Si sa che quelle cose lì sono sempre difficili da sistemare e sistemarle costa sempre molto caro. Per cominciare non si sapeva dove metterlo Robinson. All’ospedale? Poteva provocare mille maldicenze evidentemente, delle chiacchiere... Rispedirlo a casa sua? Nemmeno a pensarci per via della faccia nello stato in cui si trovava. Volenti o nolenti, gli Henrouille furono costretti a tenerselo a casa loro.
Lui, nel loro letto della camera in alto, non aveva da stare allegro. Un vero terrore l’angustiava, quello d’esser messo fuori e perseguito penalmente. Si poteva capire. Era una di quelle storie che non si poteva davvero raccontare a nessuno. Tenevano le persiane della camera ben chiuse, ma la gente, i vicini, si misero a passare per la strada più spesso del solito, solo per guardare le persiane e chiedere notizie del ferito. Gliene davano di notizie, gliene raccontavano di frottole. Ma come impedirgli di stupirsi? di spettegolare? Così, caricavano la dose. Come evitare le supposizioni? Per fortuna la procura non era ancora stata raggiunta da alcuna denuncia precisa. Era già qualcosa. Per la sua faccia, mi davo da fare. Non sopraggiunse alcuna infezione e questo malgrado la ferita fosse delle più profonde e delle più sporche. Quanto agli occhi, fino alla cornea, prevedevo il persistere di cicatrici attraverso le quali la luce sarebbe passata difficilmente se anche riusciva mai a passarci, la luce.
Si troverebbe il modo di arrangiargli una vista bene o male se gli restava qualcosa d’arrangiabile. Per il momento dovevamo far fronte all’urgenza e soprattutto evitare che la vecchia arrivi a comprometterci con i suoi dannati strepiti davanti ai vicini e ai curiosi. Aveva un bel passare per pazza, quello non spiega sempre tutto.
Se la polizia s’impicciava una buona volta delle nostre avventure, ci avrebbe trascinato chissà dove, la polizia Impedire adesso alla vecchia di dare scandalo nella sua piccola corte costituiva un’impresa delicata. A ciascuno di noi toccava a turno di calmarla. Non si poteva aver l’aria di farle violenza, ma la dolcezza non ci riusciva nemmeno sempre. Era invasata dalla vendetta adesso, ci ricattava, semplicemente.
Passavo a vedere Robinson, due volte al giorno almeno. Sotto i suoi bendaggi gemeva non appena mi sentiva salire le scale. Soffriva, è vero, ma non tanto quanto cercava di far credere. Avrebbe di che disperarsi, prevedevo io, e anche di più quando si fosse accorto esattamente di quel che erano diventati i suoi occhi... Restavo evasivo sulla questione del futuro. Le palpebre gli pizzicavano molto. Lui s immaginava che era per colpa di quei pizzicori che non vedeva più davanti a sé.
Gli Henrouille s’erano messi a curarlo scrupolosamente, secondo le mie indicazioni. Nessuna seccatura da quel lato.
Non si parlava più del tentativo. Non si parlava nemmeno del futuro. Quando li lasciavo la sera, ci fissavamo tutti per esempio uno per volta, e ogni volta con una tale insistenza che sembravamo sempre nell’imminenza d’ammazzarci una volta per tutte, gli uni gli altri. Questa conclusione del ragionamento mi pareva logica e opportuna. Le notti di quella casa me le potevo immaginare difficilmente. Però li ritrovavo al mattino e le riprendevamo insieme, persone e cose, al punto in cui le avevamo lasciate la sera prima. Con la signora Henrouille, cambiavamo la medicazione al permanganato e socchiudevamo un po’ le persiane a titolo di prova. Ogni volta invano. Robinson non se ne accorgeva nemmeno che le avevamo socchiuse le persiane...
Così gira il mondo attraverso la notte smisuratamente ostile e silenziosa.
E il figlio tornava ad accogliermi ogni mattino con piccole osservazioni da contadino: “Eh ben! ecco Dottore... Eccoci alle ultime gelate!” osservava levando gli occhi al cielo sotto la piccola pensilina. Come se avesse avuto importanza il tempo che faceva. Sua moglie partiva per provare ancora una volta a parlamentare con la suocera attraverso la porta barricata e non riusciva che a rinfocolare furori di lei.
Mentre lo tenevamo sotto le bende, Robinson m’ha raccontato come aveva cominciato nella vita. Col commercio. I genitori l’avevano piazzato, a partire dagli undici anni, da un calzolaio di lusso per fare le commissioni. Un giorno che faceva una consegna, una cliente l’aveva invitato a prendere un piacere che fino ad allora si era soltanto immaginato. Non era mai più tornato da quel padrone tanto il proprio comportamento gli era sembrato nefando. Chiavare una cliente in effetti ai tempi di cui parlava era ancora un gesto imperdonabile. La camicia di quella cliente soprattutto, tutta di mussola, gli aveva fatto un effetto straordinario. Trent’anni più tardi, se la ricordava ancora esattamente quella camicia. La signora tutta un frufrù nel suo appartamento colmo di cuscini e tende con le frange, quella carne rosa e profumata, il piccolo Robinson ne aveva ricavato per la vita gli elementi d’interminabili raffronti disperati.
Molte cose erano tuttavia capitate in sèguito. Ne aveva visto di continenti, di guerre intere, ma mai s’era ripreso da quella rivelazione. Lo divertiva tuttavia ripensarci, raccontarmi quella specie d’attimo di giovinezza che aveva avuto con la cliente. “Avere gli occhi chiusi a ‘sto modo, fa pensare, notava. È una sfilata... Si direbbe che uno ha il cinema nella zucca...” Non osavo ancora dirgli che avrebbe avuto il tempo di stufarsi del suo cinemino. Poiché tutti i pensieri conducono alla morte, sarebbe arrivato il momento che non avrebbe visto che quella lui nel suo cinema.
Proprio di fianco alla villetta degli Henrouille s’arrabattava una fabbrichetta con un grosso motore dentro. Di che far tremare la villetta da mane a sera. E poi altre fabbriche ancora un po’ più lontane, che martellavano senza posa, cose che non finivano mai, anche di notte. “Quando cascherà la bicocca, non ci saremo più!” scherzava Henrouille in proposito, un po’ agitato malgrado tutto. “Finirà proprio per cascare!” Era vero che il soffitto sgranava sul pavimento minuscoli calcinacci. Un architetto aveva avuto un bel rassicurarli, non appena ci si fermava per ascoltare le cose del mondo ti sentivi in casa loro come su una nave, una specie di nave che andava da uno spavento all’altro. Come dei passeggeri rinchiusi che passavano un sacco di tempo a fare progetti ancora più tristi della vita e delle stesse economie e poi a diffidare della luce e persino della notte.
Henrouille saliva in camera dopo il pranzo per leggere qualcosa a Robinson, come io gli avevo chiesto. I giorni passavano. La storia di quella meravigliosa cliente che lui aveva posseduto ai tempi del suo apprendistato, lui l’ha raccontata anche a Henrouille. E finì per diventare una specie di scherzo collettivo quella storia, per tutti quelli della casa. Così finiscono i nostri segreti quando li esponi all’aria e in pubblico. Di terribile in noi e sulla terra e in cielo c’è forse solo quello che non è stato ancora detto. Saremo tranquilli solo quando tutto sarà stato detto, una volta per tutte, allora finalmente faremo silenzio e non avremo più paura di star zitti. Ci saremo.
Durante le settimane che durò ancora la suppurazione delle palpebre riuscii ad intrattenerlo con delle panzane sugli occhi e l’avvenire. Qualche volta gli stavamo a dire che la finestra era chiusa mentre era spalancata, qualche volta che faceva molto scuro fuori.
Un giorno però, che avevo la schiena girata, è andato fino alla finestra da solo per rendersi conto e prima che abbia potuto impedirglielo, aveva scostato le bende da sopra gli occhi. Ha esitato un po’. Toccava a destra e poi a sinistra i montanti della finestra, voleva mica crederci lì per lì, e poi comunque ha proprio dovuto crederci. Doveva proprio.
“Bardamu! mi ha urlato allora dietro, Bardamu! è aperta! è aperta la finestra ti dico!” Non sapevo cosa rispondergli io, restavo lì come un imbecille. Teneva le due braccia in piena finestra, nell’aria fresca. Non vedeva niente evidentemente, ma sentiva l’aria. Le allungava le braccia a ‘sto modo nella sua oscurità come poteva, come per toccare il fondo. Non voleva crederci. Un buio tutto per lui. L’ho risospinto nel letto e gli ho raccontato delle cose per consolarlo, ma lui non mi credeva più per niente. Piangeva. Era arrivato in fondo anche lui. Non gli si poteva più dire niente. C’è un momento in cui sei solo quando sei arrivato in fondo a tutto quello che ti può capitare. È la fine del mondo. La stessa pena, la tua propria, non ti risponde più e bisogna tornare indietro allora, tra gli uomini, non importa quali. Uno non fa il difficile in quei momenti perché anche per piangere bisogna ritornare là dove tutto ricomincia, bisogna ritornare con loro.
“Allora, cosa ne farete di lui quando starà meglio?” chiesi io alla nuora durante il pranzo che seguì quella scena. M’aveva appunto chiesto di restare a mangiare con loro, in cucina. In fondo, non sapevano bene né l’uno né l’altra come uscire dalla situazione. Il costo d’una pensione da pagare li spaventava, lei soprattutto, ancora meglio informata di lui sui prezzi delle combinazioni per invalidi. Aveva perfino tentato certe pratiche presso l’Assistenza pubblica. Pratiche di cui evitavano di parlarmi.
Una sera, dopo la mia seconda visita, Robinson cercò di trattenermi da lui in tutti i modi, per fare in modo che me ne andassi ancora un po’ più tardi. Non la finiva di raccontare tutto quello che poteva mettere insieme, ricordi sulle cose e i viaggi che avevamo fatto, anche di quelli che non avevamo ancora mai cercato di ricordare. Si rammentava di cose che non avevamo mai avuto ancora il tempo di evocare. Nel suo ritiro il mondo che avevamo percorso sembrava affluire con tutti i lamenti, le cortesie, i vecchi abiti, gli amici che avevamo lasciato, un vero bazar d’emozioni fuori moda, che lui inaugurava nella sua testa senza occhi.
“Mi ucciderò!” mi avvertiva lui quando la pena gli sembrava troppo grande. E poi riusciva comunque a portarla la sua pena un po’ più in là come un peso troppo gravoso per lui, infinitamente inutile, pena su una strada dove lui non trovava nessuno con cui parlarne, tanto era enorme e multipla. Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d’istruzione.
Vigliacco com’era, io lo sapevo, e lui anche, di natura, sempre a sperare che lo salvassero dalla verità, ma io cominciavo però, d’altra parte, a chiedermi se ce n’era da qualche parte, qualcuno di veramente vigliacco... Si direbbe che si può sempre trovare per chiunque una sorta di cosa per la quale lui è pronto a morire e sùbito e anche contento. Solo che non si presenta mica sempre l’occasione di una bella morte, l’occasione che ti farebbe piacere. Allora si va a morire come si può, da qualche parte... Resta lì sulla terra l’uomo con l’aria d’un coglione per di più e di un vigliacco universale, solo niente convinto, ecco tutto. È solo in apparenza la vigliaccheria.
Robinson non era ancora pronto a morire nell’occasione che gli si presentava. Può darsi che presentata in altro modo, gli sarebbe piaciuta molto.
Insomma la morte è un po’ come un matrimonio.
Quella morte là non gli piaceva per niente e basta. Niente da dire.
Bisognerebbe allora che lui si rassegni ad accettare il suo degrado e la sua angoscia. Ma per il momento era ancora tutto occupato, tutto infiammato a imbrattarsi l’anima in modo rivoltante con la sua disgrazia e la sua angoscia. Più tardi, avrebbe messo ordine nella sua disgrazia e allora una nuova vita sarebbe cominciata. Bisognava bene.
“Puoi credermi, se vuoi, mi ricordava lui, rabberciando brani di ricordi a quel modo la sera dopo cena, ma sai, in inglese, anche se non sono mai stato molto tagliato per le lingue, ero arrivato a poter comunque tenere una conversazione elementare verso la fine a Detroit... Eh be’ adesso ho dimenticato quasi tutto, salvo una sola frase... Due parole... Che mi tornano tutte le volte da quando m’è capitata ‘sta cosa agli occhi: Gentlemen first! è tutto quello che posso dire adesso in inglese, non so perché... è facile da ricordare, è vero... Gentlemen first!” E per cercare di distrarlo ci divertivamo a riparlare inglese insieme. Allora ripetevamo, ma proprio spesso: Gentlemen first! a proposito di tutto e niente come degli stupidi. Uno scherzo solo nostro. Abbiamo finito per insegnarlo allo stesso Henrouille che ogni tanto veniva un po’ su per tenerci d’occhio.
Ravanando nei ricordi ci chiedevamo cosa restava ancora di tutto quello... Che avevamo conosciuto insieme... Ci chiedevamo cosa era potuta diventare Molly, la nostra cara Molly... Lola, lei, volevo proprio dimenticarla, ma dopo tutto mi avrebbe fatto piacere avere notizie di tutte comunque, anche della piccola Musyne tanto per fare... Che non doveva abitare molto lontano a Parigi adesso. Da queste parti insomma... Ma ci sarebbe stato bisogno che mi buttassi comunque in una sorta di spedizione per avere notizie sue, di Musyne... Tra tutta quella gente di cui avevo dimenticato i nomi, le abitudini, gli indirizzi, e le loro gentilezze e anche i sorrisi, che dopo tanti anni di preoccupazioni, di brama di nutrirsi, gli dovevano essere girati come vecchi formaggi in penosissime smorfie... Gli stessi ricordi hanno una loro giovinezza... Loro si trasformano quando li lasci andare a male in fantasmi disgustosi che trasudano egoismo, vanità e menzogne... Marciscono come delle mele... Ci stavamo a parlare della nostra giovinezza, a gustarla e rigustarla. Diffidavamo. Mia madre, a proposito, non ero stato a trovarla da molto... E quelle visite non facevano un gran bene al sistema nervoso... Era peggio di me, quanto a tristezza mia madre... Sempre nel suo negozietto, aveva l’aria di accumularne quanto più poteva attorno a lei di delusioni dopo tanti e tanti anni... Quando andavo a vederla, mi raccontava: “Sai la zia Hortense è morta due mesi fa a Coutances... Forse avresti dovuto andarci! E Clémentin, te lo ricordi bene Clémentin?... Quello che dava la cera ai palchetti e giocava con te quand’eri piccolo?... Eh be’, lui, l’han tirato su l’altroieri in rue d’Aboukir... Non aveva mangiato da tre giorni...”
La sua, d’infanzia, Robinson non sapeva più da che parte prenderla quando ci pensava tanto non aveva niente di speciale. A parte il colpo della cliente, non ci trovava niente che non lo portasse alla disperazione fino a vomitare dappertutto, come in una casa dove ci fossero solo cose schifose che puzzano, scope, mastelli, massaie, schiaffi... Il signor Henrouille non aveva niente da raccontare sulla sua di giovinezza fino al reggimento, salvo che a quell’epoca gli avevano fatto la foto con le nappine, che stava ancora adesso quella foto sopra l’armadio a specchio.
Quand’era ridisceso giù Henrouille, Robinson mi confidava la sua agitazione che mai li avrebbe beccati adesso, i diecimila franchi promessi... “Non contarci troppo, in effetti!” gli dicevo io stesso. Preferivo prepararlo a quest’altra delusione.
Dei pallini, quel che restava della scarica, affioravano ai bordi delle ferite. Glieli toglievo a più riprese, qualcuno ogni giorno. ‘Sta cosa gli faceva un male cane quando lo maneggiavo a quel modo proprio sopra la congiuntiva.
Avevamo avuto un bel prendere precauzioni, la gente del quartiere s’era messa a chiacchierare lo stesso, per dritto e per traverso. Non se ne accorgeva nemmeno, Robinson, per fortuna, delle chiacchiere, sarebbe stato ancora peggio. Poco da dire, eravamo circondati dai sospetti. La signora Henrouille faceva sempre meno rumore camminando per casa con le pantofole. Non contavamo su di lei e lei era lì al nostro fianco.
Arrivati nel bel mezzo di quei frangenti, il minimo dubbio adesso basterebbe a travolgerci tutti. Allora ogni cosa sarebbe andata a perdersi, spaccarsi, sbattersi, fondersi, sparpagliarsi nel fosso. Robinson, la nonna, il petardo, il coniglio, gli occhi, il figlio incredibile, la nuora assassina, saremmo andati là a metterci in mostra in mezzo a tutte le nostre schifezze e i nostri brutti pudori, davanti a dei curiosi arrapati. Non ne ero contento. Non che avessi fatto qualcosa, io, di concretamente criminale. No. Ma mi sentivo colpevole lo stesso. Ero soprattutto colpevole di desiderare in fondo che tutto quello andasse avanti. E che anche non ci vedevo quasi più controindicazioni ad andare tutti insieme a gironzolare sempre più lontano nella notte.
D’altronde, non c’era nemmeno bisogno di desiderarlo, quello andava da solo, e a tutta birra per giunta!