Il caposala non lo aveva mai perso d’occhio. Era rimasto seduto sul divanetto di solito occupato da Mary, con la siringa in mano, pronto a procedere. L’iniezione non avrebbe ucciso Eden, ma lo avrebbe sedato in modo definitivo, e di lì a poco, senza soffrire, Eden si sarebbe spento.

Si avvicinò al letto, l’ago in alto, una minuscola goccia che tremolava sulla punta. Gettò un’ultima occhiata a Eden, che aveva ricominciato a battere i denti, e gli balenò nella mente un pensiero, chiaro come un’illuminazione: stava battendo il tempo di prima, clac, clac, clac, clac, clac... clac clac. Provò a tamburellargli lo stesso ritmo sul petto. Eden smise, e allora Gabe abbassò la siringa. Aveva pensato che quel batter di denti fosse soltanto uno stimolo incontrollato inviato da un cervello in rapido decadimento, scariche sinaptiche che si esprimevano attraverso le mandibole contratte. Ma se si erano interrotte, significava che il cervello capiva, reagiva, gli diceva che era vivo.

Allora Gabe batté di nuovo il ritmo, per vedere se Eden avrebbe ricominciato.

Un test.