17. Dilthey: le scienze della natura e le scienze dello spirito

Le scienze dello spirito si distinguono dalle scienze della natura in quanto queste hanno come loro oggetto dei fatti che si presentano nella coscienza dall’esterno, cioè come fenomeni singolarmente dati, mentre in quelle i fatti si presentano dall’interno, come realtà e come una connessione vivente. [...] Ciò condiziona la grande differenza dei metodi con cui studiamo la vita psichica, la storia e la società, da quelli con cui è stata condotta innanzi la conoscenza della natura.

W. DILTHEY, Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), pp. 143-144.

Per inaugurare una psicologia capace di pensare l’uomo al di là della scissione anima e corpo, spirito e materia, natura e cultura occorre fare i conti con i linguaggi fra loro intraducibili con cui da un lato l’anima, lo spirito, la cultura, e dall’altro il corpo, la materia, la natura hanno trovato finora espressione rispettivamente nelle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften) dal taglio storico-ermeneutico con intenzione “comprensiva (verstehen)”, e nelle scienze della natura (Naturwissenschaften) dal taglio nomologico-deduttivo con intenzione “esplicativa (erklären)”.

1. La psicologia razionale di derivazione filosofica

La distinzione è stata introdotta da W. Dilthey nel tentativo di sciogliere quel nodo cruciale a cui giungono tutte le scienze umane quando, oggettivando l’uomo, cioè riducendolo alle sue componenti ultime e ai suoi aspetti misurabili, lo distruggono come soggetto e quindi nella sua espressione propriamente psicologica.

D’altra parte, accertato che la conoscenza scientifica non può procedere per pura deduzione razionale e approdare alla psiche dell’uomo partendo da principi meta-esperienziali, si pone il problema di come sia possibile una conoscenza psicologica che non sia di tipo “deduttivo-razionale”, né così “naturalizzata” da far perdere la vera natura della soggettività che si vuol prendere in esame.

A questo problema Dilthey dà una risposta in un saggio del 1894 che ha per titolo Idee per una psicologia descrittiva e analitica.1 Fu un saggio che ebbe un’importanza fondamentale per l’avvio della metodologia fenomenologica in psicologia, come riconoscono lo stesso Jaspers nella sua Psicopatologia2 e a più riprese Heidegger in Essere e tempo.3

Riprendendo le argomentazioni kantiane esposte nella “Dialettica trascendentale” a proposito “Dei raziocinii dialettici della ragion pura”,4 Dilthey nega la possibilità di fondare una psicologia deducendola astrattamente da ipotesi metafisiche e paragona questa pretesa al “sogno di quegli alchimisti filosofi della natura che pensavano di strappare alla natura la sua parola definitiva appunto con l’alchimia”.5

I tratti della vita psichica, infatti, non seguono nella loro dinamica vissuta quel determinismo della ragione che pure pretende di descriverli normativamente, perché, osserva Dilthey: “L’insieme psichico, se da un lato partecipa all’unità dell’Io penso, dall’altro è condizionato dal flusso della coscienza”.6 Con questa assunzione, Dilthey, pur appoggiandosi alle argomentazioni kantiane, va oltre Kant, a cui rimprovera di aver affidato tutto il compito propriamente conoscitivo soltanto “al pensiero razionale che divide, analizza, separa, mentre la vita fluisce e sente”.7

2. La psicologia esplicativa delle scienze della natura

Se dal pensiero razionale non si può dedurre una psicologia, tanto meno si può pensare di costruirla sul modello delle scienze naturali, il cui intento, scrive Dilthey, è di “spiegare i fenomeni subordinandoli a un sistema causale attraverso un numero di elementi univocamente determinati”.8 Questo tipo di psicologia, che Dilthey chiama “esplicativa (erklärende Psychologie)”, opera con l’intento di trasferire i metodi propri delle scienze della natura al campo della vita spirituale: “Essa vuole spiegare la costituzione del mondo psichico secondo i suoi elementi, le sue forze e le sue leggi, precisamente come la fisica e la chimica spiegano quelle del mondo corporeo”.9

A questa impostazione metodologica Dilthey muove due obiezioni: la prima è che nelle scienze della natura il concetto di ipotesi viene determinato dalle condizioni a cui deve soggiacere la conoscenza della natura, e che, nel caso della psicologia esplicativa, esige che si assuma “l’ipotesi del parallelismo degli eventi nervosi e degli eventi spirituali, per cui anche i più importanti fatti spirituali non sono che sintomi della nostra vita corporea”.10 Ma su che cosa si fonda questa ipotesi? La domanda di Dilthey è legittima perché:

In psicologia le ipotesi non giocano assolutamente lo stesso ruolo che giocano all’interno della conoscenza della natura. In questa, infatti, ogni insieme strutturale si costituisce attraverso il sistema delle ipotesi, nella psicologia invece è dato proprio l’insieme strutturale in maniera originale e continua, perché la vita è ovunque e soltanto come insieme.11

Se ne deduce che le ipotesi vengono eventualmente redatte dopo la comprensione di questa vita, per realizzare la quale, e qui siamo alla seconda obiezione, non si può procedere con il metodo delle scienze della natura, perché queste avvicinano dall’esterno i fenomeni che studiano, mentre gli eventi della vita possono essere esperiti solo in quanto vissuti (erlebt). Di qui la famosa distinzione di Dilthey:

Le scienze dello spirito si distinguono dalle scienze della natura in quanto queste hanno come loro oggetto dei fatti che si presentano nella coscienza dall’esterno, cioè come fenomeni singolarmente dati, mentre in quelle i fatti sorgono originariamente dall’interno, come una connessione vivente. Da ciò deriva che nelle scienze naturali la connessione della natura è data soltanto in virtù di ragionamenti che integrano i fatti, cioè mediante un collegamento di ipotesi. Per le scienze dello spirito ne consegue invece che a loro fondamento c’è sempre la connessione originaria della vita psichica. Noi spieghiamo la natura, ma comprendiamo la vita psichica. [...] La connessione vissuta è qui l’elemento primo, la distinzione dei suoi singoli membri sopravviene in seguito. Ciò condiziona la grande differenza dei metodi con cui studiamo la vita psichica, la storia e la società, da quelli con cui è stata condotta innanzi la conoscenza della natura.12

Stante il diverso modo di presentarsi del fenomeno nelle scienze della natura e nelle scienze dello spirito, il concetto di “esperienza” non può più essere assunto in modo univoco, perché “di ogni oggetto di studio si fa esperienza in maniera adeguata alla sua natura”.13 Voler mantenere lo stesso concetto di esperienza per tutti i possibili oggetti non significa essere rigorosi, ma semplicemente semplificatori. Pertanto se Erfahrung è l’esperienza richiesta per abbordare i fenomeni che si offrono dall’esterno, Erlebnis sarà l’esperienza necessaria per accedere a quei fenomeni che si costituiscono solo nell’immediato vissuto.

Dai due ordini di esperienza scaturiscono due ordini di operazioni logiche, che per le scienze della natura sono l’induzione, l’esperimento e l’operazione matematica, mentre per le scienze dello spirito sono la descrizione, l’analisi, la comparazione e l’ermeneutica. Diversamente non potrebbe essere, per il differente rapporto in cui il ricercatore si viene a trovare rispetto al fenomeno studiato e per la differenza dei rispettivi ideali conoscitivi. Infatti, scrive Dilthey:

L’ideale della costruzione delle scienze della natura è la concettualità, il cui principio è costituito dall’equivalenza delle cause e degli effetti. Essa deve limitarsi all’assoluta comparabilità delle grandezze, e la sua espressione più compiuta consiste nel pensare in forma di equazioni. L’ideale invece delle scienze dello spirito è la comprensione dell’individuazione storico-sociale dell’uomo, in base alla connessione e alla comunanza presente in ogni vita psichica.14

Ne consegue che le scienze dello spirito non devono muovere da una pluralità per risalire alla totalità attraverso un processo costruttivo come avviene nelle scienze della natura, ma devono invece partire dalla connessione immediata che caratterizza la vita psichica. In questo senso, scrive Dilthey:

Il procedimento della psicologia deve essere un procedimento analitico, non già costruttivo. Essa deve partire dalla vita psichica nel suo sviluppo, non già derivare da processi elementari. [...]
Inoltre, mentre la psicologia esplicativa comincia con le ipotesi, la psicologia descrittiva e analitica termina con ipotesi. La sua possibilità poggia sul fatto che tale connessione, universalmente valida, conforme a leggi e comprendente l’intera vita psichica, è a noi accessibile senza l’applicazione di metodi costruttivi offerti dalle scienze della natura.15

Si comprende a questo punto perché la distinzione di Dilthey tra metodo costruttivo e metodo analitico descrittivo fosse attaccata dagli psicologi del suo tempo, in quanto, negando la possibilità di valersi in psicologia del metodo esplicativo delle scienze naturali, nonché la possibilità di sperimentare sulla psiche dell’uomo come se si trattasse di un mero oggetto di natura, minava l’intento della psicologia che, proprio in quell’epoca, puntava decisamente ad allinearsi sul piano delle scienze naturali.

Per Dilthey, invece, si può cominciare a parlare di psicologia in senso proprio, solo se si lascia da parte il problema della causalità intesa in senso naturalistico e si adotta quella modalità di conoscenza, radicalmente e sostanzialmente diversa, che consiste nel comprendere la vita psicologica dei nostri simili dall’interno, giacché è propriamente umano solo ciò che è intimamente esperito (erlebt), con l’avvertenza che l’esperienza vissuta (Erlebnis), richiede metodi di validazione diversi da quelli propri delle scienze della natura.

3. La psicologia descrittiva e l’esperienza vissuta

Erlebnis è parola tradotta in italiano con “esperienza vissuta”, dove nell’aggettivo c’è il senso di un nuovo approccio epistemologico ai fatti psichici e precisamente: avvicinare la vita con la vita. Ciò è possibile solo se il vivente viene ripreso in un atto vitale che lo riesprime (Nacherleben). Un simile procedimento non è logico, precisa Dilthey, perché “il riprendere è un rivivere”.16

Questa è anche la ragione per cui in psicologia non si può parlare, come nelle scienze della natura, di un soggetto e di un oggetto, di un percipiente e di un percepito, ma solo di un atto in cui emerge quella configurazione dinamica comune a tutti i processi di vita.

L’essere di colui che è percepito non viene posto-di-fronte (Gegen-stand, ob-jectum) al soggetto e così oggettivato, ma è da questi fatto proprio come evento della sua stessa vita e così conosciuto. In questo modo è possibile “comprendere” la vera essenza dell’altro, senza ricorrere a quelle scomposizioni riduttive proprie di tutte le scienze che guardano “dall’esterno” i loro fenomeni. Nel suo “essere evento”, l’evento finisce per essere evento del soggetto, perché, scrive Dilthey: “Il suo essere per noi è inseparabile da ciò che in esso è per noi presente”.17

Ora, se l’Erlebnis dice l’esperienza vissuta del singolo, quali relazioni esistono tra questa esperienza e l’alterità, l’ambiente, il mondo in generale? Dilthey risponde che l’individuo non è assolutamente un mondo chiuso, come sottintende la distinzione naturalistica tra soggetto e oggetto di derivazione cartesiana. Il rapporto con gli altri e con la realtà naturale è essenziale all’individuo, nel senso che è costitutivo della sua personalità. Il mondo, cioè, appartiene a quella vita interiore di cui si ha Erlebnis, non è quindi un oggetto che sta di contro, ma un elemento strutturale della singola soggettività:

L’io si trova in un mutare di stati, che vengono riconosciuti come unitari mediante la coscienza dell’identità della persona, e al tempo stesso si trova condizionato da un mondo esterno e reagente su di esso, mentre lo coglie pure nella sua coscienza e lo sa determinato dagli atti della sua percezione sensibile. In quanto l’unità vivente è condizionata dall’ambiente in cui vive e a sua volta lo condiziona, ne deriva un’organizzazione dei suoi stati interiori che può venir designata come struttura della vita psichica. Quando la psicologia descrittiva coglie questa struttura, le si rivela la connessione (Strukturzusammenhang) che unisce in una totalità le serie psichiche. Questa totalità è la vita.18

La vita quindi è caratterizzata da una serie di eventi di cui si ha Erlebnis. Questi eventi non sono tra loro irrelati, ma connessi da un’unità vissuta (erlebt) come “connessione di senso e di significato (Bedeutungszusammenhang)” di cui ogni Erlebnis dà testimonianza. Ora, se tutti gli Erlebnisse che si succedono nel tempo parlano del fondamento strutturale (Bedeutungszusammenhang) del singolo perché tutti contribuiscono a rivelarlo, è tuttavia la loro articolata connessione (Strukturzusammenhang) che parla dello sviluppo (Entwicklung) di questo fondamento.

Con il termine “connessione strutturale” non si reintroduce la categoria della causalità, propria delle scienze della natura, precedentemente bandita, perché mentre nel rapporto causale i due termini causa ed effetto non sono invertibili, nella connessione strutturale un Erlebnis fa comprendere un altro Erlebnis che, a sua volta, fa comprendere il primo, e tutti ognuno, così come ognuno tutti o, come dice Dilthey, “il tutto come totalità dotata di senso”.19

Passare da una psicologia esplicativa a una psicologia descrittiva e analitica significa allora passare da una psicologia che, come scrive Dilthey: “Vuole spiegare la costituzione del mondo psichico secondo i suoi elementi, le sue forze, le sue leggi, come una specie di meccanica psicologica20 a una psicologia che:

Partendo dalla connessione della vita psichica considerata nella sua totalità, analizza, non con il solo intelletto ma con la cooperazione di tutte le forze dell’animo, i singoli membri di questa connessione, descrive e indaga gli elementi e le funzioni che li uniscono il più profondamente possibile, senza intraprendere alcuna costruzione causale dei processi psichici.21

L’intento non è quello di pervenire a un inventario, ma un tentativo di cogliere, nella concatenazione strutturale degli Erlebnisse, quella connessione di significato in cui si esprime la vita dell’uomo, evitando così lo scoglio dell’interpretazione riduttiva, in base a un’ipotesi anticipata. In questo modo Dilthey dischiude quell’itinerario che, da una psicologia naturalisticamente intesa, conduce a quella descrizione e analisi esistenziale che si propone di comprendere l’uomo e non di spiegarlo attraverso procedure causali inidonee a catturare il senso della sua esistenza.

1 W. Dilthey, Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), in Gesammelte Schriften, Vendenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1958 sgg., vol. V; tr. it. antologica in P. Rossi (a cura di), Idee per una psicologia descrittiva e analitica, in Lo storicismo contemporaneo, Loescher, Torino 1968.

2 K. Jaspers, Allgemeine Psychopathologie (1913-1959); tr. it. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000, p. 327, dove si legge: “‘Comprendere’ è fin dai tempi più remoti una condotta fondamentale metodicamente cosciente secondo le scienze dello spirito. A introdurla fu Dilthey là dove parla di psicologia descrittiva e analitica in opposizione alla psicologia esplicativa”.

3 M. Heidegger, Sein und Zeit (1927); tr. it. Essere e tempo, Utet, Torino 1978, p. 112, dove si legge: “Le indagini di W. Dilthey sono costantemente animate dal problema della ‘vita’. Egli cerca di comprendere le ‘esperienze vissute’ di questa ‘vita’ nella loro connessione di struttura e di sviluppo a partire dalla totalità di questa vita stessa”. E ancora alle pp. 567-568: “Dilthey fu il ‘sensibile’ interprete della storia dello spirito, che si sforzò di raggiungere ‘anche’ una delimitazione comparativa delle scienze della natura e di quelle dello spirito, attribuendo alla storia di queste e alla ‘psicologia’ un ruolo particolare e diluendo il tutto in una ‘filosofia della vita’ di tinta relativistica. Per una considerazione superficiale questa definizione è ‘esatta’. Ma è in contrasto con la ‘sostanza’. Essa nasconde molto di più di quanto rivela”.

4 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft (1781-1787); tr. it. Critica della ragion pura, Laterza, Bari 1959, vol. I, pp. 323-346.

5 W. Dilthey, Einleitung in die Geisteswissenschaften. Versuch einer Grundlegung für Gesellschaft und Geschichte (1883), in Gesammelte Schriften, cit., vol. I, 1979, p. 92; tr. it. Introduzione alle scienze dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1974.

6 Ivi, p. 95.

7 Ivi, p. 97.

8 Id., Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, cit., p. 139.

9 Ibidem.

10 Ivi, p. 142.

11 Ibidem.

12 Ivi, pp. 143-144.

13 Ivi, p. 253.

14 Id., Beiträge zum Studium der Individualität (1895-1896), in GesammelteSchriften, cit., vol. V, p. 265.

15 W. Dilthey, Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, cit., pp. 168, 175.

16 Id., Beiträge zum studium der Individualität, cit., p. 277.

17 Id., Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, cit., p. 172.

18 Ivi, p. 200.

19 Ivi, p. 172.

20 Ivi, p. 139.

21 Ivi, p. 175.