John Patrick Ryan, candidato per la seconda volta alla presidenza degli Stati Uniti, se ne stava da solo nello spogliatoio dei maschi, nella palestra di un liceo di Carbondale, Illinois. La giacca pendeva da un attaccapanni poco lontano, ma lui manteneva comunque un aspetto elegante con la cravatta di Borgogna, la camicia color crema leggermente inamidata, i polsini alla francese e i pantaloni antracite perfettamente stirati.
Prese un sorso d’acqua da una bottiglietta e si portò il cellulare all’orecchio.
Con discrezione qualcuno bussò alla porta, poi la aprì. Comparve una donna con un auricolare e, subito dietro di lei, Jack riuscì a scorgere il capo delle guardie del corpo, Andrea Price-O’Day. Altri agenti si aggiravano per il corridoio che conduceva alla palestra stracolma di gente. Tutti urlavano e applaudivano al ritmo di una musica assordante.
La donna gli comunicò: «Signor presidente, siamo pronti».
Jack le sorrise e annuì. «Arrivo subito, Emily.»
La testa di Emily scomparve e la porta si richiuse dietro di lei. Jack continuò a tenere il telefono vicino all’orecchio per ascoltare la voce registrata del figlio.
«Salve, questo è il numero di Jack Ryan Junior. Sapete cosa fare.»
Bip.
La voce di Jack Senior assunse un tono leggero, quasi frivolo. «Ehilà. Volevo solo salutarti. Ho parlato con tua madre, mi ha detto che non riesci a pranzare con lei oggi. Spero vada tutto bene.» Fece una piccola pausa. «Sono a Carbondale al momento. Più tardi parto per Chicago e rimarrò lì tutto il giorno, poi domani sera tua madre mi raggiungerà a Cleveland per il dibattito di mercoledì. Bene… volevo solo sentire come stavi. Chiamami, o telefona a tua madre appena puoi, okay? Ciao.» Ryan riagganciò gettando il cellulare sopra un divanetto portato in quel camerino improvvisato insieme con l’attaccapanni e altri mobili. Se se lo fosse infilato in tasca avrebbe di certo dimenticato di tirarlo fuori prima di salire sul palco. Benché avesse disattivato la suoneria e inserito la vibrazione, non avrebbe fatto una bella figura se qualcuno lo avesse chiamato durante il comizio. I microfoni posizionati sul risvolto della giacca erano in grado di cogliere qualunque rumore, e di sicuro i giornalisti presenti avrebbero riferito al mondo intero che soffriva di disturbi gastrici e, di conseguenza, non era adatto a governare il Paese.
Jack si guardò nel grande specchio posizionato tra due bandiere americane e si costrinse a un sorriso forzato. Non aveva mai avuto problemi nel farlo di fronte agli altri, ma ultimamente Cathy lo punzecchiava di continuo, rimproverandogli di aver perso il «sangue freddo alla Jack Ryan» quando doveva commentare il programma del suo avversario, il presidente Ed Kealty. Doveva correre ai ripari prima di trovarsi faccia a faccia con Kealty nell’ormai prossimo confronto.
Quella sera era di cattivo umore, ma doveva allontanare i pensieri negativi prima di salire sul palco. Non parlava con il figlio, Jack Junior, da settimane. Si erano scambiati giusto un paio di mail stringate. Erano già capitati periodi come quello. Non era facile mantenersi in contatto con lui, e Ryan Senior lo sapeva. Stava girando il Paese in lungo e in largo per la campagna elettorale. Pochi minuti prima, sua moglie Cathy gli aveva riferito che il figlio non era riuscito a liberarsi dagli impegni di lavoro per pranzare con lei a Baltimora quel pomeriggio, e si era agitato.
Un genitore si preoccupa sempre per i figli e avverte la necessità di sentirli vicini, certo, ma il candidato alla Casa Bianca e sua moglie avevano ottimi motivi per farsi prendere dal panico, sapendo cosa Jack Junior facesse per vivere. O meglio, pensò Ryan Senior, lui lo sapeva bene, sua moglie, invece… solo per sommi capi. Diversi mesi prima, padre e figlio si erano seduti intorno a un tavolo con Cathy nella speranza di riuscire a spiegarle tutto. Avevano deciso di rivelarle che Jack Junior era un analista e un agente operativo dell’agenzia di spionaggio clandestina messa in piedi dal padre e guidata dall’ex senatore Gerry Hendley. La conversazione era iniziata con le migliori intenzioni, ma i due avevano cominciato a contraddirsi, intimiditi dallo sguardo penetrante della dottoressa Cathy Ryan. Avevano farfugliato qualcosa sull’analisi di intelligence clandestina, finendo per farle credere che Jack Junior passasse giorni e giorni seduto dietro una scrivania a leggere infiniti dossier nella speranza di scovare finanzieri irresponsabili e loschi individui dediti al riciclaggio di denaro sporco, un’attività nella quale il massimo rischio in cui poteva incappare era ferirsi le dita con la carta o contrarre la sindrome del tunnel carpale.
Magari fosse questa la verità, pensò Jack Senior mentre avvertiva l’ennesima ondata di bruciore attanagliargli lo stomaco.
No, la conversazione con la moglie non era andata particolarmente bene, ammise tra sé e sé. Da quel giorno aveva provato a ritirare fuori il discorso un altro paio di volte con la speranza di aggiungere qualche dettaglio un po’ più aderente alla realtà dei fatti, quanto meno per farle capire che suo figlio lavorava sul campo e non dietro una scrivania. Ma anche in quelle occasioni le parole non gli erano uscite come avrebbe voluto. Aveva lasciato intendere che di tanto in tanto Jack Junior viaggiava per le capitali europee intrattenendosi a cena con politici e burocrati. Poi, una volta a casa, stilava rapporti su quegli incontri, seduto davanti al portatile mentre sorseggiava vino francese e guardava la CNN.
Meglio così, pensò Jack. La verità la farebbe soltanto soffrire. E se avesse scoperto tutto? Santo Dio! Con Kyle e Katie ancora a casa aveva già abbastanza pensieri. Doversi preoccupare anche per il figlio ventiseienne era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
No, voleva essere lui l’unico a essere gravato di quel fardello, Cathy doveva restarne fuori. E ora, suo malgrado, anche lui era costretto a metterlo da parte a causa dei suoi impegni imminenti.
Doveva vincere le elezioni.
Quel pensiero lo rasserenò un poco. La campagna sembrava andare bene. Gli ultimi dati del Pew Research Center gli davano un vantaggio del tredici per cento; Gallup invece dell’undici. I tre sondaggi effettuati dai principali network televisivi avevano riportato risultati leggermente più bassi, forse per via di qualche bias di selezione sui quali il portavoce della sua campagna elettorale, Arnold van Damm, non si era preoccupato di indagare, visto il netto vantaggio sugli altri candidati.
La corsa alla Casa Bianca era tutt’altro che facile, ne era consapevole. Ma, d’altronde, era sempre stato così. Lui e Arnie sapevano che al prossimo dibattito avrebbe dovuto presentarsi al meglio per cavalcare l’ondata di consensi fino al rush finale della campagna, o quanto meno fino all’ultimo dibattito. L’ultimo mese era quello decisivo. Gli esperti utilizzano l’espressione «distacco del Labor Day», perché di solito il distacco tra i candidati comincia ad assottigliarsi il primo lunedì di settembre, il Labor Day appunto, e continua fino all’Election Day, il primo martedì di novembre.
Opinionisti ed esperti hanno teorie diverse per spiegare questo fenomeno. Alcuni credono sia perché molti elettori decidono di cambiare schieramento all’ultimo momento, oppure si fanno prendere dal panico e ci ripensano, tornando sui propri passi. Secondo altri la gente risponde ai sondaggi più volentieri durante l’estate che a novembre, quando, ormai a ridosso delle elezioni, le opinioni espresse hanno un peso ben diverso. Per altri ancora sarebbe rilevante il ruolo dei mass media: con l’avvicinarsi dell’Election Day, infatti, tendono a mettere in risalto soprattutto le gaffe del candidato più papabile.
Ryan la pensava come Arnie su questo argomento. Pochissime persone sulla faccia della Terra potevano definirsi più esperte di van Damm in materia di elezioni e campagne elettorali. Per lui era una semplice questione di matematica. Se un candidato si trova in testa nei sondaggi è perché ha convinto più persone a votare per lui rispetto agli altri. Di conseguenza, se il dieci per cento degli elettori dei due schieramenti decide di cambiare idea, è scontato che sia il candidato con più voti a perderne di più.
Una semplice questione di calcoli, dunque. Ma la matematica non poteva bastare per tenere testa agli interlocutori nei dibattiti televisivi, o per aggiornare blog politici ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Così quella parte di elettori americani che adorano i pomposi comizi intrisi di retorica, si inventano ogni giorno nuove teorie e cospirazioni.
Ryan ripose la bottiglietta d’acqua, prese la giacca, se la infilò e si avviò verso la porta. Si sentiva un po’ meglio, ma la preoccupazione per il figlio gli aveva chiuso lo stomaco.
Forse, pensò, Jack Junior era in giro a divertirsi con gli amici o magari aveva un appuntamento galante.
Ma sì, si convinse. Deve essere così.
Il ventiseienne Jack Ryan Junior percepì un movimento alla sua destra e si scansò un secondo prima che la lama di un coltello gli venisse conficcata nel petto. Voltandosi, sollevò il braccio sinistro per bloccare la mano dell’aggressore afferrandogli il polso con la destra. Poi si gettò con tutto il corpo contro il petto dell’uomo scaraventandolo a terra.
Fece per estrarre la pistola, ma l’altro lo afferrò per la maglia e lo tirò giù con sé. Jack Junior perse il vantaggio ottenuto sull’avversario e non riuscì a raggiungere l’arma nella fondina assicurata alla cintura. Mentre rovinava a terra insieme al suo aggressore si rese conto di aver sprecato forse l’unica opportunità di estrarre la pistola.
Non gli restava che il combattimento corpo a corpo.
Il nemico lo attaccò alla gola affondandogli le dita nella carne. Jack se ne liberò con un movimento rapido del braccio. L’altro, da seduto, si mise in ginocchio e saltò di nuovo in piedi. Ryan era rimasto sotto di lui, vulnerabile e indifeso. Non avendo altra scelta, riportò la mano alla cintura, ma dovette rotolarsi sul fianco sinistro per estrarre la pistola.
Mentre si voltava, l’uomo tirò fuori la sua, infilata nella parte posteriore dei pantaloni, e gli sparò cinque colpi mirando al petto.
Il dolore dovuto all’impatto dei proiettili si propagò in tutto il corpo di Jack.
«Maledizione!» gridò.
Non era soltanto il dolore a farlo urlare. Era più che altro la frustrazione di essere uscito sconfitto da quello scontro.
Ancora.
Si tolse gli occhialini protettivi e alzò il busto da terra. Afferrò la mano tesa che lo aiutò a tirarsi su e ripose l’arma nella fondina. Aveva una Glock 19 ad aria compressa giocattolo caricata con proiettili di plastica in grado di fare un male tremendo senza lasciare alcuna ferita.
Anche l’«aggressore» si tolse gli occhiali e si chinò a raccogliere il coltello di gomma dal pavimento. «Scusa se ti ho graffiato, amico» disse con un accento gallese chiaramente distinguibile nonostante il respiro affannoso.
Jack non gli prestò attenzione, era concentrato su altro. «Sono troppo lento!» gridò lasciando che l’adrenalina del combattimento si mescolasse alla frustrazione.
Al contrario del suo allievo americano, il gallese era calmo, come se fino a un secondo prima fosse stato seduto su una panchina a dar da mangiare ai piccioni. «Non ti agitare. Vai a medicarti le ferite e poi torna qui. Ti dirò quali sono stati i tuoi errori.»
Ryan scosse la testa. «Voglio saperlo subito.» Era furioso con se stesso. I tagli al collo, le escoriazioni e le ferite sul resto del corpo erano l’ultima cosa di cui si preoccupava.
James Buck annuì detergendosi alcune goccioline di sudore dalla fronte. «Va bene. Tanto per cominciare il problema non è la lentezza, anzi, i tuoi riflessi mi sembrano a posto. Hai un buon tempo di risposta. Ottimo direi. Il tuo corpo è in grado di muoversi alla velocità che desideri. In più hai doti di destrezza e agilità fuori dal comune. Ma il problema, ragazzo, è la rapidità con cui pensi. Sei incerto, insicuro. Ti fermi a riflettere sulla mossa successiva quando dovresti lasciarti guidare dall’istinto. Così facendo, dai modo all’avversario di capire cosa hai in mente e di prevedere le tue mosse.»
Ryan alzò la testa grondante di sudore. «Fammi un esempio pratico.»
«Okay. Prendi il nostro ultimo scontro. Il linguaggio del corpo ti ha tradito. Hai portato la mano all’altezza del fianco per ben due volte. La pistola era perfettamente nascosta nella fondina sotto la maglia, ma tu ne hai rivelato la presenza pensando di estrarla e poi cambiando idea. Se il tuo aggressore non avesse capito che eri armato, si sarebbe lasciato cadere a terra per poi rialzarsi subito dopo. Ma io lo sapevo, perché sei stato tu a “dirmelo” con i tuoi movimenti. Così, mentre cadevo ho cercato di trascinarti con me per non lasciarti il tempo di raggiungere la pistola. Mi sono spiegato?»
Ryan sospirò. Aveva capito, anche se, a dirla tutta, James Buck era al corrente fin dall’inizio della pistola nascosta sotto la maglietta perché era stato proprio lui a dargliela prima dell’esercitazione. Eppure, doveva ammetterlo: un nemico particolarmente attento avrebbe potuto dedurre che aveva un’arma all’altezza del fianco.
Merda, imprecò tra sé. Il suo assalitore avrebbe dovuto essere un veggente, però, per arrivarci. Ma era proprio quello il motivo per cui Jack aveva trascorso gran parte delle ultime sere e degli ultimi weekend con gli istruttori ingaggiati dal Campus. Doveva imparare a mettere fuori gioco anche i nemici più abili.
James Buck aveva fatto parte delle SAS, le forze aeree speciali britanniche, e, tra le altre cose, era un esperto di combattimenti corpo a corpo e di armi bianche. Era stato assunto dal direttore del Campus, Gerry Hendley, per migliorare le abilità marziali di Ryan.
L’anno prima Jack aveva chiesto al suo superiore di poter affiancare al lavoro di analisi più interventi sul campo. Il suo desiderio era stato esaudito, ottenendo persino più di quanto avesse chiesto. Fino a quel momento se l’era sempre cavata piuttosto bene, pur non avendo lo stesso livello di addestramento degli altri agenti.
Era un suo limite. Se ne rendeva conto anche da solo, e di sicuro nemmeno Hendley poteva ignorare la questione. Entrambi, tuttavia, sapevano di non avere molte opzioni tra cui scegliere. Il Campus ufficialmente non esisteva, non apparteneva al governo degli Stati Uniti e quindi un addestramento formale presso l’FBI, la CIA o l’esercito era fuori questione, nella maniera più assoluta.
Così, insieme con Sam Granger, il capo operativo del Campus, Gerry era riuscito a scovare una valida alternativa. Aveva convocato i veterani dell’organizzazione, John Clark e Domingo Chavez, e insieme avevano ideato un programma di allenamento che il giovane Ryan avrebbe dovuto seguire dopo l’orario di lavoro per almeno un anno intero, se non di più.
Tutta quella fatica stava iniziando a dare i suoi frutti. Jack Junior aveva fatto molti progressi, anche se l’addestramento era piuttosto umiliante. Buck, e altri come lui, facevano quel lavoro da una vita, e si vedeva. Per quanto migliorasse a vista d’occhio, Ryan non era in grado di battere i suoi istruttori. Riusciva solo a «morire» un po’ meno spesso e a costringerli a faticare di più per metterlo fuori gioco.
Buck notò la frustrazione sul volto del ragazzo. Gli batté una mano sulla spalla per dimostrargli la sua comprensione. Il gallese sapeva essere violento e crudele, ma in molte occasioni dimostrava un atteggiamento paterno, persino amichevole. Ryan non riusciva a distinguere quale dei due lati fosse quello autentico. Magari erano utili entrambi in quel tipo di addestramento, una specie di approccio carota-e-bastone. «Non ti abbattere, ragazzo» lo confortò. «Colpisci meglio di quando abbiamo iniziato. Il fisico ce l’hai, devi solo imparare a gestirti. Ma sei un tipo sveglio, impari in fretta. Dobbiamo continuare a lavorare, a perfezionare le tecniche e l’atteggiamento mentale. Sei molto più tosto del novantanove per cento degli uomini là fuori. Ma il restante un per cento è composto da bastardi duri a morire. Dobbiamo darci dentro fin quando non sarai in grado di sconfiggere anche loro, ci stai?»
Jack annuì. L’umiltà non era una sua dote, ma era sempre desideroso di migliorare e apprendere cose nuove. Era abbastanza intelligente da capire che Buck aveva ragione, sebbene la prospettiva di continuare a prendere calci nel sedere fino a raggiungere la perfezione non lo allettasse per niente.
Indossò di nuovo gli occhialini protettivi. L’istruttore gli diede un colpetto amichevole alla testa con la mano aperta. «È tutto, ragazzo. Sei pronto a ricominciare?»
Jack annuì di nuovo, questa volta con molta più enfasi. «Puoi scommetterci!»