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Il vicedirettore della Central Intelligence Agency raggiunse Paul Laska poco dopo la mezzanotte. Il vecchio era a letto, nella sua casa, ma aveva dato ad Alden un numero che gli avrebbe permesso di contattarlo a qualsiasi ora.

«Pronto?»

«Paul, sono Charles.»

«Non mi aspettavo di sentirla. Mi aveva detto di non voler essere coinvolto più di quanto non sia già.»

«È troppo tardi. Kealty mi ha fatto pressioni.»

«Può rifiutare, lo sa. Non sarà presidente ancora per molto.»

Alden rifletté per un istante, poi rispose: «Arrestare John Clark è nell’interesse di tutti. Dobbiamo scoprire per chi sta lavorando. Com’è riuscito a catturare l’Emiro. Chi sono le altre persone del suo gruppo».

«So che il signor Clark ha lasciato gli Stati Uniti, e la CIA sta lavorando sul caso all’estero.»

«La sua rete di intelligence è migliore della mia, Paul.»

Una lieve risata dal vecchio nel suo letto. «Cosa posso fare per lei?»

«Sono preoccupato che, nonostante le mie buone intenzioni, i miei colleghi della Central Intelligence Agency non siano molto inclini a impiegare ogni risorsa per dare la caccia a John Clark. Le truppe hanno un grande rispetto per lui. Ho dato ordini a tutti di cercarlo, ma gli investigatori non si stanno impegnando come potrebbero. E io… cioè Kealty, non ha tempo da perdere.»

Dopo una lunga pausa, Laska rispose: «Vorrebbe un “aiutino” dall’esterno? È questo che mi sta chiedendo?».

«Proprio così.»

«Conosco qualcuno che può fare al caso nostro.»

«È proprio ciò che speravo.»

«Fabrice Bertrand-Morel.»

La pausa che seguì fu breve questa volta. «Possiede un’agenzia investigativa in Francia, giusto?» chiese conferma Alden.

«Esatto. Gestisce la più grande agenzia investigativa privata internazionale, con uffici in tutto il mondo. Se Clark ha lasciato il Paese, gli uomini di Fabrice Bertrand-Morel lo staneranno.»

«Sembra la persona adatta» commentò Alden.

Laska assentì. «In Francia sono le sei del mattino. Se lo chiamo adesso, starà facendo la sua passeggiata mattutina. Organizzerò una cena per noi stasera, laggiù.»

«Eccellente.»

«Buonanotte, Charles.»

«Paul… ci serve vivo. Siamo d’accordo su quel punto, giusto?»

«Buon Dio. Come puoi pensare che io potrei…»

«Perché conosco i metodi di Bertrand-Morel.»

«Si è trattato solo di accuse. Non è stato mai provato nulla.»

«Certo, perché le nazioni in cui ha compiuto tali crimini ne hanno tratto dei benefici.»

Laska non rispose, per cui Alden spiegò meglio il suo punto di vista su quell’uomo e la sua compagnia.

«Sono nella CIA. Sappiamo tutto del lavoro di Fabrice Bertrand-Morel. Ha la reputazione di un uomo capace ma senza scrupoli. E i suoi uomini sono noti per essere tagliagole. Ora… per favore, intendiamoci. Deve esserci assoluta chiarezza tra noi: né il presidente Kealty né chiunque lavori con o per lui vuole la morte del signor Clark.»

«Abbiamo un accordo. Buonanotte, Charles» concluse Laska.

Sam Driscoll fu sorpreso nel vedere l’alba. Era confuso. Le guardie non avevano comunicato affatto con lui, e non capiva perché gli uomini di Haqqani non avessero eseguito l’ordine del generale Rehan di interrogarlo e poi metterlo al muro per sparargli.

La fortuna esiste e, una volta tanto, ti aiuta. Driscoll non l’avrebbe mai saputo, ma il giorno prima della sua cattura nelle FATA, quaranta chilometri a nord della sua posizione a Miran Shah, tre capi della Rete Haqqani erano stati arrestati a un posto di blocco a Gorbaz, una piccola città afghana a sud della roccaforte di Khost. Per qualche settimana Haqqani e i suoi uomini pensarono che le forze della NATO tenessero prigionieri i tre. Lo stesso Siraj Haqqani, dopo aver saputo della fortuita cattura di una spia occidentale, inviò ordini contrari ai desideri di Rehan: l’americano sarebbe stato tenuto in vita, illeso, per essere usato come merce di scambio.

Fu solo due mesi più tardi che i tre corpi dei capi furono ritrovati avvolti in sacchi, abbandonati in una discarica a nord di Khost. Erano caduti vittime di un gruppo rivale affiliato dei talebani. La NATO non c’entrava nulla con la loro cattura, né con il loro omicidio.

Ma la vicenda fece guadagnare un po’ di tempo a Driscoll.

La mattina dopo la visita di Rehan, sul presto, gli sciolsero le catene e lo rimisero in piedi. Barcollava sulle gambe ferite. Aveva la testa coperta da un patu, uno scialle tradizionale, presumibilmente per renderlo irriconoscibile agli UAV, e fu trascinato fuori dalla cella fredda, spinto nella luce dell’alba e fatto salire sul sedile posteriore di un furgone Toyota Hilux.

Lo portarono a nord, fuori dal complesso nei pressi del ponte di Bannu Road, fino a Bannu e poi nella città di Miran Shah. Sentì i motori dei camion e il suono dei clacson; agli incroci udiva i pedoni camminare per le strade strette, anche a quell’ora di mattina.

S’allontanarono dalla città qualche minuto più tardi. Sam lo capì dall’aumento della velocità e dall’assenza di rumori di altri veicoli.

Viaggiarono per quasi due ore. Per quanto riuscì a capire Driscoll non si trovava in un convoglio, ma sul retro di un singolo pick-up diretto fuori città. La situazione non gli sembrava tesa. Gli uomini sui sedili posteriori insieme a lui – aveva identificato tre voci distinte, ma era sicuro che fossero di più – ridevano e scherzavano.

Non parvero preoccuparsi dei droni americani, né delle forze di terra dell’esercito pakistano.

No, questo era il territorio di Haqqani; erano gli uomini accanto a Sam a comandare.

Infine percorsero North Waziristan Road, nella città di Aziz Khel, e si fermarono davanti a un grande edificio protetto da un cancello. Sam fu trascinato fuori dal furgone, poi entrò barcollando nella struttura. Lì gli tolsero lo scialle dalla testa; si ritrovò in un corridoio buio. Fu condotto attraverso il passaggio; superò stanze piene di donne col burqa che facevano del loro meglio per restare nell’ombra e uomini armati dalla barba lunga in cima a una scala di pietra che conduceva a un seminterrato.

Inciampò più di una volta. Le ferite causate dalle schegge conficcatesi nelle cosce e nei polpacci gli avevano provocato danni ai muscoli: la sua andatura risultava scoordinata e camminava a fatica; con le catene di ferro ai polsi, restare in equilibrio era molto difficile.

Mentre passava davanti ai locali, fu in qualche modo sorpreso di vedere quanto poco interesse suscitasse nelle persone intorno a lui. O il posto riceveva molti prigionieri, oppure erano tutti abbastanza disciplinati da non tradire grandi emozioni.

Nel seminterrato ricevette una risposta. Entrò in una stanza alla fine di un corridoio di pietra, poi oltrepassò una lunga fila di piccole celle con le sbarre di ferro sulla sua sinistra. Guardando nelle gabbie scure, contò sette prigionieri. Uno era occidentale, un giovane che non disse nulla quando lo vide passare. Altri due erano asiatici; erano distesi su brande piuttosto spartane e lo guardavano in modo inespressivo.

Gli altri prigionieri erano afghani o pakistani. Uno di loro, un vecchio tarchiato con una lunga barba grigia, giaceva supino sul pavimento della sua cella. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi socchiusi. Anche con la luce fioca, era evidente che la vita lo avrebbe abbandonato ben presto se non avesse ricevuto cure mediche.

La nuova casa di Driscoll era l’ultima cella sulla sinistra. Era buia e fredda, ma c’era un giaciglio di corda che lo avrebbe separato dal pavimento di cemento; le guardie gli tolsero le catene. Mentre le sbarre di ferro si richiudevano dietro di lui, scavalcò un secchio e adagiò il corpo dolorante sulla branda.

Per un ex ranger dell’esercito abituato a una vita austera, quelle celle non erano le peggiori che avesse mai visto. Erano maledettamente più confortevoli del luogo da cui era appena venuto. Inoltre, il fatto che a quanto pareva dovesse restare lì a lungo, se da un lato di certo non lo entusiasmava, dall’altro contribuì a risollevargli il morale rispetto al giorno precedente.

Ma più di ogni altra cosa, nonostante la sua difficile condizione, Sam Driscoll pensava alla missione. Doveva trovare il modo di riferire al Campus che il generale Rehan stava cooperando con gli agenti della Rete Haqqani su qualcosa di assolutamente segreto.

Inizio


Il giorno del falco
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