18. Jaspers e la psicologia comprensiva

È possibile spiegare pienamente qualcosa senza comprenderlo.

K. JASPERS, Psicopatologia generale (1913-1959), p. 30.

1. La rivoluzione jaspersiana in psichiatria. Dalla spiegazione scientifica alla comprensione fenomenologica

La distinzione tra “spiegare (erklären)” e “comprendere (verstehen)” trova la sua radicalizzazione e la sua prima applicazione in campo psichiatrico con K. Jaspers che, per primo e senza esitazione, inscrive la psicologia nell’indirizzo fenomenologicoermeneutico. Ciò avviene nel 1913 con la pubblicazione, da parte di Jaspers, della sua Psicopatologia generale che possiamo senz’altro annoverare tra i libri “epocali”, perché danno una svolta radicale a uno statuto scientifico o a un ordine disciplinare.

La sua apparizione determina, nell’ambito della psichiatria, da un lato un radicale mutamento nel modo di leggere la follia, dall’altro la nascita di una disciplina, la psicopatologia, che non cerca le “cause” della follia nella genericità dell’organismo, ma il suo “senso” per il singolo individuo. Un senso che si sottrae all’ordine scientifico della “spiegazione”, ma non a quello ermeneutico della “comprensione”, almeno fino a quel limite dove cade la barra dell’“incomprensibile”.

Questa novità metodologica non è ancora oggi del tutto acquisita, nonostante Jaspers, dal 1913 al 1959, non abbia mai cessato di rielaborare il suo testo, apportandovi numerosi interventi e significativi ampliamenti, nel tentativo di persuadere che l’uomo non può essere compreso con categorie naturalistiche se non al costo di perdere la sua specificità. Lo psichiatra italiano Danilo Cargnello, a cui si deve l’introduzione in Italia dell’analisi esistenziale fenomenologicamente fondata, ci informa che:

Nel 1913 la psicopatologia si poneva come scienza autonoma (pur nell’ambito delle discipline alienistiche) per opera di Karl Jaspers,che pubblicava quella Allgemeine Psycopathologie, di cui si disse, destinata a restare fino a oggi come una pietra miliare a cui, anche a distanza di mezzo secolo, gli psichiatri non possono non riferirsi. [...] Ragioni di misura, giacché l’uomo e l’opera meriterebbero un lungo discorso, ci vietano di intrattenerci adeguatamente su Karl Jaspers, riferendoci a lui non tanto nelle vesti del maturo filosofo, quanto in quelle dell’ancor giovane psichiatra, con cui si presentò alla ribalta della cultura europea nel lontano 1913 all’epoca della sua famosissima Allgemeine Psychopathologie. Del filosofo però non possiamo dimenticare quanto le sue opere abbiano sollecitato l’avvento della moderna psicopatologia antropoanalitica, per la centrale importanza che in esse vengono ad assumere i problemi della ipseità e dell’alterità, della relazione tra l’una e l’altra, della realizzazione del Sé e in genere della comunicazione.1

Dello stesso parere è lo psichiatra olandese J.H. Van den Berg, il quale parla dell’opera di Jaspers come di “un libro che, come quadro d’insieme della psicopatologia, possiamo dire insuperato”.2

Partendo dalla constatazione che “separando la realtà nei due regni isolati della res cogitans e della res extensa, Cartesio lasciò in eredità ai filosofi successivi il problema impossibile di ricondurre le due parti a un’unità sufficiente a rendere comprensibile la natura dell’uomo”,3 Jaspers prosegue precisando che:

A evitare ambiguità e fraintendimenti impiegheremo sempre l’espressione “comprendere (verstehen)” per la visione intuitiva di qualcosa dal di dentro, mentre non chiameremo mai comprendere ma “spiegare (erklären)” la conoscenza dei nessi causali che sono sempre visti dal di fuori. Comprendere e spiegare hanno dunque un significato preciso.4

Questa differenza corrisponde alla distinzione tra indagine fenomenologico-ermeneutica e spiegazione scientifica dove, precisa Jaspers:

L’indagine fenomenologica ha il compito di rendere presenti ed evidenti di per sé stati d’animo che i malati sperimentano (erleben), astenendosi da tutte le interpretazioni che trascendono la pura descrizione, [...] mentre la spiegazione scientifica trasforma i fenomeni: o nel senso che li assume sotto leggi mettendoli in relazione con altri fenomeni differenti, o nel senso che li frantuma in parti che in qualche modo sono prese come più reali della configurazione di quelle parti che si assumono come costituenti il fenomeno in questione.5

In entrambi i casi la spiegazione può essere chiamata riduzione, perché, a differenza della “comprensione” che si accosta all’oggetto da comprendere nei suoi stessi termini, allo scopo di vedere in esso le strutture che emergono dal suo versante e non dal versante di chi indaga, la “spiegazione”, invece di parteciparsi all’oggetto affinché esso ceda la propria essenza (Wesen) a noi che la comprendiamo, riduce ciò che appare a ciò che essa considera le leggi ultime o la realtà ultima dei fenomeni che appaiono. In questo senso, precisa Jaspers, “è possibile spiegare pienamente qualcosa senza comprenderlo”.6

Così dicendo, Jaspers non nega che la spiegazione intenda qualcosa, ma siccome il valore della spiegazione dipende dalla realtà o dalla verità di ciò che è stato supposto e a cui ciò che appare viene correlato, ricondotto, ridotto, trasformato, i fenomeni spiegati sono “compresi come se (als ob)”. A questa comprensione “come se” Jaspers riconduce sia le spiegazioni della psichiatria classica che sono possibili solo supponendo il meccanicismo anatomico-fisiologico, sia la psicoanalisi di Freud il cui ordine di spiegazione si legittima solo supponendo alle spalle dei fenomeni la libido pulsionale. Infatti, scrive Jaspers:

Freud, che ha descritto una grande quantità di fenomeni “compresi come se”, confronta la sua attività con quella di un archeologo che da frammenti interpreta opere umane. La grande differenza sta solo nel fatto che l’archeologo interpreta ciò che è stato, mentre nel “comprendere come se” è molto dubbia proprio la reale esistenza di ciò che è stato compreso.7

In altri termini, quello che Jaspers vuol sapere è se il compito che la psicologia si propone è quello di comprendere l’uomo o di trovare nell’uomo la conferma delle teorie preposte alla sua spiegazione. Così precisato il discorso a livello epistemologico, nella Psicopatologia generale Jaspers articola:

a) una psicologia comprensiva, in cui ha luogo un “avvicinamento interumano dove non c’è la contrapposizione soggetto-oggetto, ma un insieme di relazioni, perché l’oggetto si risolve nel significato che esso assume per l’Io, e l’Io nell’oggetto in cui la sua intenzionalità emotiva si evidenzia”8 ;

b) una psicologia esplicativa, dove quelle relazioni psichiche non sono più comprese (verstanden) e vissute (erlebt), ma spiegate (erklärt), cioè ricondotte a cause. Con questo metodo, precisa Jaspers: “L’insieme della vita psichica viene dissolto negli elementi del pensiero causale”9 ;

c) infine, superando il dualismo anima e corpo, che tanto ha condizionato la psichiatria classica fino a “ridurre ogni espressione psicologica ad affezioni cerebrali”,10 Jaspers imposta il problema psicologico a partire dall’“essere umano considerato come un tutto (das Ganze des Menschseins)”.11

In questo modo Jaspers taglia i ponti con l’impostazione naturalistica della psicologia e con l’esigenza dell’oggettivazione a essa intimamente connessa, per la consapevolezza ormai raggiunta che “la contrapposizione di psiche e soma è una semplice astrazione, atta a disturbare piuttosto che a favorire qualsivoglia comprensione”.12

2. Husserl e Heidegger di fronte al capovolgimento metodologico jaspersiano

Nell’applicare il metodo fenomenologico in psicologia Jaspers dice esplicitamente di riferirsi a Hegel “che per primo considerò le manifestazioni dello spirito nelle loro totalità” e a Husserl perché:

Husserl usò il termine “fenomenologia” inizialmente per designare la “psicologia descrittiva” delle manifestazioni della coscienza – e in questo senso si applica anche nelle nostre indagini – e in seguito per la “visione dell’essenza (Wesensschau)” che qui non prendiamo in considerazione.13

La Wesensschau husserliana ispirerà sei anni dopo la Psicologia delle visioni del mondo, dove Jaspers abbandona definitivamente il metodo scientifico esplicativo per quello fenomenologico. La pubblicazione della Psicopatologia generale ebbe subito l’approvazione di Husserl, i cui rapporti con Jaspers sono resi noti da Jaspers stesso ne Il mio cammino verso la filosofia del 1951, e nel Poscritto del 1955 che precede la terza edizione di Filosofia del 1932. Ne Il mio cammino verso la filosofia si legge:

Dopo essere stato a lungo impegnato con la medicina, nel 1909 presi a conoscere Husserl attraverso la lettura dei suoi scritti. La sua fenomenologia era feconda come metodo, perché potevo applicarla per la descrizione delle esperienze interiori degli alienati. Più importante era tuttavia per me vedere come egli, nel pensare, rispettava una non comune disciplina, e soprattutto constatare che egli aveva superato lo psicologismo, secondo il quale tutti i problemi si risolvono nella ricerca dei moventi psicologici. Ancora più importante fu per me constatare la sua incessante esigenza di chiarire i presupposti inosservati. Trovai confermato ciò che già operava in me: l’attenzione verso le cose nella loro realtà. In un mondo pieno di pregiudizi, di schematismi e di convenzioni, era allora una liberazione.

Ma Husserl come filosofo mi deluse. Descriveva compiutamente l’atto del vedere, ma quel che poi veniva visto era per lo più indifferente. Nel 1910 apparve su “Logos” il suo saggio La filosofia come scienza rigorosa. Era senza dubbio un capolavoro anche per la sua consequenzialità, che non paventava e non retrocedeva di fronte ad alcun assurdo. Attraverso Husserl mi si presentò con chiarezza il pervertimento della filosofia in scienza, e questo suscitò la mia ribellione. Seguì un incontro personale nel 1913. Come psichiatra avevo pubblicato alcuni lavori fenomenologici sulle allucinazioni e sui fenomeni della demenza. Husserl seppe che mi trovavo a Göttingen e mi fece invitare. Fui accolto amichevolmente, elogiato e, quale sorpresa per me, trattato come suo discepolo. Dissi, in modo franco, che mi era poco chiaro che cosa propriamente fosse la fenomenologia. Husserl mi rispose: “Lei fa dell’eccellente fenomenologia nei suoi scritti. Non ha bisogno di sapere cos’è visto che la pratica. Vada avanti”. Poi mi raccontò del suo Annuario, com’era spiacevole e avvilente per lui che lo si paragonasse a Schelling. Schelling non era un filosofo da prendere sul serio. Ammutolii e, uscito, dissi: “Quell’uomo sorprendente sa così poco che cos’è la filosofia, che sente come un’offesa l’essere paragonato a un grande filosofo”.14

Nel Poscritto del 1955, Jaspers, dopo aver riassunto in una decina di righe l’incontro del 1913, esprime un giudizio critico sul concetto husserliano della “filosofia come scienza rigorosa”:

Questa lettura per me fu come un’illuminazione, perché ritenni di capire che lì si era raggiunto, nel modo più chiaro, il punto in cui, per salvaguardare i diritti della scienza rigorosa, cessava tutto ciò che poteva chiamarsi filosofia nel senso più alto di questa parola. Finché Husserl fu professore di filosofia ebbi l’impressione che fosse realizzato, nel modo più ingenuo e radicale, il tradimento della filosofia.15

Heidegger non si espresse sulla Psicopatologia generale di Jaspers, ma sull’opera successiva: Psicologia delle visioni del mondo, citata in Essere e tempo in due occasioni ove si dice:

K. Jaspers fu il primo che si propose e attuò esplicitamente il compito di una dottrina della visione del mondo nel senso di questa problematica. “Che cosa sia l’uomo” è da lui discusso e determinato essenzialmente a partire da ciò che esso può essere. Da qui prende luce il significato ontologico-esistenziale fondamentale delle situazioni-limite. Si fallisce completamente nella comprensione della Psicologia delle visioni del mondo se la si considera un semplice “repertorio delle visioni del mondo”.16

Essa è molto di più, perché il suo significato oltrepassa “fondamentalmente” ogni tipologia delle “posizioni oggettive” e dei “sistemi del mondo”.17

In realtà sulla Psicologia delle visioni del mondo Heidegger era già intervenuto, appena uscita l’opera, con una lunga recensione scritta negli anni 1919-1921. Consegnata a Jaspers, Heidegger rinunciò a pubblicarla. Fu edita soltanto nel 1973, dopo la morte di Jaspers, nel volume celebrativo a lui dedicato.18 In questa recensione critica Heidegger apprezza l’opera di Jaspers dal punto di vista psicologico, ma la critica severamente dal punto di vista filosofico perché, a parere di Heidegger, in quest’opera Jaspers evita di fondare il presupposto assunto, “la vita come totalità”, su cui tutta la costruzione teorica si regge. Vediamone alcuni passi:

Il lavoro di Jaspers segna un progresso perché, grazie a un’esposizione ordinata di fenomeni sinora non visti in tal modo, ha destato una più intensa attenzione intorno al problema dell’esistenza e, in questo contesto, ha collocato il problema della psicologia in dimensioni più principiali. Il fallimento filosofico nel vero e proprio cogliere e affrontare i problemi presi di mira risulta dal fatto che Jaspers rimane dell’opinione, non appurata, di aver saldo in mano, con l’ausilio dell’anticipazione de “la vita come totalità”, il fenomeno dell’esistenza e di poterlo cogliere con i mezzi concettuali messi a disposizione proprio dagli ambienti limitrofi della scienza.19

Per quanto riguarda la posizione dell’anticipazione stessa (“la vita come totalità”), Jaspers potrebbe osservare: la vita come totalità è per me un’idea guida, mi basta guardarmi attorno per constatare che la vita è ovunque. Questa totalità unitaria, integra, che è al di sopra di ogni opposizione, che abbraccia ogni vivere, che è estranea a ogni rottura e frammentazione e che appare come un tutto armonico, mi guida. Alla sua luce vedo ogni singola cosa, mi si dà un’autentica chiarificazione e mi si prefigura il senso fondamentale in cui tutto ciò che si incontra viene determinato e compreso come qualcosa che si forma prorompendo dalla vita e che nella vita riaffonda. Questa totalità offre l’articolazione essenziale dell’oggettuale, alla cui considerazione e organizzazione si mira.20

Jaspers si illude quando pensa che in una pura osservazione si raggiunga il massimo grado di non-intervento nella decisione personale e si liberi così il singolo per la sua autoriflessione. Al contrario, proprio presentando la sua indagine come pura osservazione, Jaspers sembra sì evitare l’imposizione di una determinata visione fra quelle da lui caratterizzate, ma induce nello stesso tempo a credere che la sua anticipazione (la vita come totalità), essa stessa non delineata, e i modi essenziali di articolazione a essa connessi, siano qualcosa di non vincolante, di ovvio, mentre invece tutto si decide proprio in relazione al senso di questi concetti e al modo dell’interpretare. La pura osservazione non dà proprio quello che vorrebbe, cioè la possibilità di una verifica radicale e di una decisione che equivalgono a una rigorosa consapevolezza della necessità della questione metodologica. Un’autoriflessione autentica può essere sensatamente avviata solo quando c’è, ed essa c’è solo quando veramente ci si ridesta, ed è possibile ridestarsi davvero soltanto coinvolgendo in certo modo senza riserve l’altro nella riflessione, sì che egli veda che l’apparizione degli oggetti della filosofia è legata a un rigore dell’attuazione metodica che sopravanza quello di qualsiasi scienza, perché, mentre nella scienza è decisiva solo l’esigenza dell’oggettività, fa parte delle cose della filosofia anche chi filosofa e la (sua) notoria povertà. Si può coinvolgere nella riflessione, si può destare l’attenzione, solo andando un po’ avanti nel cammino stesso.21

Nonostante queste critiche radicali sul piano ontologico, resta comunque, da parte di Heidegger, il riconoscimento che Jaspers ha sempre perseguito, da psichiatra, da psicologo e da filosofo, il superamento della scissione soggetto-oggetto (Subjekt-Objek-Spaltung), che in sede psicologica non consente alcuna “comprensione” dell’uomo, e in sede filosofica non permette al pensiero di realizzarsi secondo le sue possibilità. Si tratta infatti di possibilità che trascendono di gran lunga gli schemi in cui il pensiero era trattenuto dall’impostazione “scientifica” del positivismo, che non consentiva il dispiegarsi dell’orizzonte fenomenologico e quindi la possibilità di un’autentica comprensione dell’uomo e dell’essere.22

3. La psicopatologia generale e il metodo comprensivo

Nella Psicopatologia generale, in corrispondenza alla distinzione tra “comprensione fenomenologica” e “spiegazione scientifica”, Jaspers articola il discorso di una psicologia comprensiva in cui ha luogo:

Un avvicinamento interumano, dove non c’è la contrapposizione soggetto-oggetto, ma un insieme di relazioni, perché l’oggetto si risolve nel significato che esso assume per l’Io, e l’Io nell’oggetto in cui la sua intenzionalità emotiva si evidenzia.23

A questa prima parte ne segue una seconda intitolata psicologia esplicativa, dove le relazioni psichiche non sono più comprese (verstanden) e vissute (erlebt), ma spiegate (erklärt), cioè ricondotte a cause. Con questo metodo, precisa Jaspers: “L’insieme della vita psichica viene dissolto negli elementi del pensiero causale”.24

Conclude l’opera quella parte che, come scrive Cargnello, ancora oggi è considerata “la pietra miliare della moderna psicopatologia”,25 in cui Jaspers, superando il dualismo cartesiano di anima e corpo, che tanto aveva condizionato e ancora condiziona la psichiatria organicista, fino a “ridurre ogni espressione psicologica ad affezioni cerebrali”,26 imposta il problema psicologico a partire da “l’essere umano considerato come un tutto (Das Ganze des Menschseins)”.27 In questo modo Jaspers taglia definitivamente i ponti con l’impostazione naturalistica della psichiatria e con l’esigenza dell’oggettivazione distanziante che le era intimamente connessa, perché ormai Jaspers era divenuto criticamente consapevole che:

La contrapposizione di psiche e soma è una semplice astrazione, atta a disturbare piuttosto che a favorire qualsivoglia comprensione.28

Nella Psicopatologia generale, tuttavia, Jaspers non va oltre la determinazione del limite tra ciò che è “comprensibile” e ciò che è “incomprensibile” nel progetto mondano di un particolare uomo che si riveli “clinicamente”, cioè secondo i principi della psicologia esplicativa, alienato. Nel caso, ad esempio di una psicosi schizofrenica, il “comprendere” jaspersiano porta semplicemente a conoscere il limite (Grenze) della comprensibilità, oltre il quale c’è l’incomprensibilità del delirio. Siamo quindi ancora lontani dall’elaborazione di un metodo che consenta allo psicopatologo di informarsi e di esprimersi in modo da poter partecipare ad altri lo stato d’animo altrui preso in esame.

Siamo all’ineffabilità della comprensione soggettiva che, se da un lato ha il pregio di non oggettivare il paziente, dall’altro non è ancora in grado di descrivere il suo modo di essere-nel-mondo, le sue modalità esistenziali, così da poterle comunicare con quell’univocità necessaria a superare il solipsismo dell’interpretazione. Questa è la ragione per cui Binswanger, senza mezzi termini dichiara:

La fenomenologia di Jaspers non va oltre le semplice Einfühlung o conoscenza per immedesimazione.29

Punto di partenza è la constatazione che il limite fondamentale della scienza risiede nella natura del suo procedimento metodologico, che prevede l’oggettivazione di tutto il reale mediante ipotesi di natura matematica. Circoscritta dal suo metodo, che le impone di attenersi alle oggettività ipoteticamente costruite, la scienza non pensa se il volto del reale sia proprio quello che risulta dalla sua matematica oggettivazione. Questo “non-pensato” è ciò che resta da pensare, ma è anche ciò che la scienza, per la sua struttura metodologica, non può pensare.30

Di qui l’inevitabile conclusione a cui Jaspers perviene e che enuncia in una riunione promossa dall’Associazione psichiatrica forense che si riuniva periodicamente a Heidelberg: “I medici e gli psichiatri devono cominciare a pensare”. La risposta, amichevole ma decisa, dei convenuti fu: “Jaspers lo si deve prendere a bastonate”.31

Al di là della battuta scherzosa, ma rivelatrice della fede indiscussa che la psichiatria dell’epoca poneva nei metodi della scienza naturalisticamente impostata, vale la pena di seguire Jaspers in quelle considerazioni che lo condussero alla fondazione dell’autonomia della psichiatria nei confronti di tutte le scienze che procedono con metodiche oggettivanti:

A me sembrava che quel fraintendimento che viziava il modo di pensare psichiatrico nascesse dal fatto che si trascurava la natura della cosa da pensare. Se infatti oggetto della psichiatria è l’uomo, e non solo il suo corpo, ma lui stesso nella totalità della sua persona, [...] occorreva rendersi conto che l’uomo, nella sua totalità, sta oltre (überhinaus) ogni possibile e afferrabile oggettivazione. In quanto aperto alla comprensione delle cose, l’uomo non può essere ridotto a oggetto di studio, perché così si distrugge quella totalità comprensiva che noi siamo (das Umgreifende das wir selbst sind), per far emergere solo qualche suo aspetto oggettivo, che risulta dall’adozione di un metodo impropriamente assunto come unico e dal valore universale.32

L’idea di totalità (das Umgreifende), che si profila ai limiti di ogni particolare ricerca scientifica, avvertì Jaspers del carattere non assoluto della scienza. Il senso di questa idea non poteva essere raggiunto da alcuna analisi oggettivante perché, per ampia che questa fosse, si muoveva sempre, in quanto scientifica, in quella scissione di soggetto-oggetto (Subjekt-Objekt-Spaltung) che consente all’oggetto di apparire nei limiti che il soggetto, con le sue ipotesi anticipanti, ha preventivamente determinato.

Per giungere alla comprensione dell’uomo nella sua totalità è necessario, a parere di Jaspers, oltrepassare la scissione di soggetto e oggetto, in cui le scienze, a motivo della loro impostazione metodologica, costantemente si trattengono. È necessario “pensare oltre (über-hinaus-denken), al di là di ciò che è oggettivo (über das Gegenständliche)”.33

Quest’idea, sufficiente a frantumare il carattere assoluto dell’ordine scientifico, valse a Jaspers l’accusa di nichilismo, rivoltagli da un collega medico impressionato dal relativismo in cui Jaspers lasciava cadere ogni metodica scientifica:

Lei non ha alcuna convinzione. Impostando le cose come lei dice non si può fare alcuna ricerca. Senza una teoria generale non c’è scienza, la scienza nasce e si sviluppa solo mediante la teoria. Lei distrugge la solidità delle posizioni mediche. Lei è un nichilista pericoloso.34

L’accusa di nichilismo non è insignificante, al contrario denuncia un tratto tipico della mentalità scientifica che, ridotto il reale al suo aspetto metodicamente conosciuto, pensa che, al di là dell’oggetto ordinato dalle ipotesi di lavoro e confermato dalla verifica sperimentale, non ci sia più niente. Chi mette in atto un pensiero che pretende di andare oltre l’oggettività, pensata come risolutiva della totalità del reale, ha a che fare con niente, insistervi è puro nichilismo.

Ma come si può oltrepassare l’oggettività? Come è possibile uscire dalla scissione soggetto-oggetto in cui la scienza, dall’età di Cartesio in poi, ha raccolto tutte le possibilità del pensiero? In un solo modo, risponde Jaspers: radicalizzando l’orizzonte della presenza sino ad avvertire quella presenza originaria che abbracciando accoglie (umgreift), e accogliendo fonda (grundet) la presenza di un oggetto a un soggetto, a cui si limita, o nei cui limiti si trattiene l’indagine scientifica. “Noi dobbiamo imparare dai filosofi” dice Jaspers.35 Rinviando ai capitoli successivi l’ulteriore itinerario filosofico percorso da Jaspers, vediamo quali conseguenze si produssero nella psicopatologia per effetto di questa nuova impostazione fenomenologica.

4. La psicologia delle visioni del mondo e le modalità a priori che condizionano l’esistenza

Nella Psicologia delle visioni del mondo, che Jaspers pubblica sei anni dopo la Psicopatologia generale, crolla ogni distinzione tra malattia e salute, perché tematico diventa il rapporto tra l’individuo e il suo mondo. Le manifestazioni psichiche non sono più “ricondotte” alle loro cause, né “comprese” per partecipazione affettiva (Einfühlung), come avveniva rispettivamente nella sezione “esplicativa” e “comprensiva” della Psicopatologia generale, ma esaminate come rivelatrici dei modi essenziali in cui un’esistenza riceve, trasforma, si progetta nel mondo. È lo stesso Jaspers a dichiararlo:

Parlando delle visioni del mondo (Weltanschauungen), noi non abbiamo altro intento che quello di caratterizzare e di dare rilievo a ciò che per noi ha i contrassegni distintivi dell’essenzialità (die Kennzeichnung Wesentliche).36

Essenziale in una visione del mondo non è ciò che si può constatare dal punto di vista del soggetto o dal punto di vista dell’oggetto, ma ciò che si cela dietro questa scissione.37

Ciò che si cela è una struttura trascendentale, presente sia nel “sano” sia nell’“alienato”, che condiziona il modo sano o alienato di rapportarsi al mondo. L’alienazione, quindi, non dipende tanto da un contenuto psicotico, quanto dalla struttura trascendentale, che è un vuoto e nudo reticolato da cui però dipende il significato che il mondo assume per ciascuna esistenza. Scrive in proposito Jaspers:

Ogni forma trascendentale è come tale un vuoto e nudo reticolato che condiziona tutto ciò che è oggettivo. Essa non appartiene né all’anima né al corpo, non è né soggettiva né oggettiva, ma, a seconda che il soggetto guardi attraverso questo o quel reticolato, scopre particolari oggetti e fa, dal punto di vista psicologico, un’esperienza specifica. [...] Dovunque un soggetto abbia di fronte alcunché di oggettivo, sia nell’allucinazione di chi delira, sia nell’illusione o negli infinitesimi brandelli di coscienza dell’alienato, vi si danno quelle forme. Esse sono l’inerte, non vivo di per sé, ma indispensabile elemento che non bisogna mai perdere di vista.38

Ora possiamo comprendere perché la Psicologia delle visioni del mondo ha riscosso, limitatamente all’impostazione psicologica, l’incondizionata approvazione di Heidegger. Con quest’opera, infatti, Jaspers è giunto a cogliere quell’a priori esistenziale dalle cui variazioni dipende quel “restringimento”, quella “costrizione”, o quell’“appiattimento” del mondo che si riscontra nel nevrotico o nello psicotico, che a questo punto è possibile descrivere come si descrive il sano, sulla base cioè della sua visione del mondo, quindi dal suo versante, direbbe Jaspers, non dal nostro eretto a misura.

Partendo dall’a priori esistenziale, l’“incomprensibilità” dell’alienato non sarà più dedotta dalle sue singole percezioni o dalle sue idee, ma dalla sua visione del mondo che, se è troppo limitata, ristretta, contratta o appiattita, determinerà quelle condizioni per cui ogni situazione in cui il soggetto si viene a trovare diventa una situazione-limite (Grenz-situation), dove la morte, la colpa, la lotta, il dolore, non sono più lasciati essere nel loro spazio e nel loro tempo naturali, ma sono vissuti come quotidianamente incombenti e perciò come angoscianti.

Il limite della visione del mondo governa infatti tutta l’esistenza che si temporalizza nella subitaneità (Jetztlichkeit) e si spazializza in quel vuoto (leere Raum) che determina quella radicale assenza di terreno (Bodenlosigkeit), dove l’esistenza non si orienta più nel mondo (Weltorientierung), perché le sue possibilità, in cui è la sua essenza in quanto esistenza possibile (mögliche Existenz), si sono eccessivamente ridotte.

A differenza dell’interpretazione psicoanalitica, qui non è un contenuto (Inhalt) del passato che “disturba” l’esistenza e “causa” la sua alienazione, ma una modalità (Weise) con cui l’esistenza vede il mondo, una modalità che, in quanto trascendentale, presiede sia il passato sia il futuro, impedendo al passato di passare, e al futuro di annunciarsi come avvenire.

Perché il passato passi e il futuro avvenga, perché qualcosa muti a livello biografico bisogna operare a livello trascendentale, dove non si incontrano i contenuti del mondo, a cui sono riconducibili anche i “traumi” di cui parla la psicoanalisi, ma la forma con cui questi contenuti si presentano. In una parola bisogna operare sulla visione del mondo (Weltanschauung) a cui l’esistenza si è consegnata, rinunciando alla sua emergenza sul possibile (ecsistentia) per raccogliersi, cosa tra cose, nel “ci” del suo mero “esser-ci (Da-sein)”.39

Con la Psicologia delle visioni del mondo Jaspers giunge ad assegnare alle scienze psicologiche un’ottica nuova, che non consiste più nel descrivere (Dilthey) o nel comprendere (lo Jaspers della Psicopatologia) i vissuti (Erlebnisse) che compongono i mondi dei sani e dei malati, ma nel vedere in questi mondi delle varianti di quell’invariabile ontologica che è la “visione del mondo (Weltanschauung)”, in cui si raccolgono i tratti intenzionali essenziali della struttura costitutiva e normativa dei mondi che di volta in volta si danno.

Questa struttura normativa andrà precisandosi nell’Orientazione filosofica nel mondo, nella Chiarificazione dell’esistenza e nella Metafisica,40 dove il significato di tutto ciò che appare non si risolve nel suo mero apparire, ma nell’ulteriorità, a cui l’incompiutezza di senso di ciò che appare “fenomenologicamente” rinvia. In questo senso i fenomeni diventano “cifre” che, tra-guardate (quer zu gesehen), conducano dal senso presente a quell’ulteriore partecipazione di senso, che ogni fenomeno “a un tempo occulta e manifesta (zugleich verschleiert und offenbart)”.41

La direzione filosofica assunta dal discorso di Jaspers non ha consentito a quest’ultimo l’applicazione del metodo in sede psichiatrica, dove sarebbe stato possibile esplorare le strutture trascendentali di cui i singoli vissuti (Erlebnisse), magistralmente descritti nella Psicopatologia, sono solo indicazioni rinvianti, simboli o cifre di un senso più comprensivo (Umgreifende). È lo stesso Jaspers a riconoscerlo nella Prefazione alla settima edizione della sua Psicopatologia generale del 1959, dove dice:

Oggi certamente sarebbe possibile scrivere un libro migliore di questo anche per quanto riguarda il problema del metodo. Ma tale impresa rimane il compito di un ricercatore giovane, che potrebbe ben riuscire nell’intento, se volesse appropriarsi con spirito critico della coscienza metodica fin qui acquisita, se la ampliasse e fosse in grado di porla su nuovi piani. Io saluterei con gioia un tale libro. Ma fino a quando questo non sarà pubblicato, il mio vecchio libro sarà ancora adatto ad aiutare il medico che vorrà imparare a “pensare” in modo psicopatologico.42

Il nuovo piano metodologico, su cui impostare non solo la descrizione psicopatologica, ma l’intero problema epistemologico della psichiatria come scienza, è stato inaugurato da Ludwig Binswanger, grazie all’intelligente impiego delle analisi condotte dalla fenomenologia trascendentale di Husserl e dall’analitica esistenziale di Heidegger.43 È lo stesso Binswanger a riconoscere esplicitamente il debito là dove dice:

Quando parlo di fenomenologia non intendo riferirmi alla “fenomenologia descrittiva” delle manifestazioni soggettive della vita psichica qual è per esempio quella della Psicopatologia di Jaspers, ma alla fenomenologia pura e trascendentale di Husserl che ha un significato del tutto diverso.44

È il significato che Binswanger vede sotteso all’ontologia di Heidegger, da cui, dice: “Ho sempre preso le mosse per descrivere le malattie mentali”.45

1 D. Cargnello, Alterità e alienità, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 191-193.

2 J.H. Van den Berg, The phenomenological approach to Psychiatry. An Introduction to recent phenomenological Psychopathology (1955); tr. it. Fenomenologia e psichiatria, Bompiani, Milano 1961.

3 K. Jaspers, Allgemeine Psychopathologie (1913-1959); tr. it. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000, p. 244.

4 Ivi, p. 30.

5 Ivi, pp. 58, 487.

6 Ivi, p. 30.

7 Ivi, p. 332.

8 Ivi, p. 62.

9 Ivi, p. 487.

10 Ivi, p. 516.

11 Ivi, pp. 795-872.

12 Ivi, p. 243.

13 Ivi, p. 58.

14 K. Jaspers, Mein Weg zur Philosophie (1951-1958); tr. it. Il mio cammino verso la filosofia, in Verità e verifica. Filosofare per la prassi, Morcelliana, Brescia 1986, pp. 17-18.

15 Id., Nachwort zu meiner “Philosophie” (1955); tr. it. Poscritto sulla mia “Filosofia”, Utet, Torino 1978, pp. 68-69.

16 M. Heidegger, Sein und Zeit (1927); tr. it. Essere e tempo, Utet, Torino 1978, pp. 443-444.

17 Ivi, p. 376.

18 Id., Anmerkungen zu Karl Jaspers “Psychologie der Weltanschauungen” (1919-1921), in Karl Jaspers in der Diskussion, Piper, München 1973; tr. it. Note sulla “Psicologia delle visioni del mondo” di K. Jaspers, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 429-471.

19 Ivi, pp. 444-445.

20 Ivi, p. 452.

21 Ivi, pp. 469-470.

22 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): I Philosophische Weltorientierung; tr. it. Filosofia, Libro I: Orientazione filosofica nel mondo, Utet, Torino 1978, pp. 171-178.

23 Id., Psicopatologia generale, cit., p. 62.

24 Ivi, p. 487.

25 D. Cargnello, Alterità e alienità, cit., p. 191.

26 K. Jaspers, Psicopatologia generale, cit., p. 516.

27 Ivi, pp. 795-872.

28 Ivi, p. 243.

29 L. Binswanger, Lebensfunktion und innere Lebensgeschichte (1928); tr. it. Funzione di vita e storia della vita interiore, in Per un’antropologia fenomenologica, Feltrinelli, Milano 1970, p. 48. La tesi di Binswanger viene ripresa pari pari da D. Cargnello, Alterità e alienità, cit., p. 195, e da P. Balestro, Introduzione all’antropoanalisi, Bompiani, Milano 1976, pp. 46-47.

30 K. Jaspers, Wesen und Wert der Wissenschaft (1938); tr. it. La natura e il valore della scienza, in La mia filosofia, Einaudi, Torino 1964, pp. 109-127.

31 Id., Philosophische Autobiographie (1956); tr. it. Autobiografia filosofica, Morano, Napoli 1969, p. 29.

32 Ivi, pp. 29-34.

33 Id., Psychologie der Weltanschauungen (1919); tr. it. Psicologia delle visionidel mondo, Astrolabio, Roma 1950, pp. 33-34. Lei non ha alcuna convinzione. Impostando le cose come lei dice non si può fare alcuna ricerca. Senza una teoria generale non c’è scienza, la scienza nasce e si sviluppa solo mediante la teoria. Lei distrugge la solidità delle posizioni mediche. Lei è un nichilista pericoloso.

34 Id., Autobiografia filosofica, cit., pp. 35-36.

35 Ivi, p. 29.

36 Id., Psicologia delle visioni del mondo, cit., p. 57.

37 Ivi, p. 42.

38 Ivi, pp. 38-39.

39 Dasein = Esserci (Sein = essere, da = ci) non possiede in Jaspers lo stesso significato che possiede in Heidegger. Per quest’ultimo solo l’uomo è Dasein e l’essenza del Dasein è l’Existenz, o, detto in altri termini, l’Existenz è il modo autentico di essere del Dasein. In Jaspers il Dasein è il semplice “esserci” o “esser-lì”, che si riferisce tanto alle cose e agli eventi naturali, quanto all’uomo, ai suoi prodotti e alle sue creazioni. Dasein è quindi l’empiricità come tale. L’uomo, tramite la coscienza (Bewusst-sein) ha la possibilità (Möglichkeit) di emergere (ec-sistere) dall’empiricità come tale e porsi come esistenza (Existenz). L’ec di Ec-sistenz esprime quell’apertura all’essere (Sein) espressa in Heidegger dal “ci (da)” di “Esser-ci (Da-sein)”.

40 Sono questi i tre libri in cui si articola l’opera maggiore di Jaspers, Filosofia, cit.

41 Id., Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 1041.

42 Id., Psicopatologia generale, cit., p. VIII.

43 Cfr. il capitolo 13: “Binswanger e l’analisi esistenziale fenomenologicamente fondata”.

44 L. Binswanger, Melancholie und Manie. Phänomenologische Studien (1960); tr. it. Melanconia e mania. Studi fenomenologici, Boringhieri, Torino 1971, pp. 17-18.

45 Ivi, p. 21.