Val mica la pena agitarsi, aspettare basta, dal momento che tutto deve finire per passarci, nella strada. Quella sola conta in fondo. Niente da dire. Ci aspetta. Bisognerà pur scenderci nella strada, decidersi, non uno, non due, non tre di noi, ma tutti. Stiamo lì davanti a far cerimonie e complimenti, ma capiterà.

Nelle case, niente di buono. Quando una porta si chiude dietro un uomo, lui comincia sùbito a puzzare e tutto quel che si porta dietro puzza anche. Passa di moda sul posto, corpo e anima. Marcisce. Se puzzano gli uomini, c’entriamo pure per qualcosa. Bisognava occuparsene! Bisognava farli uscire, espellerli, esporli. Tutte le faccende che puzzano stanno in camera a infiocchettarsi e puzzano lo stesso.

Parlando di famiglie, conosco per esempio un farmacista, avenue de Saint-Ouen, che ha un bel manifesto in vetrina, una bella réclame: Tre franchi la scatola per purgare tutta la famiglia! Un affare! Giù rutti! Si fa tutto insieme, in famiglia. Ci si odia a morte, è il vero focolare, ma nessuno protesta, perché è comunque meno caro che andare a vivere in albergo.

L’hôtel, diciamolo, è più inquietante, non è pretenzioso come un appartamento, ci si sente meno colpevoli. La razza umana sta mai tranquilla e per arrivare al giudizio universale che si terrà per strada, chiaro che in hôtel uno è più vicino. Possono venire gli angeli con le trombe, arriveremo primi noi, scesi dall’hôtel.

Si cerca di non farsi troppo notare in albergo. Serve a niente. Già quando ci si grida addosso un po’ forte o un po’ troppo spesso, gira male, ti beccano sùbito. Alla fine osi nemmeno pisciare nel lavandino, tanto che si sente tutto da una camera all’altra. Finisce che le impari per forza le buone maniere, come gli ufficiali nella marina militare. Si può mettere a tremare tutto in cielo e in terra da un momento all’altro, siamo pronti, ce ne sbattiamo noialtri visto che stiamo già a dirci “pardon” dieci volte al giorno solo a incontrarci nei corridoi, in albergo.

Bisogna imparare a riconoscerlo ai gabinetti, l’odore di ciascuno dei vicini di pianerottolo, è comodo. Difficile farsi illusioni in una camera ammobiliata. I clienti non hanno fegato. È in punta di piedi che viaggiano sulla vita da un giorno all’altro senza farsi notare, in albergo come su una nave un po’ marcia e anche piena di buchi, sapendolo bene.

Quello in cui sono andato a piazzarmi, attirava soprattutto gli studenti di provincia. Puzzava di cicche e di colazioni, fin dai primi gradini. Lo ritrovavi di lontano la notte, per via del fanale a luce grigia che aveva sopra la porta e delle lettere sbrecciate in oro che gli pendevano dal balcone come un vecchio gigantesco rastrello. Una mostruosità abitativa avvilita da luridi maneggi.

Di camera in camera ci si scambiavano visite per i corridoi. Dopo anni di imprese scalcinate nella vita pratica, d’avventure come si dice, ero tornato da loro, dagli studenti.

I loro desideri erano sempre gli stessi, solidi e rancidi, né più né meno insipidi di una volta, dei tempi in cui li avevo lasciati. Erano cambiati gli esseri ma non le idee. Andavano ancora, come sempre, gli uni e gli altri, a brucare un tanto di medicina, qualche pezzo di chimica, delle compresse di diritto, e intere zoologie, a orari pressappoco regolari, all’altro capo del quartiere. La guerra passando sopra la loro classe non gli aveva smosso niente del tutto e quando ti univi ai loro sogni, per solidarietà, ti portavano dritto a quando avrebbero avuto quarant’anni. Si davano così vent’anni davanti, duecentoquaranta mesi di tenaci risparmi per costruirsi la felicità.

Era un’immaginetta popolare che gli serviva da augurio di successo, ma ben graduata, accurata. Si vedevano nella tomba, circondati da una famiglia non molto numerosa ma inimitabile e preziosa fino al delirio. Però non l’avrebbero mai guardata la famiglia per così dire. Val mica la pena. Va bene per tutto tranne che per essere guardata la famiglia. Per cominciare è la forza del padre, la sua felicità, abbracciare la famiglia senza mai guardarla, la poesia.

Come novità, sarebbero andati a Nizza, in automobile con la moglie ricca, e forse avrebbero adottato l’uso degli assegni per i trasferimenti bancari. Per le parti bassi dell’anima, una sera porterebbero senza dubbio al casino anche la moglie. Niente di più. Il resto del mondo sta chiuso nei giornali quotidiani e lo controlla la polizia.

Il soggiorno in quell’albergo pulcioso li rendeva al momento un po’ depressi e facilmente irritabili i miei compagni. Il borghese giovinetto in albergo, lo studente, si sente in castigo, e poiché è sottinteso che non può ancora fare economie, ecco che ti reclama la bohème per stordirsi, sempre bohème, disperazione in formato cappuccino.

Verso gli inizi del mese passavamo per una breve e autentica crisi di erotismo, tutto l’albergo ne vibrava. Ci si lavava i piedi. Si organizzavano spedizioni amorose. L’arrivo dei vaglia dalla provincia ci decideva. Avrei forse potuto ottenere gli stessi coiti, quanto a me, al Tarapout con le mie inglesi del balletto e gratis per giunta, ma riflettendoci rinunciai a quella facilitazione per via delle storie che fanno quei disgraziati piccoli macrò gelosi d’amichetti, sempre a girare per le quinte dietro alle ballerine.

Poiché leggevamo un sacco di giornali porno in albergo, ne conoscevamo di trucchi e indirizzi per scopare a Parigi! Bisogna ammetterlo sono divertenti gli indirizzi. Ci si lascia trascinare, anch’io che pure avevo fatto il Passage des Bérésinas e i viaggi e conosciuto un sacco di complicazioni nel genere porno, il lato confidenze non mi sembrava mai del tutto esaurito. Sopravvive in voi sempre un po’ di curiosità di riserva per le parti basse. Si ha un bel dire che non s’impara più niente sul sesso, che non c’è più un minuto da perdere sull’argomento e poi però si ricomincia un’altra volta solo per mettersi il cuore in pace che è proprio esaurito e si impara comunque qualcosa di nuovo sul tema e tanto basta per rimettervi in moto l’ottimismo.

Uno si riprende, pensa più chiaro di prima, si rimette a sperare quando non sperava più del tutto e fatalmente torna al sesso per lo stesso prezzo. Insomma, ci sono sempre scoperte per tutte le età in una vagina. Un pomeriggio dunque, racconto quel che è capitato, siamo partiti in tre di pigionanti dell’albergo, alla ricerca di un’avventura a buon mercato. Era una faccenda spiccia grazie alle relazioni con Pomone che teneva banco lui, per tutto quello che si può desiderare in fatto di sistemazioni e compromessi erotici, nel suo quartiere delle Batignolles. Il registro di Pomone abbondava d’inviti a ogni prezzo, funzionava senza sfarzo alcuno quell’uomo della provvidenza, in fondo a un cortiletto in un alloggio malmesso così poco illuminato che per non perdersi occorreva lo stesso tatto e orientamento che ci vuole in un vespasiano sconosciuto. I numerosi tendaggi che bisognava scostare ti inquietavano ancora prima di raggiungerlo ‘sto prosseneta, sempre assiso in una falsa penombra da confessioni.

Per via di questa penombra, non l’ho, a dire il vero, mai osservato con mio pieno agio Pomone, e anche se abbiamo lungamente conversato, collaborato persino per un certo tempo, e mi ha fatto vari tipi di proposte e ogni sorta d’altre confidenze pericolose, sarei proprio incapace di riconoscerlo oggi se lo incontrassi all’inferno.

Mi ricordo solo che gli amatori clandestini che attendevano il loro turno di consultazione nel salotto si comportavano sempre con gran decoro, nessuna familiarità tra loro, bisogna dirlo, riservatezza perfino, come da una specie di dentista che non gli piace affatto il rumore, e nemmeno la luce.

È grazie a uno studente in medicina che l’ho conosciuto Pomone. Andava spesso da lui lo studente per farsi qualche piccolo guadagno extra, grazie al suo aggeggio, dotato com’era, il fortunato, d’un pene enorme. Te lo convocavano lo studente per animare con quel gran batacchio delle seratine intime, in periferia. Soprattutto le signore, quelle che non credevano che si potesse averne “uno grosso così” gli facevano festa. Divagazioni di ragazzine in vena di sbalordimenti. Nei registri di Polizia figurava il nostro studente sotto uno pseudonimo fantastico: Balthazar!

Le conversazioni si avviavano stentatamente tra i clienti in attesa. Il dolore si esibisce, il piacere e la necessità hanno delle vergogne.

Si fa peccato volenti o nolenti, a essere scopatori e poveri. Quando Pomone fu al corrente del mio stato e del mio passato medico, non poté fare a meno di confidarmi il suo tormento. Un vizio lo sfiancava. L’aveva contratto toccandosi continuamente sotto il tavolo durante le conversazioni che aveva con i clienti, dei cercatori, dei dannati del perineo. “È il mio mestiere, capisce! Non è facile frenarmi... Con tutto quello che vengono a raccontarmi ‘sti maiali!...” La clientela insomma lo spingeva a eccedere, come quei macellai troppo grassi che hanno sempre la tendenza a riempirsi di carne. In più, credo proprio avesse le basse trippe costantemente riscaldate da una brutta febbre che gli arrivava dai polmoni. Difatti fu portato via qualche anno più tardi dalla tubercolosi. Le infinite chiacchiere delle clienti pretenziose lo sfiancavano anche in un altro modo, sempre a imbrogliare quelle, a inventare un sacco di storie e frescacce sul niente e sul loro didietro che a sentir loro non se ne sarebbero trovato uno uguale rovesciando i quattro angoli del mondo.

Gli uomini, bisognava soprattutto presentargli delle consenzienti in grado di apprezzare i loro ghiribizzi passionali. Non ne avevano più che già gliene venivano degli altri, ai clienti dell’amore ricambiato, come quelli di Madame Herote. Arrivava con la sola posta del mattino all’agenzia Pomone tanto di quell’amore inappagato da spegnere per sempre tutte le guerre di questo mondo. Ma ecco lì, questi diluvi sentimentali non oltrepassano mai le parti basse. Tutta la disgrazia sta lì.

Il tavolo spariva sotto quel guazzabuglio disgustoso di banalità ardenti. Nella mia voglia di saperne di più, decisi di interessarmi per qualche tempo alla classificazione di questo grande intrallazzo epistolare. Bisognava procedere m’insegnò lui, per tipi d’affezione, come per le cravatte o le malattie, prima i deliri da una parte e poi i masochisti e i viziosi dall’altra, i flagellanti di qui, il “genere cameriera” su un’altra pagina e così per tutto. Non ci vuol molto per trasformare i trastulli in una corvè! Ci hanno pure cacciato dal Paradiso! Questo bisogna pur dirlo! Pomone era anche lui di quest’avviso con le sue mani sudaticce e il vizio interminabile che gli infliggeva al tempo stesso piacere e castigo. In capo a qualche mese ne sapevo abbastanza sul suo commercio e sul suo conto. Diradai le visite.

Al Tarapout continuavano a trovarmi molto adatto, bello tranquillo, una comparsa puntuale, ma dopo qualche settimana di tregua la sventura mi tornò addosso da una strana parte e fui costretto, ancora una volta bruscamente, ad abbandonare la comparsata per continuare la mia sporca strada.

Considerati da lontano quei tempi del Tarapout non furono insomma che una specie di scalo proibito e sornione. Sempre tappato bene per esempio, ne convengo, durante quei quattro mesi, una volta principe, centurione due volte, aviatore un altro giorno e largamente e regolarmente pagato. Una vita da redditiere senza rendite. Tradimento! Disastro! Una certa sera hanno buttato per aria il nostro numero per non so quale ragione. Il nuovo prologo rappresentava le banchine di Londra. Sùbito, mi sono messo in guardia, le nostre inglesi ci davano dentro a cantare, così, facendo finta di stare sulle rive del Tamigi, la notte, io facevo il policeman. Una parte assolutamente muta, passeggiare da destra a manca davanti al parapetto. Di colpo, quando non ci pensavo più, la loro canzone è diventata più forte della vita e ha fatto perfino girare in pieno il destino dalla parte sbagliata. Allora mentre loro cantavano, non potevo pensare ad altro, io, che a tutta la miseria del povero mondo e alla mia soprattutto, che mi facevano tornare su come il tonno, le troie, con la loro canzone, sul cuore. E dire che credevo d’averle digerite, dimenticate le cose più dure! Ma era peggio di tutto, era una canzone allegra la loro che non riusciva ad esserlo. E con quella, si dimenavano le compagne, sempre cantando, per cercare di farla venire. Eravamo a posto allora, si poteva dirlo, era come mettersi in mostra sulla miseria, sulle ristrettezze... Nessun errore! A gironzolare nella nebbia e nelle recriminazioni! Grondava di lamenti, invecchiavi di minuto in minuto con loro. La scenografia trasudava anche lei, del grande panico. Però loro andavano avanti le cocche. Non avevano l’aria di capire tutta la mala azione jellatoria ai nostri danni che metteva in moto la loro canzone... Si lamentavano di tutta la loro vita sgambettando, ridendo, a tempo giusto... Quando quello viene da così lontano, con tanta sicurezza, non ci si può sbagliare, né resistere.

Ce n’era ovunque di miseria, malgrado il lusso che c’era in sala, su di noi, sulla scenografia, debordava, colava sull’intera terra malgrado tutto. Che fossero delle artiste, niente da dire... Ne saliva di jella da loro, senza che volessero fermarla o almeno capire. Soltanto gli occhi erano tristi. Non è abbastanza gli occhi. Cantavano lo sfacelo d’esistere e vivere e non lo capivano. Scambiavano quello per amore, nient’altro che amore, non gli avevano insegnato il resto alle piccole. Era una piccola pena che loro cantavano, diciamo così! Così la chiamavano! Uno scambia tutto per pene d’amore quando è giovane e non sa...

 

Where I go... where I look

It’s only for you... ou

Only for you... ou

 

Così cantavano loro.

È la mania dei giovani mettere tutta l’umanità in un didietro, uno solo, il sogno supremo, la rabbia d’amore. Loro avrebbero imparato forse più tardi dove finiva tutto questo, quando non sarebbero state più rosee per niente, quando la jella seriosa del loro sporco paese le avrebbe riprese, tutte e sedici, con le loro grosse cosce di giumenta, le loro tettone saltellanti... La miseria se le teneva già d’altra parte per il collo, per il corpo, le carine, non se la sarebbero mica tolta. Nella pancia, nel respiro, le teneva già in pugno la miseria in tutte le onde delle loro vocine esili e false.

Lei ci stava in mezzo. Non c’è costume, non c’è paillette, non c’è luce, non c’è sorriso che la inganni, che le faccia venire delle illusioni sui suoi sudditi, a quella, lei se li ritrova ovunque vadano a nascondersi i suoi, si diverte soltanto a farli cantare mentre aspettano il loro turno, tutte le fesserie della speranza. Questo la sveglia, e la culla e la eccita la miseria.

La nostra pena è così, quando è grande, una distrazione.

Allora tanto peggio per chi canta canzoni d’amore! L’amore è lei, la miseria e ancora nient’altro che lei, sempre lei, che viene a mentire nella nostra bocca, ‘sta merda, tutto lì. È dappertutto la carogna, non bisogna svegliarla la propria miseria nemmeno per finta. Nessuna finta per lei. Eppure tre volte al giorno, ritiravano comunque fuori ‘sta roba, le mie inglesi, davanti alla scenografia e con melodie da fisarmonica. Per forza che doveva girare malissimo.

Io le lasciavo fare ma posso dire che l’ho vista arrivare, io, la catastrofe.

Una delle piccole per prima cosa s’è ammalata. Morte alle belle che vanno a stuzzicare le disgrazie! Ci crepino che è tanto meglio! A proposito, mai nemmeno fermarsi agli angoli delle strade dietro le fisarmoniche, spesso è lì che ti prendi il male, il colpo di verità. È dunque arrivata una polacca a sostituire la malata, nel loro ritornello. Tossiva anche la polacca, nel frattempo. Una ragazzona ben piantata e pallida, era. Entrammo sùbito in confidenza. In due ore seppi tutto della sua anima, quanto al corpo aspettai ancora un po’. La mania di questa polacca era rovinarsi il sistema nervoso con delle sbandate impossibili. Di conseguenza, era entrata nella canzonaccia delle inglesi come nel burro, col suo dolore e tutto. Cominciava in tono gentile la loro canzone, aveva l’aria di niente, come tutte le cose per ballare, e poi ecco che ti faceva cascare il cuore a forza di farti diventare triste come se a sentirla perdessi la voglia di vivere, tanto era vero che tutto finisce in niente, la giovinezza e tutto, e allora molto dopo le parole e dopo che era già finita la canzone e finita lontano la loro melodia, ti chinavi per coricarti nel tuo vero letto, proprio nel tuo, più vero del vero, quello del buco giusto per farla finita. Due giri di ritornello e ti veniva come la voglia di quel dolce paese di morte, del paese eternamente tenero e presto immemore come una nebbia. Erano voci di nebbia che avevano insomma le ragazze.

Lo si riprendeva in coro, tutti, il lamento del rimprovero, contro tutti quelli che sono ancora là, a trascinarsi da vivi, che aspettano lungo le banchine, tutte le banchine del mondo che se ne finisca di passare la vita, continuando a far traffici, vendendo ciarpame e arance ad altri fantasmi e soffiate e monete false, polizia, gente viziosa, dolori, a raccontare trighi, in quella bruma di pazienza che non finirà mai...

Tania si chiamava la mia nuova amica polacca. La sua vita era in subbuglio al momento, l’ho capito, per via di un quarantenne impiegatuccio di banca che lei aveva conosciuto dai tempi di Berlino. Lei voleva tornarci nella sua Berlino e amarlo malgrado tutto e a ogni costo. Per tornare a trovarlo laggiù avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Lei tampinava gli agenti teatrali, questi che stanno a promettere scritture, in fondo alle loro scale pisciose. Le toccavano il culo, quegli infami, aspettando risposte che non arrivavano mai. Ma lei se ne accorgeva appena delle loro manipolazioni tanto l’amore lontano la prendeva per intero. Non passò una settimana in quelle condizioni senza che capitasse una gran catastrofe. Lei aveva riempito il Destino di tentazioni da settimane e mesi, come un cannone.

L’influenza si portò via il suo prodigioso amante. Sapemmo della disgrazia un sabato sera. Appena ricevuta la notizia, lei mi trascinò, scarmigliata, sconvolta, all’assalto della Gare du Nord. Questo era ancora niente, ma nel suo delirio, alla biglietteria s’illudeva d’arrivare in tempo a Berlino per la sepoltura. Ci son voluti due capistazione per dissuaderla, per farle capire che era davvero troppo tardi.

Nello stato in cui s’era messa era impensabile lasciarla. Lei ci teneva d’altronde al lato tragico e ancor più ad esibirmelo in piena trance. Che occasione! Gli amori contrariati dalla miseria e le grandi distanze, son come gli amori dei marinai, niente da dire sono qualcosa d’inconfutabile, di riuscito. Per prima cosa, quando non si ha l’occasione di incontrarsi spesso, non ci si può prendere a male parole, ed è già un bel guadagno. Se la vita è un delirio tutto pieno di menzogne, più stai lontano e più ne puoi metter dentro di menzogne e più sei contento, è naturale e regolare. La verità non si può mangiare.

Per esempio adesso è facile venirci a raccontare delle cose su Gesù Cristo. Faceva i suoi bisogni davanti a tutti Gesù Cristo? Ho idea che non avrebbe funzionato a lungo il trucco se lui avesse fatto la cacca in pubblico. Essere presenti il meno che si può, tutto lì, almeno in amore.

Una volta pienamente convinti con Tania che non c’era più un treno utile per Berlino, ci siamo rifatti coi telegrammi. All’Ufficio Borsa, ne abbiamo redatto uno lunghissimo, ma per spedirlo c’era ancora una difficoltà, non sapevamo assolutamente a chi indirizzarlo. Non conoscevamo nessuno a Berlino tranne il morto. A partire da quel momento non scambiammo altre parole che non fossero sul decesso. Sono servite a farci fare ancora due o tre volte il giro della Borsa le parole, e poi visto che bisognava pur cercare di lenirlo il dolore, risalimmo lentamente verso Montmartre, continuando a biascicare tristezze.

A partire da rue Lepic si comincia a incontrare gente che viene a cercare l’allegria nella città alta. Vanno di fretta. Arrivati al Sacré-Coeur si mettono a guardare in basso la notte che fa un grande incavo opprimente con tutte le case ammassate in fondo.

Sulla piazzetta, entrammo nel caffè che ci sembrò, stando alle apparenze, essere il meno costoso. Con la scusa della consolazione e della riconoscenza Tania mi lasciava baciarla dove volevo. Le piaceva anche bere bene. Sui divanetti intorno a noi dei festaioli un po’ ciucchi dormivano già. L’orologio in cima alla chiesetta si mise a suonare ore e ore a non finire. Eravamo arrivati in capo al mondo, era sempre più evidente. Non si poteva andare più in là, perché dopo di quello non c’erano che i morti.

Cominciavano sulla Place du Tertre, di fianco, i morti. Eravamo messi bene per rintracciarli. Passavano proprio sopra le Galeries Dufayel, a est quindi.

Ma comunque bisogna sapere come si fa a ritrovarli, cioè da dentro e con gli occhi quasi chiusi, perché le grandi macchie di luce delle pubblicità danno molto fastidio, anche attraverso le nuvole, se vuoi vederli, i morti. Con i morti, loro, ho sùbito capito che s’erano ripresi Bébert, ci siamo anche fatti un piccolo cenno tutti e due con Bébert e poi anche, non lontano da lui, con la ragazza pallida quella dell’aborto insomma, quella di Rancy, svuotata stavolta di tutte le trippe.

C’era anche pieno di ex-clienti che avevo io in giro e clienti alle quali non avevo mai più pensato e altri ancora, il negro in una nuvola bianca, tutto solo, quello che gli avevano dato un po’ troppo di sferza, laggiù, l’ho riconosciuto fin da Topo, e papà Grappa il vecchio tenente della foresta vergine! A quelli avevo pensato di quando in quando, al tenente, al negro torturato, e anche al mio spagnolo, al prete, era venuto con i morti il prete quella notte per le preghiere celesti e la croce d’oro gli dava fastidio a volteggiare da un cielo all’altro. S’impigliava con la croce nelle nuvole, nelle più sporche e gialle e via via ne riconoscevo ancora molti altri di scomparsi, sempre di nuovi... Così numerosi da provare davvero vergogna, di non aver avuto il tempo di guardarli mentre vivevano accanto a te, per degli anni...

Non si ha mai abbastanza tempo è vero, ce n’è solo per pensare a se stessi.

Insomma tutti quei disgraziati, erano diventati degli angeli senza che me ne sia accorto! Adesso ce n’erano le nuvole piene di angeli stravaganti e impresentabili, dappertutto. Sopra la città in girondola! Ho cercato Molly tra loro era il momento, la mia gentile, unica amica, ma lei non era andata con loro... Doveva avere un piccolo cielo solo per lei, vicino al Buon Dio, tanto era stata sempre gentile Molly... Mi ha fatto piacere non ritrovarla con quelle canaglie, perché erano proprio le canaglie dei morti quelli là, dei furfanti, nient’altro che la feccia e la cricca dei fantasmi che avevano ammassato quella sera sopra la città. Soprattutto dal cimitero di fianco ne venivano e venivano ancora e mica di signorili... E dire che era un cimitero piccolo, anche di comunardi, tutti coperti di sangue che spalancavano la bocca come per gridare ancora e non potevano più... Aspettavano i comunardi, con gli altri, aspettavano La Pérouse, quello delle Isole,[16] che li comandava tutti quella notte per l’assembramento... Non la finiva più La Pérouse di prepararsi, per via della gamba di legno che si metteva di traverso... e aveva sempre avuto difficoltà a metterla la gamba di legno e poi anche per via del suo grande occhialetto che bisogna ritrovargli.

Non voleva più uscire nelle nuvole senza prima averlo al collo l’occhialetto, una mania, il suo famoso cannocchiale delle avventure, un vero gioco da ragazzi, che ti fa vedere le persone e le cose da lontano, sempre più lontano dalla parte più piccola, e via via sempre più desiderabili, malgrado uno se le avvicini. Dei cosacchi nascosti vicino al Moulin non riuscivano a estirparsi dalle loro tombe. Facevano degli sforzi spaventevoli, ma avevano già provato tante di quelle volte... Ricadevano sempre nel fondo delle loro tombe, erano ancora ubriachi dal 1820.[17]

Comunque un rovescio di pioggia fece schizzare anche loro, finalmente rinfrescati, ben al di sopra della città. Si dispersero allora per la ronda e screziarono la notte con la loro turbolenza, da una nuvola all’altra... L’Opéra soprattutto li attirava, sembrava, il grosso braciere degli annunci in mezzo, schizzavano gli spettri a rimbalzare da un capo all’altro del cielo, così agitati e numerosi da far venire le traveggole. La Pérouse finalmente bardato volle essere issato ben saldo sull’ultimo tocco delle quattro, lo sostennero, lo equipaggiarono di tutto punto. Installato, a cavalcioni finalmente, gesticola comunque ancora e si dimena. Il tocco delle quattro lo fa traballare mentre s’abbottona. Dietro La Pérouse, grande irruzione celeste. Una disfatta orrenda, arrivano vorticando fantasmi da ogni angolo, tutti gli spettri di tutte le epoche... Si inseguono, si sfidano e si caricano secolo contro secolo. Il Nord resta a lungo appesantito dalla spaventevole baruffa. L’orizzonte scolora nel bluastro e infine il giorno sale attraverso il gran buco che quelli hanno fatto squarciando la notte per fuggire.

Dopo di che, ritrovarli diventa una faccenda difficile. Bisogna saper uscire dal Tempo.

È dalla parte dell’Inghilterra che uno se li ritrova quando ci arriva, ma la nebbia da quella parte è sempre così densa, così compatta che sono come delle vere vele che salgono le une davanti alle altre, dalla Terra fino al più alto dei cieli e per sempre. Con l’abitudine e l’attenzione si può comunque riuscire a ritrovarli, ma mai troppo a lungo a causa del vento che avvicina sempre nuove raffiche e vapori dal largo.

La donna immane che sta là, di guardia all’Isola, è l’ultima. La sua testa è ancora più alta dei vapori più alti. C’è solo lei con un po’ di vita sull’Isola. I suoi capelli rossi al di sopra di tutto, indorano ancora un po’ le nuvole, è tutto quel che resta del sole.

Cerca di farsi un tè, spiegano.

Bisogna pur che ci provi visto che è là per l’eternità. Non finirà mai di far bollire il suo tè per colpa della nebbia che è diventata troppo densa e penetrante. Dello scafo di una nave si serve come teiera, la più bella, la più grande delle navi, l’ultima che ha potuto trovare a Southampton, lei se ne fa scaldare del tè, a ondate e ondate... Agita... Rimescola il tutto con un remo enorme. Quello la tiene occupata.

Non guarda nient’altro, seria com’è per sempre, reclina.

La ronda è passata proprio sopra di lei ma lei non s’è nemmeno mossa, è abituata che vengano tutti i fantasmi del continente a perdersi da quelle parti... è finita.

Lei riattizza, questo le basta, il fuoco sotto la cenere, tra due foreste morte, con le dita.

Lei cerca di animarlo, tutto è suo adesso, ma il suo tè non bollirà mai più.

Non c’è più vita per le fiamme.

Non c’è più vita al mondo per nessuno tranne qualche po’ ancora per lei e tutto è quasi finito...

 

Viaggio al termine della notte
titlepage.xhtml
Viaggio_al_termine_della_notte_split_000.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_001.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_002.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_003.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_004.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_005.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_006.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_007.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_008.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_009.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_010.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_011.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_012.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_013.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_014.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_015.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_016.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_017.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_018.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_019.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_020.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_021.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_022.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_023.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_024.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_025.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_026.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_027.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_028.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_029.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_030.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_031.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_032.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_033.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_034.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_035.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_036.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_037.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_038.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_039.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_040.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_041.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_042.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_043.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_044.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_045.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_046.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_047.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_048.html
Viaggio_al_termine_della_notte_split_049.html