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La Citroën beige chiudeva la carovana francese. John e Ding la raggiunsero mantenendosi a debita distanza. La coppia a bordo doveva essere in contatto radio con gli altri veicoli. Si sarebbero più volte scambiati posizione in modo da avvicendarsi nell’inseguimento. Gli altri avrebbero proseguito lungo strade laterali in modo da inserirsi agevolmente nel traffico quando fosse stato il loro turno.

Gli americani tenevano gli occhi ben aperti, nel caso fossero sbucate altre auto della DCRI.

Per alcuni isolati sospettarono del furgone marroncino di una panetteria. Sembrava imitare gli spostamenti della Citroën beige, ma a un certo punto aveva svoltato verso un grande panificio all’ingrosso fermandosi su una piazzola di carico.

I due avevano messo gli occhi anche su una moto Suzuki nera guidata da un uomo con indosso abiti di pelle e un casco anch’essi neri. Le due ruote erano perfette per gli inseguimenti su strade trafficate. Sebbene ce ne fossero altre, John e Ding avevano notato quella Suzuki pochi minuti dopo essersi allontanati dall’appartamento. Non potevano essere sicuri al cento per cento che facesse parte della sorveglianza francese, ma decisero di tenerla d’occhio.

Dopo nemmeno cinque minuti, la Citroën superò l’imbocco per l’Autoroute du Nord e proseguì verso sud. L’obiettivo non stava dirigendosi verso l’aeroporto Charles de Gaulle.

«CDG è dall’altra parte» considerò Clark. «Così andiamo verso Parigi.»

«Sei davvero molto perspicace!» commentò il suo collega ironico.

Clark sbuffò ma non si offese, poi avvistò la berlina della Citroën portarsi in testa. «Ecco il primo cambio.»

Un secondo dopo si ritrovarono dietro il camioncino bianco sbucato da una traversa. Era quello il veicolo da seguire.

La Suzuki nera non si mosse. Proseguì dritta verso Parigi, mantenendo una posizione leggermente avanzata rispetto ai due agenti. Questo dettaglio sembrò convincere ancora di più John e Ding: anche la moto faceva parte dell’unità della DCRI.

La pioggia si intensificò, mentre la fila di auto superava il XVIII Arrondissement. Svoltò prima verso est, poi imboccò un’altra strada in direzione sud. Clark azionò i tergicristalli della Ford alla massima velocità, in modo da consentire a lui e al suo collega di vedere più distintamente le luci della vettura di fronte. Dopo poco, il camioncino accelerò e scomparve nella notte, non prima di aver lasciato il tempo a una Honda quattro porte di uscire dal parcheggio di un fast food e immettersi nel traffico nella stessa direzione tenuta da Clark e Chavez.

«Dev’essere l’auto uscita dal garage» ipotizzò Ding.

Il collega annuì. «Sono impeccabili. Se non avessimo capito da subito come erano organizzati non saremmo mai riusciti a stargli dietro.»

«Sì, ma ci stiamo avvicinando alla città e lì faranno più fatica, e di conseguenza anche noi. Sarebbe utile avere almeno un’idea sulla destinazione di Rokki.»

In quel momento, la Honda rallentò dietro una Mercedes appena uscita dal garage di un lussuoso palazzo. John era sulla corsia di sinistra, completamente libera davanti a lui a eccezione della Suzuki nera. Si riportò dietro la Honda in modo da non doverla superare. La moto eseguì la stessa manovra. Ormai era chiaro: anche il conducente della Suzuki stava seguendo il veicolo della DCRI.

Entrambi gli agenti, aspettandosi mosse ben più astute di quella, si stupirono della decisione del motociclista. «Merda, è proprio vero. Fa parte del gruppo dei francesi» commentò Chavez.

«E sembra molto meno scaltro dei suoi colleghi.»

«Ci ha visti secondo te?»

«No. Credo fosse concentrato a capire se Rokki avesse predisposto dei veicoli per la controsorveglianza. Noi siamo a circa quattrocento metri da lui, più o meno, dovrebbero bastare.»

Entrarono nel IX Arrondissement e l’auto di coda dei francesi cambiò in brevissimo tempo. Come aveva predetto Chavez, con incroci e stop sempre più ravvicinati e un numero maggiore di macchine e palazzi a ostruire la visuale, non era facile per la squadra francese continuare a seguire l’obiettivo senza essere scoperta. Tutti i veicoli continuavano a scambiarsi di posto, tranne la Suzuki. Si manteneva fissa dietro l’ultimo veicolo lanciato all’inseguimento, poco più avanti rispetto alla Ford degli agenti americani.

Esistono tre tipi di controsorveglianza: quella tecnica, quella passiva e quella attiva. Nella controsorveglianza tecnica, normalmente di tipo elettronico, l’obiettivo utilizza scanner radio per intercettare le comunicazioni a corto raggio provenienti da un gruppo di sorveglianza. È la tecnica meno comune, perché occorrono apparecchiature specifiche e molto tempo a disposizione. Inoltre, i messaggi radio sono ormai quasi tutti criptati.

La controsorveglianza passiva è la più semplice da mettere in atto. All’obiettivo basta tenere gli occhi ben aperti e avere una vaga idea di quali veicoli e metodi potrebbero essere usati per il pedinamento. Gli uomini a bordo del furgone Renault stavano di sicuro utilizzando metodi di controsorveglianza passiva, il tipo di contrattacco più facile da eludere. In questo caso, ad esempio, le auto si spostavano e si alternavano con grande frequenza in modo che nessuno fosse mai abbastanza vicino da essere identificato.

La controsorveglianza attiva, invece, mira a sviare la sorveglianza. Se il furgone avesse accostato di colpo, i veicoli che lo seguivano avrebbero dovuto fermarsi o superarlo, con alte probabilità di vedere compromessa la missione. Se, invece, avesse preso stradine laterali o secondarie attraversando qualche area di parcheggio, le auto dietro di lui sarebbero dovute uscire allo scoperto o rinunciare a inseguire l’obiettivo.

Nessuna di queste misure, tuttavia, poteva mettere a repentaglio un’azione di sorveglianza quanto ciò che successe in quel momento, quando l’auto inseguita da Clark e Chavez entrò nell’VIII Arrondissement.

«Guarda là» gridò Chavez mentre la Subaru della DCRI abbandonava in modo piuttosto brusco la strada su cui viaggiava imboccando uno stretto viale. Solo una cosa poteva spiegare una simile manovra: l’obiettivo aveva compiuto un’inversione a U prendendo a viaggiare in direzione contraria e qualcuno doveva avere avvertito l’equipaggio della Subaru di quel cambiamento.

Una mossa piuttosto comune per una squadra sotto copertura. Ma il furgone Renault aveva tratto in inganno gli agenti della DCRI evitando qualsiasi mossa di controsorveglianza prima di quella, inducendoli a credere che non avrebbe mai fatto un gesto tanto azzardato.

Clark e Chavez evitarono di sterzare per non compromettersi con la DCRI. I fari dei veicoli francesi si intravedevano a un centinaio di metri di distanza.

«Devo proseguire, non posso fare altro» dichiarò Clark mantenendosi sulla stessa corsia senza nemmeno rallentare. Si voltò a guardare l’obiettivo passargli accanto. Arrivò sull’Avenue Hoche e continuò verso sudest.

«Guarda un po’ chi altri ha deciso di non svoltare» gli fece notare Chavez. La Suzuki nera era ancora davanti a loro. «Se avesse ricevuto la stessa comunicazione della Subaru, avrebbe avuto tutto il tempo per prendere una strada laterale prima che Rokki tornasse indietro.»

Clark annuì. «Probabilmente non c’entra niente con i francesi. Ma certo! È con Rokki! Ha il compito di individuare i veicoli che gli stanno alle calcagna.»

«Un membro dell’URC?»

«Sembrerebbe.»

«Allora non può non avere notato l’auto di coda svoltare nella via laterale.»

«No, infatti. La copertura della DCRI ormai è bruciata.»

«Secondo te i francesi continueranno l’inseguimento?»

«Hanno almeno cinque auto coinvolte, se non di più. Continueranno con quelle che il furgone Renault non ha ancora superato. Rokki e i suoi saranno quasi arrivati a destinazione ormai.»

Un minuto dopo, Clark e Chavez si ritrovarono a un incrocio con il grande boulevard degli Champs-Élisées. Erano riusciti a rimettersi in coda dietro il furgone grazie a un paio di provvidenziali semafori rossi e a un piccolo incidente stradale che aveva rallentato il traffico sul viale.

Il furgone Renault abbandonò gli Champs-Élisées, svoltò altre due o tre volte e si ritrovò su un grande viale a tre corsie: l’Avenue George V. Mentre davanti a loro l’obiettivo rallentava sempre di più, Clark disse al collega: «Ci siamo, a quanto pare».

Chavez guardò il GPS sull’iPhone. «Poco più avanti sulla destra c’è l’hotel Four Seasons.»

Clark fischiò ammirato. «Il Four Seasons? Mi sembra un po’ troppo chic per un tenente dell’URC e i suoi tre scagnozzi, non trovi?»

«Decisamente.»

Il furgone si fermò poco distante dall’ingresso principale del lussuoso albergo. Clark lo superò proprio mentre un uomo si accingeva a scendere per avviarsi verso l’hotel riparandosi dalla pioggia con un ombrello.

L’americano svoltò a destra e accostò subito dopo. «Vai a dare un’occhiata.»

«Agli ordini» rispose Chavez. Saltò giù dalla monovolume Ford Galaxy ed entrò nell’albergo da una porta di servizio.

Clark intanto fece un giro dell’isolato. Quando ritornò, trovò Ding in piedi sotto la pioggia vicino all’entrata di servizio. Salito di nuovo in auto, riferì quanto aveva visto. «Il tipo ha prenotato una camera soltanto. A nome Ibrahim. Due notti. Non sono riuscito a capire il numero della stanza, ma ho sentito il tizio alla reception chiamare il portiere per “accompagnare i signori nella loro suite”. Il resto della squadra sta salendo adesso. Hanno con sé tutti i bagagli caricati sul furgone.»

«Sei riuscito a riconoscere Rokki?»

«Certo. Era quello con l’ombrello. Parlava francese. Un pessimo francese, se posso permettermi.»

Clark e Chavez si allontanarono guidando verso ovest rispetto ad Avenue Pierre 1er de Serbie. John scosse la testa. C’era qualcosa di strano. «Un killer dell’URC recupera tre scagnozzi e un po’ di attrezzatura in un ghetto fuori Parigi per trasferirsi subito dopo in una suite del Four Seasons.»

Anche Chavez scosse il capo. «Una suite in quell’albergo costerà almeno cinquemila dollari a notte. Non credo che l’URC possa permettersi di alloggiare qui, a meno che…»

Clark annuì deciso. «A meno che non faccia parte di un’operazione.»

Chavez si lasciò scappare un sospiro. «Quei bastardi hanno in mente qualcosa di grosso.»

«E la casa a Seine-Saint-Denis serviva solo da punto di raccolta. Il Four Seasons è la missione. Non abbiamo molto tempo.»

«Sarebbe utile avere almeno una vaga idea su quale possa essere l’obiettivo.»

«Da qui possono colpire in tutta Parigi. Potremmo seguirli fino al momento in cui decideranno di attaccare, ma è troppo rischioso. Tutto dipende da cosa c’è in quelle borse. Hosni Rokki potrebbe aver pianificato un attentato a qualche pezzo grosso alloggiato nell’hotel, oppure sventrare il consolato americano a suon di raffiche di mitra o perfino fare saltare in aria Notre-Dame.»

«Potremmo allertare i francesi.»

«Ding, se avessimo una benché minima idea di chi o cosa possa essere l’obiettivo saremmo in grado di mettere in guardia le persone giuste, far allontanare il malcapitato o isolare la zona. Ma non possiamo andare dalla polizia francese accusando un manipolo di bastardi di avere prenotato una suite al Four Seasons. Non credi? Pensaci bene… non rischierebbero un incidente diplomatico di quella portata. Dovrebbero violare i diritti di persone innocenti fino a prova contraria. Quindi si limiterebbero a fare qualche domandina all’interno dell’albergo, e…»

Ding aggiunse il resto. «E quelli avranno tutto il tempo di andarsene in giro con del Semtex e un detonatore in tasca e far saltare in aria la torre Eiffel con tutti i turisti.»

«Esatto. Anche la DCRI li tiene d’occhio. Dobbiamo rassegnarci, non faranno niente di più contro quei brutti ceffi, almeno per ora.»

«E quindi? Li facciamo fuori noi?»

Clark sembrò rifletterci qualche istante. «Non ci capita un’occasione come questa almeno da quando abbiamo catturato l’Emiro. Secondo Ryan, Rokki non è un pesce grosso, ma sta lavorando per al Qahtani. Saprà molte più cose sul suo conto di quante ne sappiamo noi, questo è certo.»

«Stai pensando di catturarlo?»

«Sarebbe un vero colpaccio. Gli impediamo di portare a termine la missione, facciamo fuori un paio di membri della sua cellula e ce lo portiamo via per fare una bella chiacchierata.»

Chavez annuì. «Questo piano mi piace. Non credo abbiamo molto tempo a disposizione, però.»

«Non ne abbiamo affatto. Ci servirà un piccolo aiuto se vogliamo farcela.»

Inizio


Il giorno del falco
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