Fu solo per ragioni di soldi, ma quanto urgenti e imperiose, che mi misi alla ricerca di Lola! Non fosse stato per quella necessità miseranda, come l’avrei proprio lasciata invecchiare e scomparire senza mai rivederla quella troietta della mia amica! Tutto sommato, nei miei confronti, e su quello mi sembrava non ci fossero dubbi a rifletterci s’era comportata nella maniera più maledettamente disinvolta.

L’egoismo degli esseri che si sono mescolati alla nostra vita, quando si pensa a loro, da vecchi, si dimostra innegabile, cioè come se fosse d’acciaio, di platino, e persino più durevole del tempo stesso.

Quando si è giovani, l’indifferenza più arida, le porcate più ciniche, si arriva a trovargli la scusa del capriccio passionale e chissà quale segno di un romanticismo inesperto. Ma più tardi, quando la vita vi ha mostrato per bene tutto quello che può esigere in cautela, crudeltà, malizia soltanto per essere mantenuta bene o male a 37ø, ti rendi conto, sei informato, hai le carte in regola per capire tutte le stronzate che contiene un passato. Basta in tutto e per tutto contemplare scrupolosamente se stessi e quel che si è diventati in fatto di schifezza. Niente più mistero, niente più ingenuità, ti sei mangiato tutta la poesia visto che hai vissuto fino a quel momento. È un cazzo fritto, la vita.

Quella cafoncella d’un’amica, ho finito per scovarla, con un bel po’ di fatica, al ventitreesimo piano della Settantasettesima strada. È incredibile come la gente alla quale stai per chiedere un piacere ti possa far venire la nausea. Era signorile da lei e proprio in tono come me l’ero immaginato.

Ritrovandomi anzitutto imbevuto di grosse dosi di cinema mi trovavo mentalmente quasi predisposto, emergendo dallo scoraggiamento in cui mi dibattevo dopo il mio sbarco a New York e il primo contatto fu meno sgradevole di quel che avevo previsto. Non sembrò affatto provare una gran sorpresa a rivedermi Lola, soltanto un po’ di contrarietà riconoscendomi.

Cercai a mo’ di preambolo di abbozzare una sorta di conversazione anodina con l’aiuto di argomenti del nostro comune passato e questo beninteso nei termini più prudenti possibile, menzionando tra l’altro, ma senza insistervi, la guerra come semplice episodio. Qui feci una grossa gaffe. Lei non voleva più sentir parlare di guerra per niente, proprio per niente. La cosa la invecchiava. Seccata, tra il lusco e il brusco, mi confidò che non mi avrebbe affatto riconosciuto a me per strada, tanto l’età mi aveva già raggrinzito, enfiato, caricaturato. Eravamo a questi complimenti. Se la stronzetta si credeva di colpirmi con delle manfrine del genere! Non mi degnai nemmeno di prestare attenzione a queste basse impertinenze.

I suoi mobili non brillavano per alcuna finezza imprevista, ma erano comunque allegri, sopportabili, almeno così mi parve uscendo dal mio Laugh Calvin.

Il metodo, i dettagli d’una rapida fortuna vi danno sempre un’impressione di magia. Dopo l’ascesa di Musyne e di Madame Herote, sapevo che il culo è la piccola miniera d’oro del povero. Queste brusche mute femminili mi affascinavano e avrei dato il mio ultimo dollaro alla portinaia di Lola solo per farla chiacchierare.

Ma non esisteva portinaia a casa sua. La città intera era priva di portinaie. Una città senza portinaie, non ha storia, non ha gusto, è insipida, come una minestra senza pepe né sale, una ratatuglia informe. Oh! quel gustoso raschiare la pentola! Rimasugli, sbavature che stillano dall’alcova, dalla cucina, dalle mansarde, per sgocciolare a cascatelle attraverso la casa custode, nel bel mezzo della vita, che inferno saporito! Certe portinaie delle nostre parti sono travolte dalle loro mansioni, le si vede laconiche, tossicchianti, compiaciute, stranite, è perché sono rintronate di Verità quelle martiri, consumate da Lei.

Contro l’infamia d’esser povero, bisogna, confessiamolo, è un dovere, provarle tutte, ubriacarsi di qualsiasi cosa, di vino, quello non caro, di masturbazione, di cinema. Non bisogna fare i difficili, i “particolari” come dicono in America. Le portinaie che abbiamo noi, che l’anno sia buono o cattivo, ammettiamolo, forniscono a quelli che sanno come prenderlo, e scaldarselo tenendolo sul cuore, un odio che ci puoi far tutto a basso prezzo, sufficiente a far saltare un mondo. A New York ci si trova spaventosamente sprovvisti di questo pimento vitale, tanto meschino e vivo, indispensabile, senza il quale lo spirito soffoca e si condanna a fare maldicenza in modo vago, a farfugliare pallide calunnie. Niente che morda, vulneri, incida, tormenti, ossessioni, senza una portinaia che venga puntualmente ad aggiungere all’odio universale il fuoco dei suoi mille incontestabili dettagli.

Sgomento tanto più sensibile perché Lola, sorpresa nel suo ambiente, mi faceva provare appunto un disgusto nuovo, avevo una gran voglia di vomitare sulla volgarità del suo successo, del suo orgoglio, esclusivamente triviale e ripugnante ma con cosa? Per effetto d’un fulmineo contagio, il ricordo di Musyne mi divenne nello stesso istante altrettanto ostile e ributtante. Nacque in me un odio tenace per quelle due donne, dura ancora, s’è incorporato nella mia ragion d’essere. M’è mancata tutta una documentazione per liberarmi in tempo e finalmente d’ogni indulgenza presente e futura per Lola. Non si rifà la propria vita.

Il coraggio non consiste nel perdonare, si perdona sempre troppo! E questo non serve a niente, è provato. È in coda a tutti gli esseri umani, in ultima fila che hanno messo la serva! E non per niente. Non dimentichiamolo mai. Bisognerà farla addormentare sul serio una sera o l’altra, la gente felice, e mentre dormiranno, ve lo dico io, farla finita una volta per tutte con loro e la loro felicità. Il giorno dopo non si parlerà più della loro felicità e saremo diventati liberi d’essere infelici fin che vorremo insieme alla serva. Ma fatemi raccontare: lei andava e veniva attraverso la stanza Lola, mezzo svestita e il suo corpo mi pareva comunque ancora molto desiderabile. Un corpo di lusso è sempre uno stupro possibile, un’effrazione preziosa, diretta, incorporata nel vivo della ricchezza, del lusso, e senza rivendicazioni da temere.

Forse lei non attendeva che un mio gesto per congedarmi. Alla fine fu soprattutto questa sgagnosa benedetta che mi suggerì la prudenza. Abboffarsi per prima cosa. E poi lei non la finiva di raccontarmi le frivolezze della sua esistenza. Bisognerebbe proprio chiudere il mondo per due o tre generazioni almeno se non ci fossero più bugie da raccontare. Non ci sarebbe più niente da dirsi o quasi. Lei arrivò a chiedermi cosa pensavo della sua America. Le confidai che ero arrivato a un tal punto di debolezza e angoscia che dal più al meno non importa chi e non importa cosa ti mettono paura e quanto al suo paese molto semplicemente mi spaventava più di tutto quell’insieme di minacce dirette, occulte e imprevedibili che ci trovavo, specialmente per la spaventosa indifferenza nei miei confronti che a parer mio lo riassumeva.

Dovevo guadagnarmi il pane, le confessai ancora, e avrei dunque dovuto in breve tempo superare tutta quella sensibilità morbosa. Quanto a questo ero persino in grave ritardo e le garantivo la mia più viva riconoscenza se lei avesse voluto raccomandarmi a qualche eventuale imprenditore... tra le sue relazioni... Ma al più presto... Mi sarebbe bastato un salario modestissimo... E ancora molti altri favori e insulsaggini che le snocciolai. Lei prese molto male questa proposta modesta ma comunque indiscreta. Sùbito si mostrò scoraggiante. Non conosceva assolutamente nessuno che potesse darmi un lavoro o un aiuto, rispose lei. Ce ne tornammo per forza a parlare della vita in generale e della sua esistenza in particolare.

Stavamo studiandoci a quel modo moralmente e fisica mente quando suonarono. E poi quasi senza trapasso, né pausa, quattro donne irruppero nella stanza, truccate, mature, carnose, tutte muscoli e gioielli, molto in confidenza. Presentatomi a loro molto sommariamente, Lola alquanto imbarazzata (si vedeva) cercava di trascinarle altrove, ma loro si misero, indisponenti, a impadronirsi della mia attenzione tutte insieme, per raccontarmi tutto quel che sapevano sull’Europa. Vecchio giardino l’Europa tutto pieno di matti inusitati, erotici e rapaci. Loro recitavano a memoria lo Chabanais[12] e gli Invalides.

Per conto mio non avevo visitato nessuno di quei due posti. Il primo troppo costoso, il secondo troppo lontano. A ‘mo di replica fui invaso da una ventata di patriottismo automatico e spossato, ancora più ingenuo di quello che vi viene di solito in occasioni del genere. Gli ribattei che la loro città m’intristiva. Una specie di fiera mancata, dissi loro, stomachevole, che si intestardivano a far riuscire lo stesso...

Continuando a perorare a quel modo tra una furberia e una banalità non potevo impedirmi di scorgere più chiaramente altre ragioni oltre alla malaria per la depressione fisica e morale da cui mi sentivo sopraffatto. Si trattava in più d’un cambiamento d’abitudini, bisognava che imparassi ancora una volta a riconoscere nuovi volti in un nuovo ambiente, altri modi di parlare e di mentire. L’indolenza è quasi forte come la vita. La banalità della nuova farsa che bisogna recitare vi annienta e vi occorre tutto sommato ancora più vigliaccheria che coraggio per ricominciare. È questo l’esilio, l’estraneo, questa inesorabile osservazione dell’esistenza com’è davvero durante quelle poche ore lucide, eccezionali nella trama del tempo umano, in cui le abitudini del paese precedente vi abbandonano, senza che le altre, le nuove, vi abbiano ancora rincoglionito a sufficienza.

Tutto in quei momenti viene ad aggiungersi alla vostra immonda miseria per forzarvi, debilitati come siete, a scoprire le cose, la gente e l’avvenire così come sono, cioè degli scheletri, nient’altro che nullità, che bisognerà tuttavia amare, vezzeggiare, difendere, animare come se esistessero.

Un altro paese, altra gente intorno a te, agitata in un modo un po’ bizzarro, qualche piccola vanità in meno, dispersa, qualche orgoglio che non trova più la sua ragione, la sua menzogna, la sua eco familiare, e non occorre altro, la testa vi gira, e il dubbio vi attira, e l’infinito si spalanca solo per voi, un ridicolo piccolo infinito e voi ci cascate dentro...

Il viaggio è la ricerca di questo niente assoluto, di questa piccola vertigine per coglioni...

Si divertivano molto le quattro visitatrici di Lola a sentirmi confessare così a grandi sparate e a fare un po’ il Jean-Jacques davanti a loro. Mi affibbiarono un sacco di nomignoli che capii appena a causa delle deformazioni americane, del loro parlare mellifluo e indecente. Delle gatte patetiche.

Quando il domestico negro entrò per servire il tè facemmo silenzio.

Una di quelle visitatrici doveva possedere tuttavia un po’ più di discernimento delle altre perché annunciò ad alta voce che tremavo di febbre e dovevo soffrire una sete per niente normale. Quello che servirono come spuntini mi piacque assai malgrado i miei tremolii. Quei sandwich mi salvarono la vita, posso ben dirlo.

Seguì una conversazione sui meriti comparati delle case chiuse di Parigi senza che mi prendessi la pena di parteciparvi. Le belle centellinarono ancora molti liquori sofisticati e poi diventate tutte calde e confidenziali per effetto di quelli si accalorarono sul tema “matrimoni”. Anche se molto preso dalla pappatoria non potei evitare di notare di sfuggita che si trattava di matrimoni molto speciali, dove vano perfino essere delle unioni tra giovanissimi, tra bambini sui quali loro percepivano delle commissioni.

Lola si accorse che quei racconti mi rendevano molto attento e curioso. Mi squadrava con gran durezza. Non beveva più. Gli uomini che lei conosceva qui, Lola, gli americani, loro non peccavano come me di curiosità, mai. Me ne restai un po’ a fatica ai margini della sua sorveglianza Avevo voglia di fare a quelle donne mille domande.

Finalmente, le invitate finirono per lasciarci, muovendosi pesantemente, esaltate dall’alcool e sessualmente tonificate. Si arrapavano continuando a declamare un erotismo curiosamente elegante e cinico. Ci intuivo qualcosa di elisabettiano di cui avrei proprio voluto anch’io avvertire le vibrazioni, certo assai raffinate e concentrate sulla punta del mio organo. Ma quella comunione biologica, decisiva nel corso d’un viaggio, quel messaggio vitale, non mi restò che intuirlo con mio gran rimpianto d’altronde e tristezze accresciute. Malinconia incurabile.

Lola si mostrò, non appena quelle ebbero varcato la porta, le amiche, decisamente seccata. L’intermezzo le era proprio dispiaciuto. Io non profferivo motto.

“Che streghe! imprecò lei qualche minuto più tardi.

- Dov’è che le hai conosciute? chiesi io.

- Sono amiche da sempre...”

Non era disposta a ulteriori confidenze per il momento.

Dai loro modi alquanto arroganti nei suoi confronti m’era sembrato che quelle donne in certi ambienti avessero la meglio su Lola e anche un’autorità piuttosto grande, incontestabile. Non ne avrei mai saputo di più.

Lola parlava di andare in città, ma mi offrì di restare ancora lì ad aspettarla, da lei, continuando a mangiare un po’ se avevo ancora fame. Avendo lasciato il Laugh Calvin senza pagare il conto e senza intenzione di ritornarci più, e per delle buone ragioni, fui ben contento dell’autorizzazione che lei mi accordava, ancora qualche momento di calore prima di andare ad affrontare la strada, e che strada santi numi!...

Non appena rimasi solo, mi diressi attraverso un corridoio verso il posto da cui avevo visto emergere il negro suo domestico. In mezzo alla stanza di servizio ci incontrammo e gli strinsi la mano. Fiducioso, mi portò in cucina, bel posto ben ordinato, molto più logico e pimpante di quel che era il salotto.

Immediatamente, lui si mise a sputare davanti a me sulle bellissime piastrelle e a sputare come soltanto i negri sanno sputare, lungo, abbondante, preciso. Ho sputato anch’io per educazione, ma come ho potuto. Di botto passammo alle confidenze. Lola, mi informò lui, possedeva una casa galleggiante sul fiume, due auto per strada, una cantina e dentro liquori di tutti i paesi del mondo. Riceveva cataloghi dai grandi magazzini di Parigi. Ecco lì. Si mise a ripetere senza fine queste informazioni sommarie. Smisi di ascoltarlo.

Sonnecchiando al suo fianco, mi tornò in mente il tempo passato, i tempi in cui Lola m’aveva lasciato nella Parigi della guerra. Quella caccia, braccata, imboscata, verbosa, bugiarda, melliflua, e Musyne, gli argentini, le loro navi piene di carne. Topo, le coorti degli sbudellati di Place Clichy, Robinson, le onde, il mare, la miseria, la cucina così bianca di Lola, il suo negro e lo zero assoluto e io lì dentro come un altro. Tutto poteva continuare. La guerra aveva bruciato gli uni, riscaldato gli altri, come il fuoco tortura o conforta, a seconda che sia messo dentro o davanti. Bisogna arrangiarsi insomma.

È anche vero quel che lei diceva che ero molto cambiato. L’esistenza, è una cosa che vi torce e vi rovina la faccia. Anche a lei le aveva rovinato la faccia ma meno, molto meno. I poveri son cotti a puntino. La miseria è gigantesca, si serve della tua faccia per asciugare l’immondizia del mondo come con un asciugamano da bagno. Ce ne resta sopra.

Avevo creduto di notare in Lola qualcosa di nuovo, degli istanti di depressione, di malinconia, delle lacune nella sua stupidità ottimista, uno di quegli istanti in cui l’essere deve riprendersi per portare un po’ più in là il bagaglio della sua vita, dei suoi anni, suo malgrado già troppo grevi per lo slancio di cui dispone ancora, la sua sporca poesia.

Il suo negro si rimise improvvisamente a dimenarsi. La cosa lo riprendeva. Amico da poco, voleva rimpinzarmi di dolci, munirmi di sigari. Da un cassetto, alla fine, con infinite precauzioni, estrasse una massa rotonda e plumbea.

“La bomba!” mi annunciò lui impetuosamente. Rinculai. Libertà! Libertà![13] vociferò lui giovialmente.

Rimise tutto a posto e di nuovo sputò come un drago. Che emozione! Esultava. Il suo riso mi contagiò, questa colica delle sensazioni. Un gesto in più o in meno, mi dicevo io, non ha troppa importanza. Quando Lola tornò finalmente dalle sue commissioni, ci trovò insieme in salotto, tutti presi a fumare e a scherzare. Fece finta di non accorgersi di niente.

Il negro si squagliò in fretta, me, lei mi condusse in camera sua. La ritrovai triste, pallida e tremante. Da dove poteva tornare? Cominciava a farsi molto tardi. È l’ora in cui gli americani sono sconcertati perché la vita gli vibra intorno solo al rallentatore. In garage, un’auto su due. È il momento delle mezze confidenze. Ma bisogna sbrigarsi a profittarne. Lei mi ci preparava interrogandomi, ma il tono che scelse per farmi certe domande sull’esistenza che conducevo in Europa m’irritò moltissimo.

Non nascose affatto che mi giudicava capace d’ogni nefandezza. Questa ipotesi non mi feriva, mi imbarazzava soltanto. Lei intuiva bene che ero andato a trovarla per chiederle dei soldi e quel solo fatto creava tra noi una comprensibile animosità. Tutti quei sentimenti rasentano il delitto. Restavamo sul banale e facevo l’impossibile perché una scenata definitiva non scoppiasse tra noi. Lei fece indagini tra l’altro sui particolari delle mie scappatelle genitali, se per caso non avevo abbandonato da qualche parte durante i miei vagabondaggi un bambino che lei possa adottare, lei. Strana idea che le era venuta. Era il suo pallino l’adozione di un bimbo. Lei pensava semplicemente che un fallito del mio tipo doveva aver seminato della prole clandestina un po’ sotto tutti i cieli. Era ricca, mi confidò lei, e s’immalinconiva a non potersi dedicare a un bambino. Tutte le opere di puericoltura lei le aveva lette e soprattutto quelle che liricizzano la maternità da restarci secchi, quei libri che se li assimili completamente ti liberano dalla voglia di copulare, per sempre. Ogni virtù ha l’immonda letteratura che si merita.

Visto che lei aveva voglia di sacrificarsi soltanto per un “esserino” avevo addosso una bella scalogna, io. Non avevo da offrirle che il mio esserone che lei trovava assolutamente ributtante. Ci sono insomma soltanto le miserie presentate bene che fanno dei begli incassi, quelle che sono preparate dall’immaginazione. La conversazione languì: “Senti Ferdinand, mi propose lei alla fine, abbiamo parlato anche troppo, ti porto dall’altra parte di New York a trovare il mio piccolo protetto, me ne occupo con molto piacere, ma sua madre mi irrita...” Era un’ora strana. Per strada, in auto, parlammo di quel disastro del suo negro.

“Ti ha fatto vedere le sue bombe?” chiese lei. Ammisi che mi aveva sottoposto a quella prova.

“Non è pericoloso, sai, Ferdinand, quel maniaco. Carica le sue bombe con le mie vecchie fatture... Un tempo a Chicago, lui ha avuto il suo momento... Faceva parte di una società segreta molto pericolosa per l’emancipazione dei neri... Era, a quel che mi hanno raccontato, gente spaventosa... La banda fu sgominata dalle autorità, ma ha conservato questa mania per le bombe il mio negro... Mai che ci metta la polvere dentro... Gli basta l’idea... In fondo non è che un artista... Non la finirà mai di fare la rivoluzione Ma io lo tengo è un domestico eccellente! E tutto considerato, è forse più onesto degli altri che non fanno la rivoluzione...”

E tornò alla sua mania dell’adozione.

“È un peccato comunque che tu non abbia una ragazza da qualche parte, Ferdinand, un genere sognatore come il tuo andrebbe benissimo per una donna mentre per un uomo non va bene per niente...”

La pioggia sferzante richiudeva la notte sulla nostra vettura che scivolava su un lungo nastro di cemento liscio. Tutto mi era ostile e freddo, anche la sua mano, che tenevo comunque ben stretta nella mia. Eravamo divisi su tutto. Arrivammo davanti a una casa dall’aspetto molto differente da quella che avevamo lasciato. In un appartamento del primo piano, un ragazzino di dieci anni all’incirca, ci attendeva a fianco della madre. I mobili di quelle stanze volevano essere un Luigi XV, ci si sentiva la ribollita d’un pasto recente. Il bambino venne a sedersi sulle ginocchia di Lola e l’abbracciò con tenerezza. La madre mi parve piena di premure con Lola e io mi adoperai mentre Lola si intratteneva col bambino, per far passare la madre nella stanza vicina.

Quanto tornammo, il piccolo ripeteva davanti a Lola un passo di danza che aveva imparato al corso del Conservatorio. “Bisogna ancora fargli dare qualche ora di lezioni private, concluse Lola, e potrei anche presentarlo al teatro Globe alla mia amica Vera! Forse ha un avvenire questo bambino!” La madre, dopo quelle buone parole incoraggianti si profuse in ringraziamenti e piagnistei. Ricevette al tempo stesso una mazzetta di dollari verdi che nascose nel busto come un biglietto galante.

“Questo bambino mi piacerebbe molto, concluse Lola, quando fummo di nuovo fuori, ma mi devo sopportare la madre insieme al figlio e a me non piacciono le madri troppo furbe... E poi il piccolo è comunque troppo viziato… Non è il genere d’attaccamento che desidero... Vorrei provare un sentimento assolutamente materno... Mi capisci Ferdinand?...” Per mangiare io capisco tutto quel che uno vuole, non è più intelligenza è caucciù.

Non si smuoveva mica, dal suo desiderio di purezza. Quando fummo arrivati qualche strada più in là, mi chiese dove sarei andato a dormire quella sera e fece con me ancora qualche passo sul marciapiede. Le risposi che se non trovavo immediatamente qualche dollaro, non avrei dormito da nessuna parte.

“Va bene, rispose lei, accompagnami fino a casa e là ti darò un po’ di soldi e poi te ne andrai dove vorrai.”

Voleva seminarmi nella notte, il più in fretta possibile. Era regolare. A forza d’essere spinto a quel modo nella notte, si deve comunque finire per arrivare da qualche parte, mi dicevo. È una consolazione. “Coraggio, Ferdinand, ripetevo a me stesso, per tenermi su, a forza di essere sbattuto fuori dappertutto, finirai di sicuro per trovarlo il trucco che gli fa tanta paura a tutti, a tutti gli stronzi che ci sono in giro, deve stare in fondo alla notte. È per questo che non ci vanno loro in fondo alla notte!”

Dopo tirava un gelo totale fra noi nella sua auto. Era come se le strade che superavamo ci minacciassero con tutto il loro silenzio armato di pietre fino in alto, all’infinito, con una specie di diluvio in sospensione. Una città in agguato, un mostro a sorpresa, vischioso di bitumi e di piogge. Finalmente, rallentammo. Lola mi precedette verso la porta.

“Sali, m’invitò lei, seguimi!”

Di nuovo il suo salotto. Mi chiedevo quanto mi avrebbe dato per finirla e cavarsi d’impiccio. Cercava dei biglietti in una borsetta lasciata su un mobile. Sentivo lo stormire pazzesco dei biglietti stropicciati. Che attimi! In città c’era solo quel rumore. Però ero ancora così imbarazzato che le chiesi, non so perché, del tutto a sproposito, notizie di sua madre che avevo dimenticato.

- È malata mia madre, fece lei girandosi per guardarmi bene in faccia.

- Dov’è dunque in questo momento?

- A Chicago.

- Di cosa soffre tua madre?

- Di un cancro al fegato... La faccio curare dai migliori specialisti della città... Il trattamento mi costa molto caro, ma loro la salveranno. Me l’hanno garantito”

Precipitosamente, mi fornì ancora molti altri particolari che riguardavano le condizioni di sua madre a Chicago. Diventata improvvisamente tenera e familiare non poteva più fare a meno di chiedermi qualche conforto intimo. L’avevo in pugno.

- E tu, Ferdinand, pensi anche tu che la guariranno vero mia madre?

- No, risposi io molto apertamente, molto categorico, i cancri al fegato sono assolutamente inguaribili.

Di colpo, lei impallidì fino al bianco degli occhi. Era proprio la prima volta la strega che la vedevo sconcertata per qualche cosa.

- Ma però, Ferdinand, loro mi hanno assicurato che guarirà, gli specialisti! Me l’hanno certificato... Me l’hanno scritto!... Sono dei medici molto importanti sai?...

- Per la grana, Lola, ci saranno sempre per fortuna dei medici importanti... Farei la stessa cosa io se fossi al loro posto... E anche tu Lola faresti altrettanto...

Quel che le dicevo le parve all’improvviso così innegabile, così evidente, che non osava più lottare.

Per una volta, per la prima volta forse in vita sua non la soccorreva più la faccia tosta.

- Senti, Ferdinand, mi dài un dolore immenso ti rendi conto? Io amo molto mia madre, tu lo sai vero che l’amo molto?...

Capitava a fagiolo allora! Dio bonino! Che cavolo gliene importa a qualcuno, che uno ami o no sua madre?

Singhiozzava nel suo vuoto la Lola.

“Ferdinand, sei un fallito schifoso, riprese lei furiosa, nient’altro che un lurido malvagio!... Ti vendichi anche nel modo più vigliacco possibile d’esser messo male venendomi a dire delle cose spaventose... Sono anche sicura che fai molto male a mia madre parlando a questo modo!...”

Le prendevano nella sua disperazione dei residui del metodo Coué.[14]

La sua eccitazione non mi faceva affatto più paura di quella degli ufficiali dell’Amiral-Bragueton, quelli che pensavano di distruggermi per far arrapare le dame sfaccendate.

La guardavo con attenzione, Lola, mentre mi affibbiava tutti quei nomi e provavo una qualche fierezza nel constatare per contrasto che la mia indifferenza, che dico, la mia gioia cresceva quanto più lei mi ingiuriava. Come si è buoni dentro.

“Per sbarazzarsi di me, calcolavo io, adesso bisognerà che lei mi dia almeno venti dollari... Forse anche di più...”

Presi l’iniziativa: “Lola, ti prego prestami i soldi che mi hai promesso o se no dormirò qui e mi sentirai ripeterti tutto quello che so sul cancro, le sue complicazioni, la sua ereditarietà, perché è ereditario, Lola, il cancro. Non bisogna dimenticarlo!”

Via via che facevo risaltare, che rifinivo i dettagli sul cancro di sua madre, me la vedevo davanti a me che illividiva Lola, sveniva, cedeva. “Ah! la troia! mi dicevo io, tienila bene, Ferdinand! Per una volta che hai il coltello dal manico! Non mollarla la corda... Non ne troverai una così robusta per un bel po’!...”

“Prendi! tieni! fece lei, assolutamente esasperata, ecco i tuoi cento dollari e sparisci e non tornare più, mi hai sentito: mai!... Out! Out! Out! Brutto maiale!...

- Abbracciami almeno Lola. Andiamo!... Siamo mica dei nemici!, proposi io per sapere fino a che punto le facevo schifo. Lei allora ha tirato fuori un revolver dal cassetto e mica per ridere. M’è bastata la scala, non ho nemmeno chiamato l’ascensore.

Mi ha ridato comunque il gusto del lavoro e un pieno di coraggio questa robusta sceneggiata. Appena giorno ho preso il treno per Detroit dove mi garantivano l’assunzione facile in tanti piccoli lavori non troppo impegnativi e pagati bene.

 

Viaggio al termine della notte
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