Quando tornammo dal SERE, Mary sapeva che Eden si era riarruolato. Mancavano altri tre mesi alla partenza e due al giuramento, ma i documenti erano pronti. Si era offerto per un altro turno.
Chissà come aveva preso la notizia.
Ne dedussi che avessero accantonato il progetto di mettere su famiglia, però non ne ero sicuro. Siccome non mi andava di chiederglielo mi tenni alla larga dalla palestra.
Poi mi capitò l’occasione di fare qualcosa per lei.
La nostra partenza era in programma per l’inizio del nuovo anno e a ottobre, il pomeriggio prima del ponte del Columbus Day, l’intero battaglione venne convocato nel teatro. Nel periodo precedente eravamo stati in giro per il paese a finire i corsi di addestramento, ma nessuno poteva mancare a questo briefing. Eravamo circa un migliaio di marines radunati nel teatro del campo base. Molti di noi non si vedevano da settimane, e si salutarono tra le file di poltrone rosse. C’era uno schermo cinematografico nascosto da lunghe tende con il bordo decorato. Due grandi maschere simboliche della commedia e della tragedia coronavano il palco su cui stava una soldatessa, una ragazza minuta di origine ispanica. Guardando oltre la folla parlò al microfono con voce nervosa e un accento marcato, ma le parole si sentirono a malapena.
«Parla più forte, picante!» gridò qualcuno dal fondo.
Una risata si diffuse nella platea. Un sergente maggiore perlustrò le corsie alla ricerca del proprietario della voce. Aveva la mascella rigida, la testa piatta come un’incudine e capelli curati come un campo da golf.
La soldatessa arrossì e si lisciò i capelli stretti in una crocchia nera, bassa sulla nuca. Armeggiò con il microfono. Il volume ritornò violento e ogni suo respiro rimbombò sulla folla.
«Così sentite meglio?» chiese.
Di nuovo quel grido: «Picante!»
Di nuovo il sergente maggiore seguì la direzione della voce, ma un paio di grida «Picante! Picante!» si alzarono da punti diversi della sala. Cadde il silenzio. Il sergente smise di cercare, però rimase in fondo, continuando a scrutare fra le file in attesa del prossimo grido.
La soldatessa proseguì. «Sotto le vostre sedie troverete il modulo SGLV 8286.» Snocciolò il codice alfanumerico rapidamente, come se fosse un’unica parola, dando prova di un certo stile burocratico. «Compilatelo con cura usando esclusivamente penne a inchiostro nero. Se fate un errore non cercate di correggerlo, venite sul palco e vi darò un’altra copia. Potete consegnarlo oggi o, se vi serve più tempo, spedirlo all’indirizzo riportato nella sezione M.»
«A cosa serve il modulo?» gridò qualcuno. Nella fila in fondo, il sergente maggiore trasalì. Si spostò verso la voce, però dovette riconoscere che la domanda era legittima.
«È la vostra assicurazione sulla vita delle Forze armate» disse la ragazza. «Nel caso vi succedesse qualcosa, il governo corrisponderà quattrocentomila dollari alla vostra famiglia o ad altre persone da voi designate.»
«Che cosa significa designate?» chiese un’altra voce dalla folla. Il sergente si mosse di nuovo, poi si fermò.
«Qualcuno di vostra scelta» rispose lei.
«Anche il mio cane?» chiese un altro. Il sergente si diresse verso chi aveva parlato.
«Ottima domanda» disse lei. «Se volete lasciare il denaro al vostro cane, potete farlo.»
Di nuovo il sergente si bloccò.
Quasi tutti avevano cominciato a esaminare i fogli. Eden era seduto al mio fianco e notai che non stava facendo niente. Il suo modulo era in bianco. Accorgendosi che lo stavo guardando, disse: «Ti andrebbe di dividere la casa con me, al nostro ritorno?»
«Va così male?»
«Abbastanza.»
«Lei proprio non vuole che tu parta, eh?»
Lui fece di no con la testa.
«E l’idea di avere un figlio?» chiesi.
«È di quello che ha bisogno.»
Prima che potessi aggiungere altro, da dietro qualcuno gridò. «Qual è il tuo indirizzo, picante?»
Il sergente maggiore si precipitò verso i corridoi laterali della sala, affrontando un soldato tutto pelle e ossa con una presa di testa. Lo trascinò oltre la porta a battente rossa in fondo alla sala, verso l’atrio, dove nelle serate in cui si proiettavano i film vendevano succhi di frutta, Raisinets e popcorn.
Tornammo a dedicarci al modulo. Quello che ognuno di noi aveva scritto era personale, e sinteticamente perfetto, la verità più o meno segreta di chi amavi di più al mondo messa per iscritto. Eden non scrisse niente. Lasciò il modulo in bianco e lo infilò nella tasca della divisa. Poi si alzò per uscire dalla sala. Così facendo, rivolto a me, disse: «Se quella sera nelle gabbie mi avessi permesso di andarmene, sarei rimasto qui».
Lo guardai senza parlare.
Lui non aggiunse altro, ma penso che quello fosse il suo modo di ringraziarmi.
Quando si fu allontanato, indicai nel modulo Mary come beneficiaria dei miei quattrocentomila dollari di indennizzo. Già allora sapevo che qualsiasi cosa mi fosse successa, sarebbe capitata anche a lui. Se del futuro di Mary non gli importava niente, be’, lei sarebbe stata il segreto scritto sul mio.