44

John Clark scese dall’autobus ad Arlington, in Virginia, alle 5:50 del mattino. Tenne il cappuccio della giacca alzato mentre camminava su North Pershing, verso un quartiere ancora addormentato. Il suo obiettivo era il civico 600 di North Fillmore, ma non ci sarebbe andato direttamente; proseguì, si infilò nel vialetto di una casa di legno immersa nel buio e ne seguì il perimetro fino alla staccionata posteriore. La scavalcò, acquattandosi nel buio, costeggiando la recinzione finché non raggiunse il garage dall’altra parte della strada rispetto alla sua destinazione.

Tenne d’occhio la casa a due piani dipinta di bianco senza giardino di fronte a lui, si rannicchiò accanto a un bidone della spazzatura e le sue ginocchia produssero un forte scricchiolio. Rimase lì immobile in attesa.

Quella mattina era fredda, sotto i quattro gradi, e una brezza umida soffiava verso nordovest. Clark si sentiva stanco. Si era spostato per tutta la notte: una caffetteria di Frederick, una stazione di Gaithersburg, una fermata dell’autobus di Rockville, poi aveva viaggiato in pullman a Falls Church e Tysons Corner. Avrebbe potuto seguire un percorso più breve, ma non voleva arrivare troppo presto. Un uomo che si aggirava per le strade all’alba si notava meno di uno che attraversava un quartiere residenziale nel cuore della notte.

In particolare se c’erano in zona osservatori esperti.

Dal punto in cui si trovava Clark, tra una Saab a cinque porte e un bidone della spazzatura pieno di ciò che John pensò fossero pannolini sporchi, non riusciva a vedere nessuna squadra a sorvegliare la casa, ma immaginò che ci fosse. Avrebbero senz’altro preso in considerazione l’ipotesi che sarebbe andato a trovare l’uomo che abitava lì; avrebbero appostato un’auto con una pattuglia di due persone nel vialetto lungo la strada. Il padrone di casa sarebbe uscito a vedere cosa diavolo stesse facendo lì quella macchina, ma gli investigatori avrebbero tirato fuori le credenziali dell’FBI mettendo fine alle proteste.

Attese ventidue minuti prima che una luce si accendesse in una finestra al piano superiore. Qualche minuto più tardi se ne accese un’altra al pianterreno.

Clark aspettò ancora un po’. Cambiò posizione, sedendosi direttamente sul gradino del garage per permettere al sangue di rifluire nelle gambe.

Si era appena risistemato quando la porta principale della casa si aprì, un uomo con una giacca a vento ne uscì, si stirò per un momento sulla staccionata e iniziò a percorrere la strada correndo lentamente.

Clark si alzò nel buio e tornò sui suoi passi attraverso i due cortili posteriori.

Si accertò che nessuno stesse seguendo James Hardesty, archivista della CIA, prima di iniziare a fare jogging dietro di lui. C’era qualche altra persona, uomini e donne, in strada per l’allenamento mattutino, prima di andare al lavoro, per cui Clark si mimetizzava bene. Almeno finché l’unica fonte di illuminazione fossero stati i lampioni. Indossava una giacca col cappuccio di acetato nera che non sarebbe sembrata strana a nessun corridore, ma i pantaloni kaki e gli stivali Vasque non facevano parte della tipica tenuta da jogging.

Raggiunse Hardesty sul South Washington Boulevard, proprio mentre superava Towers Park sulla destra. L’uomo della CIA guardò dietro di sé per un istante quando lo sentì avvicinarsi; si spostò verso il margine della strada per lasciar passare il corridore più veloce, ma questi gli rivolse la parola: «Jim, sono John Clark. Continua a correre. Fermiamoci tra gli alberi per una breve chiacchierata».

Senza aggiungere altro, i due percorsero il breve pendio e raggiunsero un campo da gioco deserto. Nel cielo c’era una debole luce, abbastanza per vedere i volti con chiarezza. Si fermarono vicino ad alcune altalene.

«Come va, John?»

«Come potrai immaginare, ho visto tempi migliori.»

«Non hai bisogno di quella pistola.»

Clark non sapeva se l’arma si vedesse da sotto la giacca o se Hardesty avesse solo tirato a indovinare. «Non mi servirà adesso, almeno non credo. Devo ancora capire se ne avrò bisogno in futuro.»

Nessuno dei due era affaticato; la corsa era durata meno di ottocento metri.

«Quando ho saputo che eri latitante, ho pensato che saresti venuto a cercarmi» confessò Hardesty.

«Forse anche l’FBI può aver avuto lo stesso sospetto».

Un cenno d’assenso. «Sì. Una squadra di due uomini dello SSG si trova a mezzo isolato di distanza. Sono comparsi prima della conferenza stampa di Brannigan.» Lo Special Surveillance Group era un’unità dell’FBI specializzata in piantonamenti. Erano gli «osservatori» del Bureau.

«Immaginavo.»

«Non credo che verranno a cercarmi per circa una mezz’ora. Sono tutto tuo.»

«Non ti tratterrò a lungo. Sto solo cercando di capire cosa sta succedendo.»

«Il Dipartimento di Giustizia ti ha proprio preso di mira. Non so molto altro. Ma voglio che tu sappia questo: qualunque cosa abbiano, John, io non ho rivelato niente che non fosse nel tuo file.»

Clark non sapeva nemmeno che Hardesty fosse stato interrogato. «L’FBI ti ha fatto delle domande?»

L’altro annuì. «Due agenti speciali mi hanno messo sotto torchio in un hotel di McLean ieri mattina. Ho visto qualche agente speciale più giovane in un’altra stanza; interrogavano altri dipendenti. Più o meno tutti quelli che c’erano quando lavoravi nella SAD sono stati interrogati. Immagino mi siano toccati gli ufficiali più anziani perché Alden sa che io e te ci conosciamo da molto tempo.»

«Cosa ti hanno chiesto?»

«Qualsiasi cosa. Avevano già letto il tuo dossier. Immagino che quei bastardi di Kilborn e Alden abbiano letto qualcosa che non era di loro gradimento, poi hanno avviato alcune indagini del Dipartimento.»

Clark scosse la testa. «No. Cosa potrebbe esserci nel mio curriculum con la CIA da spingere l’agenzia a passare la palla a qualcuno all’esterno? Anche se pensassero di avere qualche stupida accusa di tradimento a mio carico, sarebbero venuti a prendermi loro prima di fare un fischio al Dipartimento.»

Hardesty non era d’accordo. «Non se avessero qualcosa su di te che non era parte di una missione per la CIA. Quei bastardi possono averti messo in mezzo perché sei amico di Ryan.»

Merda, pensò Clark. E se non si fosse trattato del Campus? Se si fosse trattato delle elezioni? «Cosa hanno chiesto?»

Hardesty scosse la testa ma si fermò di colpo. «Io sono l’archivista. Conosco, o almeno ho visto, in pratica qualsiasi cosa nei registri virtuali. Ma sono riusciti a mettermi in difficoltà.»

«Come?»

«So che non tutte le missioni della SAD vengono registrate, ma di solito ne resta traccia in altri file che possono essere collegati a ciò su cui stavi lavorando effettivamente. In pratica posso non sapere affatto cosa abbia fatto in Nigeria un agente paramilitare, ma posso dirti che era in Africa in un determinato momento. Vaccinazioni contro la malaria, voli di linea, diarie per una specifica località, quel genere di cose.»

«D’accordo.»

«Ma quei due federali mi hanno chiesto notizie delle tue attività a Berlino nel marzo del 1981. Ho cercato nei tuoi documenti…» Hardesty scosse la testa. «Niente. Niente di niente che ti collochi in Germania in quel periodo.»

Clark non ebbe bisogno di fare mente locale. Ricordò all’istante. Non rivelò nulla, ma chiese: «Ti hanno creduto?».

James scosse la testa. «No, maledizione. Pare che Alden abbia ordinato di tenere alta la guardia con me, perché ci conosciamo. Per cui i federali mi hanno messo sotto pressione. Mi hanno chiesto di un agente della Stasi di nome Schuman. Ho detto la verità: non ho mai sentito parlare di questo Schuman e non sapevo che tu fossi a Berlino nell’81.»

Clark annuì, mantenendo la sua espressione impassibile. L’alba iniziò a illuminare i tratti del viso di Hardesty. La domanda che John voleva porre rimase sospesa per un istante, poi l’uomo rispose senza bisogno che lui la facesse.

«Non ho detto un accidente sulla Hendley Associates.» Hardesty era uno dei pochi alla CIA a essere al corrente dell’esistenza del Campus. In realtà, era stato proprio Jim Hardesty a suggerire a Clark e Chavez di incontrare Gerry Hendley.

Clark lo guardò negli occhi. Era troppo buio per vederlo bene, ma Clark decise che Jim Hardesty non gli avrebbe mentito. Dopo qualche secondo, disse: «Grazie».

James scrollò le spalle. «È un segreto che mi porterò nella tomba. Senti, John, qualsiasi cosa sia successa in Germania, tutta questa storia non riguarda te. Sei soltanto una pedina. Kealty vuole mettere Ryan con le spalle al muro servendosi delle operazioni segrete. Ti sta usando, sei colpevole della tua vicinanza a lui, per così dire. Ma sta facendo frugare l’FBI tra le tue missioni passate; ne tira fuori alcune e le passa al setaccio: ma è roba che dovrebbe essere lasciata nel maledetto posto in cui si trova. In pratica sta pescando nel torbido di Langley: è una cosa che non serve a nessuno

John si limitò a guardarlo.

«Non hanno niente di concreto sul tuo conto, lo sai tu, e lo so anch’io. Non ha senso peggiorare la situazione.»

«Parla chiaro, Jim.»

«Non mi preoccupa un tuo eventuale arresto. Hai la pelle dura.» Sospirò. «Ma temo che potrebbero ammazzarti.»

John non disse nulla.

«Non ha senso scappare. Quando Ryan verrà eletto, le acque si calmeranno. Forse, e dico forse, ti daranno un annetto in qualche “albergo” dei federali. Puoi cavartela.»

«Mi stai consigliando di costituirmi?»

Hardesty sospirò. «Fuggire in questo modo non gioverà a te, né alle missioni segrete americane e nemmeno alla tua famiglia.»

Clark annuì, guardando l’orologio. «Magari lo farò.»

«Sarebbe la cosa migliore.»

«Dovresti tornartene a casa, prima che lo SSG si insospettisca.»

Si strinsero la mano. «Pensaci, John.»

«Lo farò.» Clark voltò le spalle a Hardesty, si inoltrò tra gli alberi intorno al campo da gioco e si diresse verso la fermata dell’autobus.

Ora aveva un piano, una direzione da prendere.

Non sarebbe andato a costituirsi.

No, sarebbe andato in Germania.

Inizio


Il giorno del falco
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