Scherzi a parte, devo proprio ammettere che non ho mai avuto la testa sul collo. Ma per un nonnulla adesso, mi prendevano delle vertigini, da finire sotto le vetture. Non sapevo dove sbattere nella guerra. Quanto ai soldi per le piccole spese, non potevo contare durante il soggiorno all’ospedale che sui pochi franchi passati da mia madre ogni settimana a gran fatica. Così, mi sono messo appena possibile alla ricerca di piccoli straordinari, qua e là, dove potevo farci assegnamento. Uno dei miei vecchi padroni, per cominciare, mi sembrò adatto a ‘sto riguardo e ricevette sùbito una visita.
Mi sono ricordato molto opportunamente d’aver sgobbato in tempi oscuri da questo Roger Puta, il gioielliere della Madeleine, come commesso aggiunto, un po’ prima della dichiarazione di guerra. Il mio lavoro presso questo lurido gioielliere consisteva negli “extra”, pulire l’argenteria del negozio, tanta e varia, e durante le feste da regali, a causa dei continui pacioccamenti, di manutenzione difficile.
Appena chiudeva la Facoltà, dove continuavo studi rigorosi e interminabili (a causa degli esami che bucavo), raggiungevo al galoppo il retrobottega del signor Puta e m’affannavo per due o tre ore sulle cioccolatiere, col “bianco di Spagna” fino all’ora di cena.
A compenso del lavoro ero sfamato, anche in abbondanza, in cucina. Lo sgobbo consisteva ancora, d’altra parte prima dell’ora delle lezioni, nel far passeggiare e pisciare i cani da guardia del negozio. Il tutto per quaranta franchi al mese. La gioielleria Puta brillava di mille diamanti all’angolo di rue Vignon, e ciascuno di quei diamanti costava come varie decadi del mio stipendio. D’altronde son sempre lì che scintillano quei gioielli. Piazzato nei servizi ausiliari con la mobilitazione, ‘sto padron Puta si mise a servire in particolar modo un Ministro, di cui guidava ogni tanto l’automobile. Ma comunque, e questa volta in modo ufficiale si rendeva utilissimo il Puta rifornendo di gioielli il Ministero. Gli alti quadri speculavano con gran fortuna sugli affari conclusi e da concludere. Più si andava avanti con la guerra e più c’era bisogno di gioielli. Puta aveva qualche volta perfino delle difficoltà a far fronte agli ordini, tanti ne riceveva.
Quand’era stremato, Puta arrivava a prendere un’arietta intelligente, per la stanchezza che lo tormentava e solo in quei momenti lì. Ma quand’era riposato, il suo volto, malgrado la finezza innegabile dei tratti, formava un’armonia di placidità ottusa di cui è difficile non conservare per sempre un ricordo disperante.
Sua moglie Madame Puta faceva una cosa sola con la cassa della casa, che lei non lasciava mai, per così dire. L’avevano educata per diventare la moglie di un gioielliere. Ambizione parentale. Lei conosceva il dover suo, tutto. Il ménage era felice fin che la cassa prosperava. Mica che fosse brutta, Madame Puta, no, avrebbe potuto perfino essere carina, come tante altre, solo che lei era così prudente, così diffidente, che si arrestava ai bordi della bellezza, come ai bordi della vita, con i suoi capelli un po’ troppo curati, il sorriso troppo facile e improvviso, i gesti un po’ troppo rapidi o un po’ troppo furtivi. Ci si accaniva a discutere quel che c’era di troppo calcolato in quell’essere e i motivi dell’imbarazzo che uno provava a dispetto di tutto, quando s’avvicinava. ‘Sta repulsione istintiva che ispirano i commercianti a quelli che li avvicinano e che capiscono, è una delle rarissime consolazioni che quelli che non vendono niente a nessuno provano a essere poveri come sono.
Le preoccupazioni meschine del commercio la possedevano dunque per intero Madame Puta, proprio come Madame Herote, ma in un altro campo e al modo in cui Dio possiede le sue religiose, anima e corpo.
Di quando in quando, tuttavia, lei provava, la nostra padrona, come una piccola preoccupazione di circostanza. Così le capitava di lasciarsi andare a pensare ai genitori di quelli in guerra. “Che disgrazia ‘sta guerra a ogni modo per chi ha dei figli grandi!
- Rifletti prima di parlare! la riprendeva sùbito il marito, che ‘ste smancerie lo trovavano, lui, pronto e risoluto. Non bisogna forse difendere la Francia?”
Tanto buoni di cuore, ma buoni patrioti prima di tutto, stoici insomma, s’addormentavano ogni sera della guerra sopra i milioni del negozio, fortuna francese.
Nei bordelli che frequentava ogni tanto, Puta si mostrava esigente e deciso a non essere scambiato per un prodigo. “Sono mica un inglese, io, carina, avvertiva lui all’inizio. Conosco il lavoro! Sono un soldatino francese che non va di fretta!” Questa era la dichiarazione preliminare. Le donne lo stimavano molto per questa saggia maniera di prendersi il piacere. Gaudente ma mica gonzo, un uomo. Approfittava delle sue conoscenze mondane per realizzare qualche affare di gioielli con la vice-maîtresse, che non credeva, lei, agli investimenti in Borsa. Puta faceva progressi sorprendenti dal punto di vista militare, dalle riforme temporanee ai rinvii definitivi. Presto fu del tutto libero dopo chissà quante opportune visite mediche. Annoverava tra le più alte gioie della sua esistenza la contemplazione e se possibile la palpazione di un bel polpaccio. Era almeno un piacere con cui battere la moglie, unicamente votata al commercio, lei. Se si danno qualità eguali, si trova sempre, a quanto pare, un po’ più di inquietudine nell’uomo che nella donna, per quanto limitato e fuori esercizio possa essere. Era insomma un embrione d’artista ‘sto Puta. Molti uomini, in fatto d’arte, si limitano sempre come lui alla mania dei bei polpacci. Madame Puta era felice di non avere figli. Manifestava tanto spesso la soddisfazione d essere sterile che il marito a sua volta finì per trasmettere la loro contentezza alla vice-maîtresse. “Bisogna comunque che i figli di qualcuno ci vadano, rispondeva lei a sua volta, perché è un dovere!” è vero che la guerra comportava degli obblighi.
Il Ministro che Puta serviva con l’automobile non aveva figli nemmeno lui, i ministri non hanno mai figli.
Un altro commesso avventizio lavorava insieme a me alle piccole faccende del negozio verso il 1913: era Jean Voireuse, un po’ comparsa la sera nei piccoli teatri e il pomeriggio galoppino da Puta. Si contentava anche lui di ricompense proprio minime. Ma se la cavava col metrò. Andava quasi tanto in fretta a piedi che col metrò, quando faceva le sue corse. Allora si metteva in tasca il costo del biglietto. Tutto supplemento rancio. Gli puzzavano un po’ i piedi, è vero, e anche parecchio, ma lui lo sapeva e mi chiedeva di avvertirlo quando non c’erano clienti in negozio così lui poteva entrar dentro senza danno e far surrettiziamente i suoi conti con Madame Puta. Una volta incassati i soldi, lo rispedivano immediatamente a raggiungermi nel retrobottega. I piedi gli servirono ancora molto durante la guerra. Passava per il portaordini più rapido del reggimento. In convalescenza venne a trovarmi al forte di Bicêtre, ed è proprio in occasione di quella visita che abbiamo deciso di andare insieme a bussare al nostro vecchio padrone. Detto fatto. Al momento che siamo arrivati al boulevard della Madeleine, finivano la vetrina.
“To’! Ah! Eccovi lì voialtri! si stupì un po’ di vederci Puta. Mi fa piacere comunque! Entrate! Lei, Voireuse, la trovo in forma! Sta bene! Ma lei, Bardamu, ha l’aria malata, ragazzo mio! Insomma! Lei è giovane! Si riprenderà! Ne avete di fortuna, malgrado tutto, voialtri! Si può dire quel che si vuole, voi vivete delle ore magnifiche, eh? lassù? E all’aria! è Storia questa amici miei, o io non ci capisco più niente! E che Storia!”
Rispondevamo niente a Puta, lo lasciavamo dire quel che voleva prima di batter cassa... Allora continuava:
“Ah! è dura, d’accordo, le trincee!... è vero! Ma è parecchio dura anche qui, sapete!... Voi siete stati feriti, eh voialtri? A me, mi hanno stroncato! Ne ho fatto di servizio notturno in città da due anni! Vi rendete conto? Pensate un po’! Assolutamente stroncato! Distrutto! Ah! le strade di Parigi la notte! Senza luce, cari amici... Portarci un’auto e spesso col Ministro dentro! E in fretta per di più! Potete mica immaginarvi! Da ammazzarsi dieci volte per notte!...
- Sì, ha precisato Madame Puta, e qualche volta ha portato anche la moglie del Ministro...
- Ah sì! e non è finita...
- È tremendo! gli abbiam fatto noi di rimando.
- E i cani? chiese Voireuse per essere educato. Che ne è stato? Vanno ancora a passeggiare alle Tuileries?
- Li ho fatti abbattere! Mi facevano danno! Non andava bene per il negozio!... Dei pastori tedeschi!
- Che peccato! si dispiacque la moglie. Ma i nuovi cani che abbiamo adesso sono molto carini, sono degli scozzesi... Puzzano un po’... Mentre i nostri pastori tedeschi, lei se li ricorda Voireuse? Non puzzavano mai per così dire. Si potevano tenere chiusi in negozio, anche dopo la pioggia...
- Ah sì! aggiunse Puta. Non come ‘sto caro Voireuse, con i suoi piedi! Puzzano sempre, i suoi piedi, Jean? Caro Voireuse, va’!
- Credo ancora un po’, ecco che gli ha risposto Voireuse.
In quel momento entrarono dei clienti.
“Non vi trattengo più, amici miei, ci fece Puta, preoccupato di far sparire al più presto Jean dal negozio. E soprattutto state in salute! Non vi chiedo da dove venite! Eh no! Difesa Nazionale anzitutto, ecco la mia opinione!”
Alla parola “Difesa Nazionale” è diventato tutto serio Puta, come quando dava il resto. Così ci hanno congedato. Madame Puta ci ha passato venti franchi ciascuno, uscendo. Il negozio strofinato e lucido come uno yacht, non osavamo più attraversarlo con le nostre scarpe che sui tappeti pregiati sembravano mostruose.
“Ah! guardali un po’, Roger, tutti e due! Come sono buffi!... Non hanno più l’abitudine! Si direbbe che hanno pestato qualche cosa! strillava Madame Puta.
- Se la faranno di nuovo!” fece Puta, cordiale e bonario, e tutto contento d’essersi sbarazzato tanto rapidamente con così poca spesa.
Una volta per strada, ci siamo detti che non saremmo andati molto lontano con i nostri venti franchi ciascuno ma Voireuse lui, aveva un’idea supplementare.
“Vieni, mi fa lui, dalla madre d’un amico che è morto quando eravamo sulla Meuse, ci vado ogni settimana, dai genitori, a raccontargli come che è morto il loro fiolino... è gente ricca... Lei mi dà sui cento franchi alla volta, la madre... Gli fa piacere, come che dicono... Allora capisci...
- Cos’è che ci vado a fare io, da loro? Cosa gli dico io alla madre?
- Eh ben gli dirai che tu l’hai visto, anche te... Lei ti darà cento franchi anche a te... Son veri ricchi quelli! Te lo dico io! E sono mica come quello zulù di Puta!... Ci guardano mica loro...
- Voglio sì, ma lei non è che si mette a chiedermi dei particolari, sei sicuro?... Perché mica l’ho conosciuto io, suo figlio eh... vado in barca io se lei mi fa domande...
- No, no, non importa, dirai tutto uguale a me... Tu farai: Sì, sì... Non preoccuparti! Lei è triste, capisci, ‘sta donna, e allora se le parliamo del figlio, lei è contenta... Solo questo che lei vuole... Non importa cosa... Non c’è da menarla...”
Non riuscivo a decidermi, anche se avevo una gran voglia dei cento franchi che mi parevano straordinariamente facili da ottenere e come provvidenziali.
“Bon, mi son deciso alla fine... Ma allora bisogna che io inventi niente, eh ti avverto! Mi prometti? Dirò come te, e basta... Com’è che è morto tanto per cominciare il ragazzo?
- S’è preso una granata in piena zucca, vecchio mio, e mica di quelle piccole, a Garance si chiamava... nella Meuse in riva a un fiume... Non ne hanno ritrovato un cicinino del ragazzo, vecchio mio! Era più che un ricordo, insomma... Eppure, sai, era grosso, e ben piantato, il ragazzo, e forte, e sportivo, ma contro una granata eh? Resisti no!
- Vero!
- Spazzolato, t’ho detto che è stato... La madre, ancora stenta a crederci oggi che è oggi! Ci ho un bel dirlo e ridirlo... Lei è convinta che sia solo scomparso... è da idioti un’idea così... Sparito!... Mica è colpa sua, lei ne ha mai viste, lei, di granate, lei può mica capire che uno salta per aria a ‘sto modo, come un peto, e sia finita, soprattutto quand’è suo figlio...
- Evidente!
- Prima cosa, non ci sono più andato da quindici giorni, da loro... Ma vedrai quando ci arrivo, lei mi riceve sùbito la madre, nel salotto, e poi sai, è bello da loro, si direbbe un teatro, tanto ce n’è di tende, tappeti, specchi dappertutto... Cento franchi, capisci, gli dà nessun fastidio... Sono come cento soldi per noi, si può dire all’incirca... Oggi lei è perfino pronta per duecento franchi... Da quindici giorni che non mi ha visto... Vedrai i domestici coi bottoni d’oro, caro te...”
All’avenue Henri-Martin, si girava a sinistra e andavi avanti ancora un po’, alla fine arrivavi davanti a un cancello in mezzo agli alberi di un piccolo viale privato.
- Guarda lì! ti ha osservato Voireuse quando fummo proprio davanti, è come una specie di castello... Te l’avevo detto io... Il padre è un pezzo grosso delle ferrovie, me l’hanno raccontato... Un alto papavero...
- Sarà mica un capostazione? gli faccio io per metterla sul ridere.
- Non scherzare... Ecco laggiù che arriva. Viene da noi...”
Ma l’uomo anziano che lui mi aveva indicato non venne sùbito, camminava ricurvo intorno al tappeto erboso, parlando con un soldato. Ci avvicinammo. Riconobbi il soldato, era lo stesso riservista che avevo incontrato la notte di Noirceur-sur-la-Lys, dove ero in ricognizione. Mi ricordai in quello stesso istante il nome che mi aveva detto: Robinson.
“Lo conosci te quel burba lì? mi ha domandato il Voireuse.
- Sì, lo conosco.
- È forse un amico loro... Devono parlarsi della madre; vorrei mica che ci impediscono di andarla a trovare... Perché è lei piuttosto che sgancia la grana...”
Il vecchio signore si era avvicinato a noi. Belava.
“Caro amico, disse a Voireuse, ho il grande dolore di informarla che dopo la sua ultima visita la mia povera moglie non ha retto al nostro immenso dolore... Giovedì l’abbiamo lasciata sola un momento, ce l’aveva chiesto lei... Piangeva...”
Non riuscì a finire la frase. Si girò bruscamente e ci lasciò.
“Ti riconosco proprio, feci io allora a Robinson, quando il vecchio signore è stato abbastanza lontano da noi.
- Io anche, che ti riconosco...
- Cos’è che le è capitato alla vecchia? gli ho allora domandato io.
- Eh be’, s’è impiccata l’altro ieri, ecco lì! ha risposto lui. Pensa te che minchiata da niente, di’ un po’! ha anche aggiunto in proposito... Io che ce l’avevo come madrina!... Bella fortuna che ho eh! Pensa te il destino! La prima volta che venivo in permesso!... E son sei mesi che aspettavo quel giorno lì!...”
Siamo mica riusciti a trattenerci dallo scherzarci sopra, Voireuse e io, su ‘sta disgrazia che gli era capitata a lui, al Robinson. In fatto di brutte sorprese, non era male, solo che quello non ci dava nemmeno indietro le nostre duecento carte, a noi, il fatto che era morta, noi che stavamo per mettere su un nuovo truschino per la circostanza. Di colpo eravamo niente contenti, né gli uni né gli altri.
“Ti speravi di metterla in buca, eh, porcaccione? stavamo a rimenargliela noi al Robinson, storie per farlo arrazzare e prenderlo per i fondelli. Ti credevi che te la stavi per fare, eh? la strippata gigante coi vecchi? E ti credevi forse anche che te la saresti infilata la madrina?... Sei servito di’ un po’!...”
Poiché non potevamo restare comunque là a guardare il prato e sghignazzare, ce ne siamo andati tutti e tre insieme dalla parte di Grenelle. Ci siamo contati i soldi di tutti e tre, faceva mica molto. Poiché dovevamo rientrare la sera stessa nei nostri ospedali e rispettivi depositi, avevamo giusto di che mangiare in tre all’osteria, e poi ci restava forse ancora qualcosina, ma non abbastanza per salire al casino. Comunque ci siamo andati lo stesso al flamba ma per farci soltanto un bicchiere, da basso.
“Te, son contento di rivederti, mi annuncia lui, Robinson, ma di’ te se non è proprio una baldracca la madre del ragazzo!... Però quando ci ripenso, che si va a impiccarsi proprio il giorno che io arrivo dimmi te!... Questa non me la scordo!... Ma forse mi impicco io, di’?... Dal dolore?... Passerei il tempo a impiccarmi io allora!... E te?
- I ricchi, fece Voireuse, sono più sensibili degli altri...”
Era uno buono di cuore Voireuse. Aggiunse ancora: “Ci avessi sei franchi salirei con quella brunetta che vedi là, vicino alla macchinetta mangiasoldi...
- Vacci, gli abbiamo detto allora, che poi ci racconti se lo succhia bene...”
Solo, abbiamo avuto un bel cercare, non ne avevamo abbastanza con la mancia perché lui se la potesse fare. Ne avevamo giusto ancora per un caffè e due cassis. Una volta trincato, siamo ripartiti in passeggiata!
A Place Vendôme, abbiamo finito per lasciarci. Ciascuno per la sua strada. Ci si vedeva più lasciandoci e parlavamo basso, tanto che c’era l’eco. Niente luci, era proibito.
Lui, Jean Voireuse, non l’ho più rivisto. Robinson, dopo l’ho ritrovato spesso. Jean Voireuse, sono i gas che se lo sono preso, nella Somme. Se ne è finito in riva al mare, in Bretagna, due anni più tardi, in un sanatorio marino. Mi ha scritto due volte all’inizio poi più niente. C’era mai stato al mare. “Hai mica idea di come è bello, mi scriveva lui, faccio un po’ di bagni, mi fa bene ai piedi, ma la voce credo che è proprio andata.” Gli dava fastidio perché aveva l’ambizione, in fondo, lui, di poter entrare un giorno nel coro di un teatro.
Sono molto meglio pagati e più artistici i cori di una semplice comparsa.