe il nome del beneficiario, ma stranamente l’indirizzo riportato sotto era il loro. Poi, con il foglio in mano, capì. Il denaro era per il figlio, anzi, Eden aveva già deciso che sarebbe stata una bambina, e aveva scelto il nome: Andromeda.