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Quella settimana, per Melanie Kraft, era decisamente pessima. Giovane analista della CIA, Melanie era uscita dall’American University soltanto due anni prima. Si era laureata in studi internazionali specializzandosi poi in politica estera americana. Figlia di un militare dell’Air Force, aveva vissuto cinque anni in Egitto quando era ancora adolescente e la cosa rendeva il suo profilo perfetto per la CIA. Lavorava nel Direttorato di Intelligence, più precisamente nell’Office of Middle East and North Africa Analysis. Esperta delle questioni egiziane, la signorina Kraft era brillante e ambiziosa, e non appena ne aveva la possibilità affiancava al lavoro altri progetti di suo interesse personale.

E proprio la sua temerarietà stava rischiando di stroncare sul nascere la sua promettente carriera.

Melanie era abituata a vincere. Così era stato nei corsi di lingua seguiti in Egitto, nella squadra di calcio delle superiori e all’università. Aveva sempre ottenuto il massimo dei voti. La sua propensione a lavorare sodo le aveva fatto guadagnare l’apprezzamento dei professori e diverse lettere di raccomandazione per l’Agenzia. Ma la scia di successi intellettuali e professionali sembrava essersi interrotta una settimana prima, quando aveva appoggiato sulla scrivania del suo capo un dossier redatto al di fuori dell’orario di lavoro.

Si intitolava Analisi della retorica politica dei Fratelli Musulmani in inglese e in masri. Aveva incrociato siti web in inglese e in arabo egiziano (il masri, appunto) per documentare la discrepanza sempre più evidente nelle modalità con cui i Fratelli Musulmani si rapportavano con l’Occidente e con i Paesi di lingua araba. Era un documento tagliente e ben strutturato. Melanie ci aveva dedicato notti intere, weekend inclusi. Aveva creato il profilo di un ragazzo arabo per poter accedere ai forum islamisti protetti da password. Si era guadagnata la fiducia dei membri egiziani di quei «cybercafe» e questi l’avevano introdotta nella loro cerchia e commentavano con lei i discorsi tenuti dai Fratelli nelle madrasa sparse nel Paese. Le rivelavano persino dei viaggi che i diplomatici dell’organizzazione facevano nelle altre nazioni musulmane per scambiarsi informazioni con i radicali di quelle zone.

Poi aveva confrontato il materiale con la facciata rassicurante che i Fratelli Musulmani proiettavano nel mondo occidentale.

Una volta terminato il rapporto, lo aveva consegnato al suo diretto superiore il quale l’aveva mandata dal capo del dipartimento, la signora Phyllis Stark. Phyllis ne aveva letto il titolo, e con un breve cenno del capo aveva buttato la cartellina sulla scrivania.

Melanie ci era rimasta molto male. Si aspettava quanto meno un po’ di entusiasmo. Tornando verso la sua postazione aveva sperato che il frutto di tanto lavoro raggiungesse almeno i piani alti.

Due giorni dopo aveva visto realizzato il suo desiderio. La signora Stark aveva fatto girare il dossier, qualcuno lo aveva letto e Melanie era stata convocata in una sala conferenze al quarto piano. Il suo diretto superiore, il capo del dipartimento e un paio di manager del settimo piano mai visti prima di allora erano già lì quando era arrivata.

Nessuno aveva fatto alcuno sforzo per celare il motivo della riunione. Il modo di gesticolare e gli sguardi di quegli uomini avevano fatto capire a Melanie che era nei guai ancora prima di accomodarsi al tavolo.

«Signorina Kraft, cosa sperava di ottenere con questa sua iniziativa personale? Cosa vuole?» le aveva chiesto un funzionario politico del settimo piano di nome Petit.

«In che senso?»

«Sta per caso tentando di farsi assegnare un altro incarico? O vuole soltanto far circolare questa sua ricerca così se Jack Ryan dovesse vincere le elezioni e portare qui dentro i suoi uomini lei possa entrare nelle loro grazie?»

«No!» Non le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello. L’avvicendamento dei presidenti non avrebbe influito in nessun modo sul personale del suo livello, in teoria. «Mi è semplicemente capitato di leggere che stiamo sferrando colpi decisivi contro i Fratelli Musulmani e ho pensato che alcune informazioni aggiuntive potessero tornare utili. Secondo alcuni dati open source, di cui potrete controllare le fonti perché le ho citate una per una, si può presagire un ben più grave…»

«Signorina Kraft, non siamo una commissione di laurea: non mi metterò a controllare le note a piè pagina.»

Melanie non aveva ribattuto, rinunciando anche a concludere la sua arringa difensiva.

Petit, invece, aveva continuato a incalzarla. «È andata oltre i compiti a lei assegnati, proprio nel momento in cui la spaccatura all’interno dell’Agenzia sta diventando sempre più profonda.»

La Kraft non immaginava nemmeno ci fosse una spaccatura all’interno della CIA, o meglio l’unica che vedeva era forse quella tra i signori con la barba ingrigita a rischio di perdere il posto di lavoro se Ryan avesse vinto le elezioni e quelli, anche loro di una certa età, che invece avrebbero ottenuto una promozione. Ma quel mondo era lontanissimo dal suo e avrebbe voluto spiegarlo a Petit.

«Signore, non era mia intenzione scatenare alcun tipo di contrasto all’interno di questo dipartimento. Io mi occupo delle questioni egiziane e le informazioni che…»

«E così, invece di pensare ai rapporti che è tenuta a stilare ogni giorno ha preferito lavorare su questo documento?»

«No, signore. Ci ho lavorato a casa.»

«Potremmo aprire un’indagine su di lei per verificare se ha usato risorse secretate per…»

«Il cento per cento delle informazioni usate per redigere quel documento è open source. I profili fittizi con cui ho avuto accesso ai siti internet non sono stati creati dai computer dell’Agenzia e, onestamente, nessun aspetto del mio lavoro qui dentro avrebbe potuto aiutarmi in questa ricerca.»

«Quindi a sentir lei i Fratelli Musulmani non sarebbero altro che una banda di terroristi.»

«No, signore. Non è questa la conclusione a cui sono giunta. Mi sono limitata a osservare come la retorica che usano in lingua inglese diverga da quella in lingua masri. Suggerisco solo di monitorare alcuni di questi siti.»

«Ah, lei suggerisce?»

«Sì, signore.»

«E secondo lei dovremmo farlo perché è stato trovato uno straccio di prova ufficiale, o semplicemente perché… perché lo pensa lei?»

Melanie non aveva trovato le parole per rispondere.

«Signorina, la CIA non prende decisioni politiche.»

Melanie lo sapeva e quel dossier non voleva in nessun modo influenzare la politica estera americana con l’Egitto. L’unico obiettivo era quello di offrire una visione diversa da quella comunemente accettata.

Petit non era ancora soddisfatto: «Il suo lavoro consiste nel rintracciare le informazioni che le vengono chieste. Non è un agente dei servizi clandestini. Ha oltrepassato il limite, e per di più in un modo a nostro avviso molto sospetto».

«Sospetto?»

Petit si era stretto nelle spalle. Era un politico, in fondo, e i politici danno per scontato che tutti, come loro, pensino solo ed esclusivamente alla politica. «I sondaggi danno Jack Ryan in vantaggio. Melanie Kraft si dedica – a suo dire nel tempo libero – a un’operazione sotto copertura messa in piedi da lei stessa, e che, guarda caso, è perfettamente coerente con le linee di Ryan.»

«Ma io… io non so nemmeno quali siano le sue linee. Non mi interessa…»

«Grazie, signorina Kraft. È tutto.»

Melanie era tornata nel suo ufficio troppo umiliata, confusa e arrabbiata per scoppiare in lacrime. Avrebbe pianto quella sera, nel suo minuscolo appartamento di Alexandria mentre si domandava perché avesse fatto una cosa del genere.

Era chiaro persino da un gradino basso come il suo, con una visione limitata dell’immensa organizzazione dell’Agenzia, che i funzionari politici all’interno della CIA cercavano di manipolare le informazioni a uso e consumo degli interessi della Casa Bianca. Davvero il suo dossier poteva essere visto come una critica e una minaccia a quel sistema?

Evidentemente sì.

Suo padre era stato colonnello dell’esercito e le aveva trasmesso un profondo senso del dovere aiutandola a sviluppare una forte personalità. Era cresciuta leggendo le biografie dei grandi uomini e delle grandi donne della storia, per lo più membri di eserciti o di governi. Grazie a quelle letture era ben presto arrivata a una conclusione: nessuno raggiunge gli alti gradi semplicemente comportandosi da «bravo soldato». No, erano stati quei pochi uomini e quelle poche donne che si erano opposti all’establishment (soltanto quando ce n’era stato davvero bisogno) a rendere grande l’America.

La massima ambizione di Melanie Kraft era distinguersi dalla massa. Voleva essere una donna vincente.

Quel giorno, però, si era scontrata con uno dei piccoli inconvenienti che nascono dal voler emergere: a mostrare spesso gli artigli si rischiava di spezzarseli.

Melanie era seduta alla scrivania e sorseggiava caffè freddo con lo sguardo fisso sullo schermo. Il giorno prima il suo capo le aveva detto che il suo documento era stato distrutto, fatto in mille pezzi da Petit e da quelli del settimo piano. Phyllis Stark le aveva riferito in tono infuriato la reazione del vicedirettore della CIA, Charles Alden. Ne aveva letto un quarto prima di gettarlo nella pattumiera chiedendosi come mai l’autrice di quella porcheria avesse ancora un lavoro. I colleghi del suo ufficio erano solidali con lei, ma non volevano in alcun modo vedere compromessa la loro carriera per colpa di una collega che aveva cercato di prevaricarli svolgendo delle indagini di testa propria. Così, era stata ben presto emarginata.

Alla tenera età di venticinque anni si trovava già a pensare di dover lasciare l’Agenzia. Forse avrebbe potuto trovare un lavoro nel settore commerciale di qualche azienda e magari avrebbe avuto una retribuzione migliore di quella offerta dal governo. Avrebbe dovuto dire addio a quell’organizzazione che lei amava con tutta se stessa ma dalla quale, evidentemente, in quel momento non era ricambiata.

Il telefono sulla scrivania cominciò a squillare. Era un numero esterno. Appoggiò la tazza di caffè freddo e sollevò la cornetta. «Melanie Kraft.»

«Salve Melanie, sono Mary Pat Foley del NCTC. È un brutto momento?»

Melanie per poco non sputò l’ultimo sorso di caffè sulla tastiera. Mary Pat Foley del National Counter-terrorism Center era una leggenda nei servizi segreti americani. La sua reputazione e l’impatto che la sua carriera aveva avuto sugli affari esteri nazionali e sulle donne della CIA la precedevano.

Melanie non l’aveva mai conosciuta di persona, ma aveva assistito a una decina dei suoi discorsi quando era ancora una studentessa universitaria. Di recente aveva partecipato a un seminario sul lavoro del NCTC organizzato dalla Foley per gli analisti della CIA.

L’agente Kraft rispose balbettando. «Sì…»

«Ah, mi scusi, quindi la disturbo?»

«No, si figuri. Niente affatto.»

La giovane analista si sforzò di parlare in tono professionale, cercando di tenere a bada le emozioni. «Come posso aiutarla, signora Foley?»

«L’ho chiamata perché ho appena letto il suo dossier.»

«Ah.»

«Molto interessante.»

«Graz… Ma come…?»

«Come hanno reagito quei matusalemme del settimo piano?»

«Be’» la ragazza cercava le parole giuste, «a dire il vero devo ammettere che… è stato accolto con una certa ostilità.»

Mary Pat Foley ripeté l’ultima parola, scandendola. «Ostilità.»

«Sì. Mi aspettavo una certa reticenza da parte…»

«Posso concludere che stanno per darle il benservito?»

Melanie rimase a bocca aperta per un attimo. Poi si ricompose, come se la signora Foley fosse nel suo ufficio e potesse vederla. Alla fine farfugliò una risposta. «Io… io direi piuttosto che… sono in punizione, ecco.»

Seguì una breve pausa. «Se vuole sapere come la penso io, signorina Kraft, lei ha avuto un’idea fantastica.»

Altra pausa. «Grazie.»

«Ho messo in piedi una squadra con il compito di analizzare il suo dossier, comprese conclusioni e citazioni, in modo da scovare informazioni potenzialmente utili al nostro lavoro qui al NCTC. Sto anche pensando di farlo leggere al mio staff. Oltre a fornire una prospettiva molto interessante della realtà egiziana, il suo resoconto dimostra come sia possibile affrontare una determinata questione da angolazioni diverse. È quello che chiedo sempre ai miei collaboratori e gli esempi pratici come questo possono tornarmi molto utili.»

«Ne sono onorata.»

«Phyllis Stark è molto fortunata ad averla nel suo team.»

«Grazie.» Melanie continuava a ripetere «grazie», ne era perfettamente consapevole, ma era così concentrata a evitare di dire qualsiasi cosa di cui avrebbe potuto pentirsi che non le veniva in mente nient’altro.

«Se dovesse sentire il desiderio di cambiare aria, mi faccia uno squillo. Siamo sempre alla ricerca di giovani analisti che non abbiano paura di rompere le uova nel paniere portando a galla delle verità scomode.»

E in quel momento Melanie Kraft trovò finalmente qualcosa da dire. «È libera in settimana?»

Mary Pat scoppiò a ridere. «Santo cielo, è messa così male?»

«Qui dentro sembro un’appestata. Anzi, peggio. Se avessi la lebbra almeno riceverei gli auguri di pronta guarigione.»

«Perbacco! Gli uomini di Kealty lì dentro sono dei perfetti idioti.»

Melanie non rispose. Avrebbe potuto vomitare un fiume di improperi, ma si trattenne. Non sarebbe stato un atteggiamento professionale e poi preferiva tenersi fuori dagli interessi della politica.

«Va bene. Mi farebbe piacere incontrarla. Lei sa dove sono i nostri uffici?» le chiese Mary.

«Sì.»

«Chiami la mia segretaria. Questa settimana è abbastanza piena, ma possiamo organizzarci per un pranzo all’inizio della prossima.»

«Grazie» ripeté la ragazza.

Melanie riagganciò, e per la prima volta dopo giorni non sentì il desiderio né di piangere, né di tirare un pugno contro il muro.

Inizio


Il giorno del falco
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