Parte seconda

Jung e la psicoanalisi

La parola “psicoanalisi” è divenuta a tal punto patrimonio di tutti che chiunque ne faccia uso sembra anche comprenderne il significato. Nell’intenzione del suo creatore, Freud, l’unico significato autentico della parola è quello che designa il suo metodo, consistente nel ridurre complessi sintomatici psichici a processi pulsionali rimossi; e siccome questo procedimento è impossibile se privo di un impianto concettuale corrispondente, il concetto di psicoanalisi comprende anche, secondo l’espressa esigenza del suo autore, alcuni presupposti teorici, e cioè la teoria della sessualità. Tuttavia, del concetto di psicoanalisi il profano si serve per indicare ogni tentativo moderno di accostarsi meglio alla psiche con metodi scientifici. Così anche la scuola adleriana viene rubricata come “psicoanalisi”, benché le vedute e i metodi di Adler si oppongano in modo apparentemente inconciliabile a quelli di Freud. Per questo, Adler non definisce la sua psicologia “psicoanalisi”, bensì “psicologia individuale”, mentre io preferisco dare alle mie teorie il nome di “psicologia analitica”, intendendo con questa espressione un concetto generale che comprende “psicoanalisi”, “psicologia individuale” e altre tendenze nell’ambito della “psicologia dei complessi”.

C.G. JUNG, I problemi della psicoterapia moderna (1929), p. 63.