Da un lato, lo si rimpianse mica, ma comunque ‘sta partenza creava un vuoto maledetto nella casa.
Per prima cosa il modo in cui era partito ci rendeva tristi e per così dire nostro malgrado. Non era naturale il modo in cui era partito. Ci domandavamo quel che ci poteva capitare a noi dopo un colpo del genere.
Ma non abbiamo avuto il tempo di chiedercelo troppo a lungo, e nemmeno di annoiarci. Appena qualche giorno dopo che l’avevamo portato alla stazione Baryton, ecco che annunciano una visita per me in ufficio, per me in particolare. Don Protiste.
Gliene ho raccontate allora io di notizie! E di belle! E soprattutto il modo incredibile con cui Baryton ci aveva mollati tutti per andarsene a zonzo nel Settentrione!... Cadeva dalle nuvole Protiste a sentire ‘ste cose, e poi quando ebbe compreso alla fine non scorgeva altro in quel cambiamento che il profitto che io potevo cavare da una situazione del genere. “Questa fiducia del suo direttore mi sembra la più lusinghiera delle promozioni, caro Dottore!” stava a ripetermi lui a non più finire.
Avevo un bel cercare di calmarlo, entrato in effervescenza, non rinunciava più alla sua formula e alla predizione del più luminoso avvenire, una splendida carriera medica come lui diceva. Non potevo più interromperlo.
A gran fatica siamo comunque tornati alle cose serie, a quella città di Tolosa per l’esattezza, da cui lui era arrivato, la sera prima. Beninteso l’ho lasciato raccontare a sua volta quel che sapeva. Ho perfino fatto il sorpreso, lo stupefatto, quando finì di raccontare l’incidente che era capitato alla vecchia.
“Come? Come? lo interrompevo io. Lei è morta? Ma dunque quand’è che è capitato, guarda un po’?”
Da un discorso all’altro ha dovuto vuotare il sacco.
Senza raccontarmi assolutamente che era stato Robinson che le aveva dato il giro alla vecchia, dalla sua scaletta, non mi ha comunque impedito di supporlo... Lei aveva mica avuto il tempo di dire uff! sembrava. Ci capivamo... Era un bel lavoro, curato bene... La seconda volta che ci aveva riprovato, non l’aveva sbagliata la vecchia.
Fortuna che passava nel quartiere, a Tolosa, Robinson, per uno ancora completamente cieco. Non ci avevano dunque visto qualcosa di più di un incidente, tragico certo, ma comunque spiegabilissimo se uno rifletteva un po’ su tutto, sulle circostanze, sull’età di una persona anziana e anche sul fatto che era capitato alla fine della giornata, la stanchezza... Io non ci tenevo a saperne di più per il momento. Ne avevo già ricevute abbastanza di quel genere di confidenze.
Comunque, ho fatto fatica a fargli cambiare conversazione al reverendo. Lo intrigava la sua storia. Ci ritornava sopra ancora e sempre nell’indubbia speranza di farmi contraddire, di compromettermi si sarebbe detto... Troppo tardi!... Poteva correre... Allora ci ha comunque rinunciato e s’è accontentato di parlarmi di Robinson, della sua salute... Dei suoi occhi... Da quel lato, andava molto meglio... Ma era il morale che continuava a non funzionare. Il morale proprio, non andava più per niente! E questo a dispetto della sollecitudine, dell’affetto che le due donne non smettevano di prodigargli... Lui non la finiva in compenso di lamentarsi, del suo destino e della sua vita.
A me, non mi sorprendeva affatto sentirgli dire tutto quello al prete. Lo conoscevo Robinson, io. Che tristi, ingrate attitudini aveva. Ma diffidavo del prete anche di più... Non battevo ciglio mentre lui mi parlava. Ci restò con un palmo di naso quanto a confidenze.
“Il suo amico, Dottore, a dispetto d’una vita materiale che adesso è diventata piacevole, facile, e d’altra parte con le prospettive d’un felice matrimonio futuro, delude tutte le nostre speranze, glielo devo confessare... Non si fa forse riprendere da quel gusto funesto per le scappate, quel gusto dello scapestrato che lei gli conobbe in altri tempi?... Che cosa pensa di queste inclinazioni, caro Dottore?”
Insomma laggiù non pensava che a mollar tutto Robinson, se capivo bene, la fidanzata e sua madre ne erano irritate e provavano tutto il dispiacere che si poteva immaginare. Ecco quel che era venuto a raccontarmi don Protiste. Tutto quello era certo abbastanza sconvolgente e per parte mia, ero proprio deciso a star zitto, a non intervenire più, ad ogni costo, negli affaretti di quella famiglia... Incontro fallito, ci lasciammo al tram con il reverendo abbastanza freddamente per dirla tutta. Tornando all’Istituto non mi sentivo l’animo tranquillo.
È poco tempo dopo quella visita che ricevemmo dall’Inghilterra le prime notizie di Baryton. Qualche cartolina postale. Augurava a tutti “buona salute e ogni bene”. Ci scrisse ancora qualche riga insignificante, di qui e di là. Da una cartolina senza parole, apprendemmo che era passato in Norvegia, e qualche settimana più tardi un telegramma venne a rassicurarci un po’: “Traversata buona!” da Copenaghen.
Come noi avevamo previsto, l’assenza del padrone fu commentata con assoluta malevolenza nella stessa Vigny e dintorni. Era meglio per l’avvenire dell’Istituto che noi dessimo ormai sui motivi di quell’assenza solo un minimo di spiegazioni, tanto coi malati che con i colleghi dei dintorni.
Altri mesi passarono, mesi di grande prudenza, scialbi, silenziosi. Finimmo per evitare del tutto d’evocare perfino il ricordo di Baryton tra di noi. D’altra parte il suo ricordo ci faceva a tutti come un po’ di vergogna.
E poi tornò l’estate. Non potevamo restare tutto il tempo in giardino a sorvegliare i malati. Per provare a noi stessi che eravamo malgrado tutto un po’ liberi ci avventuravamo fino ai bordi della Senna, solo per uscire.
Dopo il terrapieno dell’altra riva, è la grande pianura di Gennevilliers che comincia, una gran bella distesa grigia e bianca in cui le ciminiere si stagliano lentamente nella polvere e nella bruma. Attaccata all’alzaia sta la bettola dei marinai, guarda l’entrata del canale. La corrente gialla viene a premere sulla chiusa.
Stavamo a guardare quello noialtri dall’alto in basso per ore intere, e di fianco, anche quella specie di lungo acquitrino il cui odore risale sornione sino alla strada carrozzabile. Ci si abitua. Non aveva più colore ‘sto fango, tanto era vecchio e lavorato dalle piene. Certe sere d’estate, diventava qualche volta come dolce, il fango, quando il cielo, in rosa, andava sul sentimentale. È là sul ponte che si veniva a sentire la fisarmonica, quella delle chiatte, mentre se ne stanno ad aspettare davanti alle chiuse, che la notte finisca per passare al fiume. Soprattutto quelle che vengono giù dal Belgio fanno musica, portano del colore dappertutto, del verde e del giallo, e biancheria da asciugare che riempie i fili e ancora delle sottovesti color lampone che il vento gonfia saltandoci dentro a sbuffi.
Alla piola dei marinai, ci venivo spesso anche da solo, nell’ora morta che segue il pranzo, quando il gatto del padrone se ne sta bello tranquillo, tra i quattro muri, come rinchiuso in un piccolo cielo di smalto blu tutto per lui.
Là, anch’io, sonnecchiando all’inizio d’un pomeriggio, ad aspettare, dimenticato come mi credevo, che passi.
Ho visto qualcuno arrivare da lontano, che saliva per la strada. Non ho dovuto restare incerto a lungo. Appena sul ponte l’avevo già riconosciuto. Era il mio Robinson in persona. Non si poteva sbagliare! “Viene a cercarmi da queste parti! mi son detto io di botto... Il prete gli ha dovuto dare il mio indirizzo!... Bisogna che me ne liberi in fretta!”
Sul momento l’ho trovato spaventoso disturbarmi proprio nel momento in cui cominciavo a rifarmi un caro piccolo egoismo. A diffidare di quel che arriva dalle strade, si fa sempre bene. Eccolo dunque arrivato vicinissimo all’osteria. Esco. Ha l’aria sorpresa nel vedermi. “Da dov’è che salti fuori un’altra volta? gli chiedo io, così, poco gentile. - Da La Garenne... mi risponde lui. - Ben, va bene! Hai mangiato?” gli chiedo io. Non aveva tanto l’aria d’aver mangiato, ma non voleva fare la parte del crapulone che ancora non era arrivato. “Eccoti lì di nuovo in giro eh?” aggiungo io. Perché adesso posso proprio dirlo, ero niente contento di rivederlo. La cosa non mi faceva alcun piacere.
Parapine arrivava anche lui dal lato del canale, per incontrarmi. Cascava a fagiolo. Era stanco Parapine d’essere tanto spesso di guardia all’Istituto. È vero che me la prendevo un po’ calma col servizio. Prima cosa, per quel che riguarda la situazione, avremmo proprio dato qualcosa, tanto io che lui, per sapere un po’ bene quando se ne tornava il Baryton. Speravamo la finisse presto d’andare a zonzo per riprendersi il suo bazar e occuparsene personalmente. Era troppo per noi. Non eravamo degli ambiziosi, né l’uno né l’altro e ce ne sbattevamo noi delle possibilità di futuro. Era uno sbaglio però.
Bisogna anche rendergli giustizia a Parapine, il fatto è che non faceva mai domande sulla gestione commerciale dell’Istituto, sul modo di trattare i clienti, ma io lo tenevo al corrente comunque, suo malgrado per così dire, e allora parlavo da solo. Nel caso di Robinson, era importante metterlo al corrente.
“Ti ho già parlato di Robinson no? gli ho chiesto io a mo’ d’introduzione. Sai quel mio amico della guerra?... Ci sei?”
Lui me le aveva sentite raccontare cento volte le storie della guerra e anche le storie dell’Africa e cento volte in modi diversi. Era il mio modo.
“Eh ben, continuai, eccolo qui adesso Robinson che torna in carne e ossa da Tolosa, per vederci... Si va a mangiare insieme a casa.” Di fatto, spingendomi avanti a quel modo in nome della casa, mi sentivo un po’ imbarazzato. Era una specie d’indiscrezione che commettevo. Avrei dovuto nella circostanza possedere un’autorevolezza credibile, vincolante, che mi mancava assolutamente. E poi Robinson lui stesso non mi facilitava le cose. Sulla strada che ci riportava al paese, si mostrava già tutto curioso e inquieto, soprattutto verso Parapine il cui viso lungo e pallido al nostro fianco lo intrigava. S’era creduto all’inizio che era un matto anche lui, Parapine. Da quando aveva saputo dove noi stavamo a Vigny ne vedeva dappertutto di matti. Lo rassicurai.
- E tu, chiesi io, ti sei almeno trovato un lavoro qualunque da quando sei tornato?
- Sto cercando... s’accontentò di rispondermi lui.
- Ma i tuoi occhi sono guariti bene? Ci vedi bene adesso?
- Sì, ci vedo quasi come prima...
- Allora, sarai contento?” gli faccio io.
No, lui non era contento. Aveva altro da fare che essere contento. Mi guardai bene dal parlargli sùbito di Madelon. Tra noi era un argomento che restava troppo delicato. Siamo rimasti un bel po’ con l’aperitivo davanti e ne approfittai per metterlo al corrente di molte faccende dell’Istituto e altri dettagli ancora. Ho mai potuto fare a meno di chiacchierare a vanvera. Non molto diverso in fin dei conti da Baryton. Il pranzo finì cordialmente. Dopo, non potevo comunque rispedirlo tal quale in strada Robinson Léon. Decisi su due piedi che gli avremmo montato in sala da pranzo un lettino pieghevole aspettando tempi migliori. Parapine continuava sempre a non profferire motto. “To’ Léon! ho fatto io, ecco come ti puoi sistemare finché non ti sarai trovato un altro posto...” “Grazie” ha risposto lui semplicemente e da quel momento, ogni mattina, se ne andava in tram a Parigi per così dire alla ricerca di un lavoro da rappresentante.
Ne aveva basta della fabbrica, diceva lui, voleva “rappresentare”. Forse s’è dato un gran daffare per trovarne una di rappresentanza, bisogna esser giusti, ma alla fine sta di fatto che non l’ha trovata.
Una sera è rientrato da Parigi prima del solito. Ero ancora in giardino io, intento a sorvegliare le rive della vasca grande. È venuto a raggiungermi lì per dirmi due parole.
“Senti! ha cominciato.
- Ti sento, ho risposto io.
- Non potresti darmi un lavoretto te proprio qui?... Trovo niente fuori...
- Hai cercato bene?
- Sì, ho cercato bene...
- Un impiego nella casa è quello che vuoi tu? Ma a fare che? Non te lo trovi proprio un lavoretto a Parigi? Vuoi che ci informiamo per te con Parapine dalla gente che conosciamo?”
Lo imbarazzava proporgli di darmi da fare per il suo impiego.
“Non è che non se ne trovi assolutamente, ha continuato allora. Si troverebbe forse... Un lavoretto... Bene... Ma tu devi capire... Bisogna assolutamente che abbia l’aria d esser malato nel cervello... è urgente e indispensabile che abbia l’aria del malato mentale...
- Ben! gli faccio allora io, non stare a dirmi altro!...
- Sì, sì, Ferdinand, al contrario, bisogna che ti dica il resto, insisteva lui, che tu mi capisca bene... E poi da come ti conosco da un pezzo, sei lungo a capire e a deciderti...
- Dài allora, gli faccio io, rassegnato, racconta...
- Se non ho l’aria del matto, va a finir male, ti garantisco io... Sono cazzi amari... Lei è capace di farmi arrestare... Mi capisci te adesso?
- È di Madelon che si tratta?
- Sì, certo che è lei!
- Carino!
- Puoi dirlo...
- Vi siete proprio litigati allora?
- Come vedi...
- Vieni di qui, se mi vuoi raccontare i particolari! lo interruppi allora io, e lo trascinai da parte. Sarà più prudente per via dei matti... Possono anche capire delle cose e raccontarne di più strane ancora... matti come sono...”
Salimmo in una delle stanze d’isolamento e una volta là non ci volle molto perché lui mi ricostruisse tutta la combinazione, dato poi che ero informatissimo sulle sue capacità e anche don Protiste m’aveva lasciato supporre il resto...
La seconda volta non l’aveva mancata la faccenda. Non si poteva più pretendere che aveva smarronato ancora una volta! Questo no! Per niente. Niente da dire.
“Tu capisci la vecchia, rompeva le palle sempre di più... Soprattutto da quando ho cominciato ad andare un po’ meglio con gli occhi, cioè quando ho cominciato a poter andare da solo per strada... Ho rivisto le cose a partire da quel momento lì... E l’ho rivista anche lei la vecchia... Niente da dire, non vedevo che lei!... Ce l’avevo tutto il tempo davanti!... Come se lei m’avesse tappato l’esistenza!... Credo proprio che lei lo facesse apposta a star lì... Solo per avvelenarmi... Non si può mica spiegare altrimenti!... E poi nella casa dove stavamo tutti, tu la conosci eh la casa, era niente facile non litigare!... Hai visto com’era piccola!... Ci si pestava i piedi! Non si può dire diverso!...
- E i gradini della grotta, non tenevano molto eh?”
Avevo notato da me com’era pericolosa la scala visitandola la prima volta con Madelon, ballavano già parecchio i gradini.
“No, per questo era già quasi tutto fatto, ha ammesso lui, molto francamente.
- E quelli di giù? lo interrogai io ancora. I vicini, i preti, i giornalisti... Non hanno notato niente, loro, quando è capitato?...
- No, c’è da credere... E poi, non mi credevano capace... Mi prendevano per uno smidollato... Un cieco... Capisci?...
- Insomma, per questo puoi ritenerti fortunato, perché altrimenti... E Madelon? cosa faceva nel combino? C’era dentro anche lei?
- Proprio per niente... Ma comunque un po’, per forza, perché la grotta, capisci, doveva passare in toto a tutti e due dopo che la vecchia se ne fosse andata... Era combinata in quella maniera lì... Dovevamo installarci tutti e due dentro...
- Perché allora dopo quello non hanno più funzionato i vostri amori?
- Questo, sai, è complicato da spiegare...
- Non voleva più saperne di te?
- Ma sì, al contrario, voleva proprio e anzi era caricatissima sulla questione del matrimonio... Sua madre anche voleva e ancora più di prima, e che facessimo a tambur battente per via delle mummie della vecchia Henrouille che ci toccavano e che avevamo proprio di che vivere tutti e tre ormai tranquilli...
- Cos’è capitato tra voi allora?
- Eh be’, volevo, io, che loro non mi rompessero le scatole! Tutto lì... La madre e la figlia...
- Senti Léon!... lo fermai io di brutto a sentire quelle parole. Stammi a sentire... è proprio niente serio il tuo pastrocchio... Mettiti al posto loro di Madelon e di sua madre... Saresti stato contento te al posto loro? Ma come? Arrivando lì era tanto se avevi le scarpe, nessuna posizione, niente, non la smettevi di baccagliare tutta la giornata, che la vecchia si teneva tutta la tua grana e tiritì e taratà... Lei taglia la corda, le fai tagliare la corda diciamo meglio... E tu ricominci lo stesso con le tue smorfie e i tuoi atteggiamenti... Mettiti al posto di ‘ste due donne, mettitici un po’!... è una cosa insopportabile!... Te lo meritavi cento volte, che ti spedissero al gabbio! Voglio proprio dirtelo!”
Ecco come gli parlavo io a Robinson.
“Possibile, mi ha risposto allora lui, per le rime, ma tu hai un bell’essere medico e istruito e tutto, capisci niente del mio carattere...
- Statti zitto va’ Léon! ho finito per dirgli e per concludere. Sta’ zitto, disgraziato, col tuo carattere! Ti esprimi come un malato!... Mi rincresce proprio che Baryton adesso se ne sia andato a casa del diavolo, altrimenti t’avrebbe preso in cura lui! è quel che si potrebbe fare di meglio per te d’altronde! Sarebbe rinchiuderti prima cosa! Mi capisci! Rinchiuderti! Se ne sarebbe occupato lui Baryton del tuo carattere!
- Se te avessi avuto quel che ho avuto io, e passato dove son passato io, s’è rivoltato a sentirmi, ti saresti ammalato anche te di sicuro! Ti garantisco io! E forse anche peggio di me! Pappamolla come ti conosco!...” E a quel punto si mette a farmi dei gran cazziatoni come se ci avesse avuto dei diritti.
Io me lo guardavo bene mentre m’insultava. Avevo l’abitudine a essere maltrattato a quel modo dai malati. La cosa non mi imbarazzava più.
Era molto dimagrito da Tolosa e poi qualcosa che non gli conoscevo ancora gli era come salito sulla faccia, si sarebbe detto come un ritratto, sopra i suoi stessi lineamenti, con già dell’oblio, del silenzio tutt’intorno.
Nelle storie di Tolosa, c’era ancora un’altra cosa, non tanto grave evidentemente, che lui non potesse digerirla, ma ripensandoci gli faceva lo stesso tornar su la bile. Era d’esser stato obbligato a unger le ruote a un sacco di trafficanti per niente. Non aveva digerito d’esser stato costretto a distribuire mazzette a destra e a manca, al momento in cui aveva rilevato la grotta, al prete, alla donna che affittava le seggiole, al municipio, ai vicari e molti altri ancora, e tutto questo senza risultato insomma. Gli girava l’anima quando ne riparlava. Un furto li chiamava lui quei sistemi lì.
“E allora, vi siete sposati alla fin fine? gli chiesi io, per concludere.
- Ma no ti dico! Non volevo più!
- Era comunque niente male la piccola Madelon! Non puoi dire il contrario!
- Non è quella la questione...
- Ma certo che sì che è la questione. Dal momento che eravate liberi come mi stai a dire... Se ci tenevate assolutamente a lasciare Tolosa, potevate pure lasciare la grotta in gestione alla madre per qualche po’... Sareste tornati più tardi...
- Per quel che riguarda il fisico, riprese lui, puoi dirlo, era proprio carina, lo ammetto, me l’avevi dipinta bene insomma, soprattutto immagina che manco a farlo apposta quando sono tornato a rivedere la prima volta, è per così dire lei che ho rivista per prima, in uno specchio... Ti immagini?... Alla luce!... Saranno stati circa due mesi che la vecchia era caduta... La vista m’è tornata come di colpo su di lei Madelon, mentre cercavo di guardarle il volto... Un colpo di luce insomma... Mi capisci?
- Non era forse piacevole?
- Certo che era piacevole... Ma non c’è solo questo...
- Te la sei squagliata lo stesso...
- Sì, ma adesso ti spiego visto che vuoi capire, è lei per prima che s’è messa a trovarmi strano... Che non avevo più slancio... Che non ero più simpatico... E ciccì e coccò...
- Ci hai forse dei rimorsi che ti tormentano?
- Rimorsi?
- So mica io...
- Chiamali come vuoi, ma non ero in vena... Ecco tutto... Ci credo comunque per niente che erano rimorsi...
- Eri malato allora?
- Dev’essere piuttosto questo, malato... Ecco lì del resto che è un’ora almeno che cerco di farti dire che sono malato... Ammetterai che ce ne metti del tempo...
- Ben! D’accordo! rispondo io. Diremo che sei malato, visto che credi che è la cosa più prudente...
- Farai bene, ha ancora insistito lui, perché garantisco niente per quel che la riguarda... Quella è proprio capace di fare una soffiata prima che non passi molto...”
Era come una specie di consiglio che aveva l’aria di darmi, e io non ne volevo sapere dei suoi consigli. Mi piaceva per niente quel genere lì per via delle complicazioni che stavano per ricominciare.
“Ti credi te, che lei farebbe una soffiata? domandai ancora io per tranquillizzarmi... Lei però era anche un po’ tua complice... ‘Sta cosa non dovrebbe farla riflettere un momento prima di mettersi a cantare?
- Riflettere?... salta su allora come mi sente. Si vede bene che non la conosci...” Sghignazzava a sentirmi dire ‘ste cose. “Ma lei non esiterebbe un secondo!... Te lo dico io! Se tu l’avessi frequentata come me, non avresti dubbi! è innamorata ti ripeto!... Non ne hai mai frequentato te di gente innamorata? Quando lei è innamorata, è pazza, semplicissimo! Pazza! Ed è di me che è innamorata e che è pazza!... Ti rendi conto te? Capisci te? Allora tutto quello che è folle la eccita! è semplicissimo! Quello non la ferma! Al contrario!...”
Non potevo dirgli che mi stupiva lo stesso un po’, che lei fosse arrivata nel giro di qualche mese a quel grado di frenesia Madelon, perché comunque, l’avevo conosciuta un po’ anch’io, Madelon... Avevo le mie idee sull’argomento, ma non potevo dirle.
Dal modo come se la sbrogliava a Tolosa e come l’avevo sentita quand’ero dietro il pioppo il giorno della chiatta, mi era difficile immaginare che aveva potuto cambiare atteggiamento fino a ‘sto punto in così poco tempo... Lei m’era sembrata una più maneggiona che tragica, tranquillamente spregiudicata e tutta contenta d’accasarsi con le sue piccole storie e le sue piccole montature ogni volta che poteva funzionare. Ma al momento, al punto in cui stavamo, non avevo più niente da dire. Avevo solo da lasciar andare. “Basta! Bene! D’accordo! conclusi io. E sua madre allora? Ha dovuto fare un po’ di casino anche la madre, quando ha capito che tu te la battevi sul serio?...
- Figùrati! Anzi ripeteva tutto il giorno che avevo un porco carattere e guarda, questo proprio nel momento in cui al contrario avrei avuto bisogno che mi parlasse gentilmente!... Che musica!... Insomma, non poteva più durare nemmeno con la madre, così che ho proposto a Madelon di lasciarle la grotta a loro due, mentre io da parte mia, andavo a fare un giro, a viaggiare da solo, a vedere un po’ di mondo...
“Ci andrai con me, ha protestato allora lei... Sono la tua fidanzata no?... Ci andrai con me, Léon, o non ci andrai del tutto!... E poi per cominciare, insisteva lei, sei mica guarito del tutto...”
“Sì che son guarito e che ci andrò da solo!” rispondevo io... Non se ne usciva.
“Una moglie accompagna sempre il marito! faceva la madre. Non avete che da sposarvi!” Lei l’appoggiava solo per provocarmi.
“Sentendo quelle menate lì, io, ci stavo male. Te mi conosci! Come se avessi avuto bisogno d’una moglie per andare in guerra io! E per uscirne! E in Africa ce le avevo lì le mogli? E in America, ci avevo una moglie io?... Comunque sentirle discutere a quel modo lì sopra per ore intere mi faceva venire il mal di pancia! La colica! So bene a cosa servono le mogli a ogni modo! Te anche eh? A niente! Sono uno che ha viaggiato io! Una sera alla fine che m’avevano esasperato con i loro inghippi, ho finito per spararglielo di brutto alla madre tutto quello che pensavo di lei! “Lei è solo una vecchia scema, le ho detto... Lei è ancora più stronza della vecchia Henrouille!... Se avesse conosciuto un po’ più di gente e di paesi come ne ho conosciuto io non andrebbe in giro così in fretta a dare consigli a tutti e mica è stando sempre a ramazzare le gocce di cera in un angolo di quella sua chiesa zozza che capirà mai che cos’è la vita! Se ne esca un po’ che così le farà del bene, a lei! Vada a passeggiare un po’ vecchio impiastro! Che le darà una rinfrescata! Avrà meno tempo di stare a far preghiere, puzzerà meno di carogna!...”
“Ecco come l’ho trattata, io, sua madre! Ti confesso che era un sacco di tempo che mi tormentava la voglia di mandarla a quel paese e che anche lei ne aveva un fottutissimo bisogno... Ma tirate le somme è piuttosto a me che quello ha fatto bene... Mi ha come liberato dalla situazione... Ma si sarebbe anche detto che la canaglia aspettava solo il momento che tiro fuori tutto per rifilarmi a sua volta tutti gli epiteti più luridi che sapeva! Ne ha sputati allora e anche più di quelli che bastavano. “Ladro! Fagnano! mi stava a insultare... Non hai nemmeno un mestiere!... Tra poco è un anno che ti stiamo a sfamare mia figlia e me!... Buonannulla!... Macrò!...” Te la vedi di qui? Un vero quadretto familiare... Lei ci ha come pensato per un bel po’ e poi lei l’ha detto più basso, ma sai allora lei l’ha detto e con tutto il cuore “Assassino!... Assassino!” mi ha chiamato lei. Questo m’ha gelato un po’.
“La figlia a sentire quello ha avuto come paura che l’accoppassi sul posto sua madre. S’è gettata fra noi due. Le ha chiuso la bocca alla madre con le sue stesse mani. Ha fatto bene. Dunque erano d’accordo le schifose! mi dicevo io. Era evidente. Insomma, ho lasciato stare... Non era più il momento delle violenze... E poi me ne sbattevo dopo tutto che fossero d’accordo... Ti potevi credere che dopo essersi sfogate per bene, adesso m’avrebbero lasciato tranquillo?... Pensa un po’! Ma no! Vorrebbe dire non conoscerle... La figlia c’è tornata sopra. Aveva il fuoco in cuore e anche al culo... Ha riattaccato della più bella...
“Ti amo Léon, vedi bene che ti amo, Léon...”
“Lei conosceva solo quel trucco lì, il suo “ti amo”. Come se fosse stato la risposta a tutto.
“Lo ami ancora? la rimenava sua madre a sentirla. Ma non vedi che è solo una canaglia? Uno meno di niente? Adesso che ha ritrovato la vista, grazie alle nostre cure, te ne farà passare delle disgrazie figlia mia! Ti garantisco io! Io tua madre!...”
“Tutti hanno pianto per completare la scena, anch’io perché non volevo metterla troppo male con le due schifose, rompere troppo malgrado tutto.
“Me ne sono dunque uscito, ma c’eravamo detti troppe cose perché potesse continuare ancora a lungo il nostro faccia a faccia. È andata avanti comunque per settimane a litigare su questo e quello, e poi a sorvegliarci per giorni e soprattutto per notti intere.
“Non riuscivamo a decidere di separarci ma il cuore non c’era più. Erano soprattutto delle paure quelle che ci tenevano insieme.
“Ami forse qualcun’altra?” mi domandava lei, Madelon, ogni tanto.
“Ma no andiamo! cercavo di rassicurarla io. Ma no!” Era evidente tuttavia che lei non mi credeva. Per lei, bisognava amare qualcuno nella vita e non c’era modo di uscirne.
“Dimmi, le rispondevo io, cosa potrei farmene d’un’altra donna?” Ma era la sua fissa l’amore. Non sapevo più cosa raccontarle per calmarla. Lei andava a cercare dei trighi come mai ne avevo sentiti prima. Avrei mai creduto che nascondesse cose del genere in testa.
“M’hai preso il cuore, Léon! m’accusava lei, e poi più seriamente. Vuoi partire! mi minacciava. Parti! Ma ti avverto che morirò dal dolore Léon!...” Dovevo essere io la causa della sua morte di dolore? Che senso ha tutto questo eh? Te lo chiedo! “Ma dài no che non muori! la rassicuravo io. T’ho preso niente tanto per cominciare! Non t’ho nemmeno fatto un bambino andiamo! Rifletti! T’ho nemmeno attaccato delle malattie! No? Allora? Voglio solo andarmene, ecco tutto! Come dire andarmene in vacanza. Una cosa semplicissima... Cerca d’essere ragionevole...” E più cercavo di farle capire il mio punto di vista e meno le piaceva a lei il mio punto di vista. Insomma non ci si capiva per niente. Lei diventava come furiosa all’idea che potevo davvero pensare quel che dicevo, che era solo qualcosa di vero, semplice e sincero.
“Lei credeva in più che fossi tu che mi spingevi a svignarmela... Vedendo allora che non riusciva a trattenermi facendomi vergognare dei miei sentimenti ha cercato di fermarmi in un’altra maniera.
“Ti crederai mica, Léon, m’ha detto allora lei, che tengo a te, per via degli affari della grotta!... I soldi lo sai mi fanno niente in fondo... Quel che vorrei, Léon, è restare con te... Essere felice... Ecco tutto... è molto naturale... Non voglio che mi lasci... è troppo lasciarci quando ci si è amati come ci amavamo tutti e due... Giurami almeno Léon che non te ne andrai per molto?...”
“E così via che è durata la sua crisi per varie settimane. Si può dire che era innamorata e rompiballe... Ci tornava ogni sera alla sua follia amorosa. In fin dei conti, ha comunque voluto che lasciassimo la grotta in gestione alla madre, a condizione che partissimo tutti e due a cercare insieme un lavoro a Parigi... Sempre insieme!... Pensa che bel numero! Lei era pronta ad accettare qualsiasi cosa, salvo che io me ne vada da solo da una parte e lei dall’altra... Per questo niente da fare... Allora più lei aveva l’aria di tenerci e più lei mi faceva stare male a me, per forza!
“Valeva mica la pena cercare di farla ragionare. Mi rendevo conto per forza che era proprio tempo perso, o un partito preso e questo piuttosto la rendeva più furiosa ancora. C’è stato dunque bisogno che io mi metto a inventare truschini per sbarazzarmi del suo amore come lei diceva... è lì che m’è venuta l’idea di farle paura raccontandole così che diventavo un po’ pazzo di quando in quando... Che mi prendevano delle crisi... Senza preavvertire... Lei mi ha guardato di traverso, con degli strani occhi... Non sapeva ancora bene se era un’altra bufala... Solo che comunque per via delle avventure che le avevo raccontato prima e poi della guerra che m’aveva colpito e dell’ultimo affare specialmente con la vecchia Henrouille e poi anche di com’ero diventato strano con lei all’improvviso, ‘sta roba le ha dato da riflettere a ogni modo...
“Per più di una settimana se ne è stata a riflettere lei, e mi ha lasciato bello tranquillo... Lei aveva dovuto dire due parole a sua madre sui miei accessi... Fatto sta che insistevano meno per tenermi... “Ci siamo mi dicevo io, è bell’e fatta! Eccomi libero...” Già mi vedevo che telavo tutto tranquillo, quatto quatto, verso Parigi, senza romper niente!... Ma aspetta! Ecco che voglio metterla troppo bene... Faccio il perfezionista... Credevo d’aver trovato il trigo giusto per provargli una volta per tutte che era proprio vero... Che ero proprio quanto di più mattoide, quando mi veniva... “Senti! le faccio una sera a Madelon. Senti dietro la mia testa, la bozza! La senti bene la cicatrice qui sopra, è grossa la bozza che ho eh?...”
“Quando lei l’ebbe tastata per bene la bozza dietro la testa, s’è emozionata da non dire... Ma al contrario questo l’ha eccitata ancora di più, le ha fatto schifo per niente!... “È lì che sono stato ferito nelle Fiandre. È lì che m’hanno trapanato...” stavo a insistere io.
“Ah! Léon! è saltata su lei quando ha sentito la bozza, ti chiedo perdono, mio Léon!... Ho dubitato di te fino adesso, ma ti domando perdono dal fondo del cuore! Mi rendo conto! Sono stata odiosa con te! Sì! sì! Léon sono stata spaventosa!... Mai più sarò cattiva con te! Te lo giuro! Voglio espiare Léon! Sùbito! Mi lascerai espiare, di’?... Ti renderò la felicità! Ti curerò per bene, va’! A partire da oggi! Per sempre sarò paziente con te! Sarò così dolce! Vedrai Léon! Ti capirò così bene che non potrai più fare a meno di me! Ti ridò tutto il mio cuore, ti appartengo!... Tutto! Tutta la mia vita Léon ti do! Ma dimmi che mi perdoni almeno, Léon?...”
“Avevo detto niente del genere io, niente. È lei che diceva tutto, allora, era proprio facile stare a rispondersi da soli... Cosa bisognava dunque inventare per farla smettere?
“Aver tastato la mia cicatrice e la bozza l’aveva si può dire inciuccata d’amore in un sol colpo! Lei la rivoleva prendere tra le sue mani la mia testa, mollarla più e rendermi felice fino all’Eternità, che lo voglia o no! Dopo quella scena lì sua madre non ha più avuto diritto di parola per insultarmi. Non la lasciava più aprir bocca, Madelon, sua madre. L’avresti mica riconosciuta, lei voleva proteggermi fino in fondo!
“Bisognava farla finita! Avrei certo preferito che ci lasciassimo da buoni amici... Ma valeva neanche la pena tentare... Non stava più nella pelle dall’amore ed era testona. Una mattina, mentre erano andate per commissioni la madre e lei, ho fatto come avevi fatto te, un fagottino e me la sono svignata alla chetichella... Puoi mica dire dopo questo che non ho avuto abbastanza pazienza?... Soltanto ti ripeto si poteva più farci niente... Adesso, sai tutto... Quando ti dico che è capace di tutto la piccola e che può benissimo venire a darmi la caccia qui stesso da un momento all’altro non devi stare a rispondermi che ho le visioni! So quel che dico! La conosco io! E staremmo più tranquilli penso io se mi trovasse già come rinchiuso con i matti... Così sarei molto più a mio agio a fare la parte di quello che non capisce più niente... Con lei, è questo che ci vuole... Capire niente...”
Due o tre mesi prima tutto quello che m’aveva appena raccontato, m’avrebbe ancora interessato, ma ero come invecchiato tutto d’un colpo.
In fondo, ero diventato sempre di più come Baryton, me ne sbattevo. Tutto quello che mi raccontava Robinson della sua avventura a Tolosa non era più per me un pericolo vivente, avevo un bell’eccitarmi sul suo caso, puzzava di chiuso il suo caso. Si ha un bel dire e pretendere, il mondo ci lascia molto prima che ce ne andiamo per davvero.
Le cose alle quali tenevi di più, ti decidi un bel giorno a parlarne sempre meno, devi fare uno sforzo quando ti ci metti. Ne hai le scatole piene di ascoltarti sempre cianciare... Tagli via... Rinunci... è da trent’anni che stai a cianciare... Non ci tieni più ad avere ragione. Ti molla la voglia di tenerti anche il posticino che t’eri riservato tra i piaceri... Ti viene lo schifo... Basta ormai mangiare un po’, scaldarsi un po’ e dormire più che si può sulla via del nulla assoluto. Bisognerebbe per ritrovare degli interessi inventarsi delle nuove smorfie da eseguire davanti agli altri... Ma non si ha più la forza di cambiare il repertorio. Farfugli. Cerchi ancora dei trucchi e delle scuse per restare là con loro, gli amici, ma la morte è lì anche lei, fetente, al tuo fianco, tutto il tempo adesso e meno misteriosa d’un mazzo di carte. Ti restano preziose solo le pene minute, quella di non aver trovato il tempo fin che era vivo d’andare a trovare il vecchio zio a Bois-Colombes, con la sua canzoncina che s’è spenta per sempre una sera di febbraio. È tutto quello che hai conservato della vita. Questo piccolo rimpianto atroce, il resto l’hai più o meno vomitato lungo la strada, con molti sforzi e pena. Non sei altro che un vecchio lampione di ricordi all’angolo di una strada dove non passa già quasi più nessuno.
Quanto ad annoiarsi, la cosa meno faticosa, è ancora farlo con delle abitudini regolari. Ci tenevo a che tutti fossero a letto per le dieci, all’Istituto. Sono io che spegnevo la luce. Le cose funzionavano da sole.
D’altronde non è che dovemmo fare dei grandi sforzi d immaginazione. Il sistema Baryton dei “Cretini al cinema” ci occupava a sufficienza. Di economie, la casa non ne faceva più molte. Lo spreco, ci dicevamo, forse l’avrebbe fatto ritornare il padrone perché quello gli dava l’angoscia.
Avevamo comperato una fisarmonica perché Robinson potesse far ballare i malati in giardino durante l’estate. Era difficile tenerli occupati a Vigny i malati, giorno e notte. Non si poteva mandarli tutto il tempo in chiesa, ci si annoiavano troppo.
Da Tolosa, non ricevemmo più alcuna notizia, don Protiste non tornò più nemmeno lui a trovarmi L’esistenza all’Istituto s’organizzò monotona, furtiva. Moralmente non eravamo a nostro agio. Troppi fantasmi in giro.
Passarono altri mesi. Robinson riprendeva la sua cera. A Pasqua, i nostri matti s’agitarono un po’, delle donne in abiti chiari passarono e ripassarono davanti ai nostri giardini. Primavera precoce. Bromuro.
Al Tarapout il personale dai tempi delle mie comparsate era stato cambiato un sacco di volte. Le inglesine filate lontanissimo, m’informarono, in Australia. Non le avremmo riviste mai più...
Le quinte dopo la mia storia con Tania mi erano proibite. Non stetti a insistere.
Ci mettemmo a scrivere lettere un po’ dappertutto e soprattutto ai consolati dei paesi del nord, per avere qualche indizio sugli eventuali passaggi di Baryton. Non ricevemmo da quelli alcuna risposta interessante.
Parapine svolgeva compostamente e silenziosamente il suo servizio tecnico al mio fianco. Da ventiquattro mesi, non aveva forse pronunciato più di venti frasi in tutto. Ero costretto a decidere quasi da solo le piccole faccende materiali e amministrative che la situazione quotidiana comportava. Mi capitava di commettere qualche gaffe, Parapine non me le rimproverava mai. Andavamo d’accordo insieme a colpi d’indifferenza. D’altronde un sufficiente avvicendarsi di malati garantiva l’aspetto materiale del nostro istituto. Pagati i fornitori e l’affitto, ci restava ancora largamente di che vivere, la pensione di Aimée alla zia pagata regolarmente, beninteso.
Trovavo Robinson molto meno inquieto adesso che al momento del suo arrivo. Aveva ripreso colore e tre chili. Insomma, così sembrava, fin che c’era qualche mattocchio nelle famiglie, saremmo stati contenti di trovarci belli comodi come eravamo nelle vicinanze della capitale. Il nostro giardino da solo valeva il viaggio. Venivano apposta da Parigi per vedere le nostre aiuole e i boschetti di rose nella bella stagione.
È durante una di quelle domeniche di giugno che mi è sembrato di riconoscere Madelon, per la prima volta, in mezzo a un gruppo di gente a passeggio, immobile per un istante, proprio davanti al nostro cancello.
Dapprima non ho voluto comunicare niente di quella apparizione a Robinson, per non spaventarlo, e poi comunque, dopo aver ben riflettuto, qualche giorno più tardi, gli raccomandai di non allontanarsi più, almeno per un po’, per quelle vaghe passeggiate nei dintorni, che erano diventate una sua abitudine. Il consiglio lo inquietò. Non insistette tuttavia per saperne di più.
Verso fine luglio, ricevemmo da Baryton qualche cartolina, dalla Finlandia questa volta. Quello ci fece piacere, ma non parlava per nulla del suo ritorno Baryton, ci augurava soltanto una volta di più “buona fortuna” e mille cose amichevoli.
Due mesi passarono e altri ancora... La polvere dell’estate ricadde sulla strada. Uno dei nostri alienati, verso Ognissanti, fece un piccolo scandalo davanti all’Istituto. Questo malato, prima del tutto pacifico e a posto, visse male l’esaltazione mortuaria d’Ognissanti. Non riuscimmo a impedirgli di mettersi a urlare dalla sua finestra che lui non voleva più morire... Quelli del passeggio non la finivano di trovarlo proprio ridicolo... Nel momento in cui capitava questa sarabanda ebbi di nuovo, ma questa volta con molta maggior precisione della prima, l’impressione molto sgradevole di riconoscere Madelon nella prima fila d’un gruppo, proprio nello stesso posto, davanti al cancello.
Nel corso della notte che seguì, mi svegliai per l’angoscia, cercai di dimenticare quel che avevo visto, ma tutti i miei sforzi per dimenticare restarono vani. Tanto valeva non cercare più di dormire.
Da molto tempo, non ero ritornato a Rancy. Se si trattava di essere perseguitato da un incubo, mi chiedevo se non era meglio andare a fare un giro da quelle parti, da cui venivano tutte le mie disgrazie, prima o poi... Ne avevo lasciati laggiù dietro di me di incubi... Cercare d’andargli incontro, poteva a rigore passare per una specie di precauzione... Per Rancy, la strada più corta, venendo da Vigny, è prendere per il lungofiume fino al ponte di Gennevilliers, quello che è tutto in piano, teso sulla Senna. Le nebbie lente del fiume si sfrangiano a pelo d’acqua, s’incalzano, passano, si slanciano, ondeggiano e vanno a ricadere dall’altra parte del parapetto intorno ai lucignoli acidi. La grossa fabbrica di trattori che sta a sinistra si nasconde dietro un gran brandello di notte. Ha le finestre aperte per l’incendio angoscioso che la brucia dentro e non finisce mai. Passata la fabbrica, si è soli sulle banchine... Ma non c’è da perdersi... è per la fatica che uno si rende conto all’incirca d’essere arrivato.
Allora basta prendere ancora a sinistra per la rue des Bournaires e non è più molto lontano. Non è difficile orientarsi per via del fanale verde e rosso del passaggio a livello che è sempre acceso.
Anche in piena notte ci sarei arrivato, io, a occhi chiusi fino al villino degli Henrouille. C’ero stato tante di quelle volte, in altri tempi...
Tuttavia, quella sera là quando arrivai fin davanti la loro porta, mi son messo a riflettere invece d’andare avanti...
Lei era sola adesso la donna ad abitare il villino, mi pensavo io... Erano tutti morti, tutti... Lei aveva dovuto sapere, o almeno s’era fatta venire qualche dubbio sul modo in cui era finita la vecchia a Tolosa... Che effetto aveva potuto farle?
Il lampione del marciapiede imbiancava la piccola pensilina a vetri come con della neve sopra la scalinata. Son rimasto là, all’angolo della strada, solo a guardare, a lungo. Avrei ben potuto andare a suonare. Certo che lei m’avrebbe aperto. Dopo tutto, non avevamo fatto baruffa insieme. Faceva freddo là dove m’ero fermato...
La strada finiva ancora in un pantano, come ai miei tempi. Avevano promesso dei lavori, non li avevano cominciati... Non ci passava più nessuno.
Non è che avessi avuto paura di lei, della moglie Henrouille. No. Ma all’improvviso, là, non avevo più voglia di rivederla... M’ero sbagliato cercando di rivederla. Là, davanti a casa sua, scoprivo improvvisamente che lei non aveva più niente da insegnarmi... Sarebbe stato perfino seccante che lei mi parlasse adesso, ecco tutto. Ecco quel che eravamo diventati l’uno per l’altra.
Ero arrivato più lontano di lei nella notte adesso, persino più lontano della vecchia Henrouille che era morta... Non eravamo più tutti insieme... C’eravamo lasciati sul serio... Non solo con la morte, ma con la vita stessa... Quello era capitato per la forza delle cose... Ciascuno per sé! stavo a dirmi io... E sono ripartito per le mie parti, verso Vigny.
Non era abbastanza istruita per seguirmi adesso la moglie Henrouille... Carattere sì, ne aveva... Ma istruzione no! Qui stava il punto! Nessuna istruzione! è fondamentale l’istruzione! Allora lei non poteva più capirmi, né capire quel che capitava intorno a noi, per quanto carogna e ostinata potesse essere... Quello non basta mica... Ci vuole anche del cuore e della cognizione per andare più lontano degli altri... Attraverso la rue de Sanzillons ho preso per ritornarmene verso la Senna e poi per l’impasse Vassou. Sistemati i miei fastidi! Contento quasi! Fiero perché mi rendevo conto che non valeva più la pena insistere con la nuora Henrouille, avevo finito per perderla per strada la carogna!... Che elemento! Avevamo simpatizzato a modo nostro... C’eravamo capiti in altri tempi con la moglie Henrouille.. Per un bel po’... Ma adesso, lei non era più abbastanza in giù per me, non poteva più scendere... Raggiungermi... Non aveva l’istruzione e la forza. Non si sale mica nella vita, si scende. Lei non poteva più. Lei non poteva più scendere fin dove ero io... C’era troppa notte per lei intorno a me.
Passando davanti alla casa dove la zia di Bébert era portinaia, sarei anche entrato, solo per vedere quelli che adesso occupavano la sua guardiola, lì dove avevo curato Bébert e dove lui se ne era andato. Forse c’era ancora la sua foto in divisa da scolaro sopra il letto... Ma era troppo tardi per svegliare tutti. Son passato senza farmi riconoscere...
Un po’ più in là, al faubourg de la Liberté, ho trovato la bottega di Bézin il rigattiere ancora illuminata... Non me l’aspettavo... Ma con un beccuccio solo in mezzo alla vetrina. Bézin, lui, conosceva tutti gli affari e le novità del quartiere a forza di stare nelle osterie e lo conoscevano benissimo dal mercato delle pulci a Porte Maillot.
Me ne avrebbe potute raccontare di storie fosse stato sveglio. Ho spinto la porta. Il campanello ha suonato, ma nessuno ha risposto. Sapevo che dormiva in fondo alla bottega, nella sala da pranzo per la precisione... Era là che stava anche lui, nel buio, con la testa sulla tavola, tra le braccia, seduto di traverso accanto a una cena fredda che l’attendeva, delle lenticchie. Aveva cominciato a mangiare. Il sonno l’aveva preso sùbito appena rientrato. Russava forte. Aveva anche bevuto, è vero. Mi ricordo bene il giorno, un giovedì, il giorno del mercato ai Lilas. Di occasioni aveva piena la tela da trasporto ancora stesa per terra ai suoi piedi.
L’avevo sempre trovato un bravo ragazzo, Bézin, non più spregevole di un altro. Niente da dire. Molto disponibile, niente difficile. Non è che adesso mi mettevo a svegliarlo solo per curiosità, per le mie domandine... Me ne sono dunque ripartito dopo avere spento il gas.
Faceva fatica a difendersi, certo, in quella sua specie di commercio. Ma lui almeno, non faceva fatica ad addormentarsi.
A ogni modo me ne tornai tristemente dalle parti di Vigny, pensando che tutta quella gente, quelle case, quelle cose sporche e tristi non mi parlavano assolutamente più, dritto al cuore come una volta, e che per quanto mariolo io potessi sembrare, non avevo forse nemmeno più abbastanza energie, lo sentivo bene, per andare ancora lontano, io, così, tutto solo.