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I grandi amici sanno sempre quando tornare. La Patti aveva aspettato un mese, perché voleva che Ornella spiccasse il volo da sola. Seguiva da lontano il suo amore un po’ adolescenziale con Bernard, facendo un tifo scatenato affinché la sua amica si lasciasse andare. In realtà, era anche un modo per non pensare alla propria situazione, che era di colpo precipitata.
Dopo la morte della zia, il marito aveva deciso di lasciarla e chiedere la separazione. Messo alle strette, aveva confessato di avere un’amante da mesi con cui avrebbe voluto iniziare una nuova storia, ma finché c’era la zia bigotta non aveva avuto il coraggio di deluderla.
Ora che il testamento era stato aperto e lui era l’unico erede, poteva finalmente sentirsi libero di vivere come desiderava. Alla lettura delle carte, anche la Patti ebbe il suo momento di gloria: la zia Lucrezia le aveva lasciato un appartamento in corso Venezia di trecento metri quadri e lei, appena si rese conto che era stato un gesto di affetto, scoppiò in lacrime davanti al notaio. Poi iniziò a fantasticare di affittarlo agli arabi.
Sebbene non fosse più innamorata di suo marito, essere lasciata per un’altra fu un duro colpo, perché era sempre stata convinta che l’avrebbe mollato lei.
Fu proprio quel giorno che decise finalmente di aprire la busta che Maria Grazia le aveva consegnato in comunità. Scelse di farlo la prima volta che entrò nell’appartamento che aveva ereditato. Restò un po’ delusa quando scoprì che non era proprio una lettera completa.
“Cara Patti,
sono mesi che ormai te ne sei andata, e io sono ancora qui in comunità e spero di continuare a viverci per sempre... i canarini in fondo sono felici solo nelle gabbie. Stamattina mi sono alzata alle sei come sempre... dovevo preparare la colazione per tutti, ma senza di te alzarsi all’alba è molto meno bello. Poi ho lavato non so quante lenzuola di quelli dell’albergo, che non capisco davvero che razza di zulù sono a casa propria per lasciare le camere in quelle condizioni...
Ho fatto i colloqui a tre nuovi ragazzi che vorrebbero entrare in comunità, e sento che uno ce la potrebbe fare. Gli altri erano solo spinti dai genitori, e tu sai cosa voglio dire... E il pomeriggio, intorno al fuoco comune, tutti mi chiedevano di te, di te, di te, di te e... di te!!! Volevano sapere se ero a conoscenza di dove fossi finita. Io ovviamente ho negato tutto... Ma la vera ragione per cui ti scrivo è che oggi mi ha fermato il tuo giardiniere. Mi ha detto solo: “Se un giorno rivedrai la Patti, dille che è una ragazza straordinaria... che merita di essere felice”. Pensavo che ti facesse piacere saperlo. Poi ti volevo anche dire che...”
La lettera s’interrompeva così – tipico di Ornella – e alla Patti, dopo qualche lacrima, venne da ridere nel suo nuovo appartamento. Ricevere quelle parole a così tanti anni di distanza alleviò non poco il dispiacere di non essere stata riconosciuta. O forse, semplicemente, il giardiniere era diventato miope, e non l’aveva proprio vista.
La Patti arrivò all’Italian Bookshop un sabato pomeriggio pieno di gente, scontrini e confusione. Vedere Ornella, Clara e Diego così in armonia la riempì di soddisfazione: ognuno aveva un suo territorio, ma era abile a sconfinare in quello degli altri e questo dava ai clienti un senso di calore che li portava a entrare in libreria anche solo per commentare un libro o suggerire un film.
Nell’ultimo mese, Diego era la persona che era maturata di più. Nunzio era diventato il suo migliore amico e lo invitava a muoversi e a conoscere nuovi ragazzi: “Per essere felici bisogna darsi da fare” gli diceva. Ma ci voleva tempo.
Una volta che Clara lo aveva visto con gli occhi persi nel vuoto, gli aveva detto: “Ci sono fiori che vanno recisi anche se sono appena sbocciati, perché sono velenosi” e lui aveva avuto la certezza che lei avesse capito tutto. Per una volta, Clara fu indulgente anche quando vide arrivare la Patti, che si presentò in libreria con regali per tutti. A Ornella, però, lo diede una volta a casa, quando rientrarono a piedi. Era una collana di Tiffany con la scritta “Friends”.
«Grazie amica mia, ma non dovevi.»
«Invece sì... perché la tua lettera di tanti anni fa mi ha aperto il cuore...»
«E cosa ti dicevo?»
«Un sacco di cose belle... anche se poi non l’hai finita... ma ci sarà il momento di parlarne. Prima però ti devo chiedere un favore.»
«Lo potevi fare anche senza regalo.»
«Stasera ho bisogno della casa, Ornella.»
«In che senso?»
«Nel senso che tu non ci devi essere. Ho invitato a cena Samir, che però finisce alle nove, quindi ho tutto il tempo di cucinare qualcosa. Cos’hai nel frigo?»
«Come sarebbe che io non ci posso stare? E dove vado?»
La Patti la guardò indicandole la villetta confinante con la sua.
«Vedi tu.»
«Stasera dovrei andare a cena da Bernard e pensavo che venissi anche tu... ma non me la sento di dormire a casa sua...»
«A questo punto sei obbligata. Fallo per la tua amica mollata dal marito per una più giovane! Poi faremo una cena tutti insieme.»
Ornella sentì che non aveva scampo. Andò in camera e riaprì il disegno che le aveva lasciato Axel, dove lei imbracciava la chitarra. In alto, in un angolino, era tratteggiato un piccolo sole. Richiuse il foglio in quattro, uscì di corsa e andò a suonare alla porta di Bernard, che per una volta non era preparato.
«È successo qualcosa?»
«Perché?»
«Ormai comunichi con me solo al telefono.»
«È un’emergenza. La mia amica Patti stasera ha una cena di lavoro a casa mia stasera che finirà tardi... e ci sarà molta gente che non ho voglia di vedere....»
«E dunque?»
«Se non è un problema, vorrei chiederti se posso dormire da te.»
Bernard fece un triplo salto mortale, un doppio carpiato e i cento metri in otto secondi, ma solo nella sua mente.
«Sono mesi che aspettavo questo momento.»
«Dormiamo e basta però, eh.»
«Sì, certamente. Ma prima lascia che ti cucini qualcosa come avevamo previsto, così la tua amica può fare la sua riunione tranquilla. Ti aspetto qui tra un’ora, guai a te se arrivi prima, ok?»
«Promesso.»
In quell’ora, in casa da sole, la Patti e Ornella sembravano due ragazzine che si davano reciproci consigli su come affrontare la serata. Con Samir, la Patti sognava di prendersi una rivincita nei confronti di suo marito e del giardiniere, che aveva dimenticato a casa gli occhiali da vista.
Ornella invece voleva superare la paura di poter ancora amare qualcuno. Qualcosa nel suo cuore le diceva che ce l’avrebbe fatta, perché in fondo si era innamorata.
Aiutò la Patti a preparare una cena per Samir con quello che aveva nella dispensa, cioè poco. Trovò per fortuna una scatola di fagioli borlotti con cui improvvisarono un antipasto. Poi ci aggiunse riso basmati e cheddar a volontà. Tutti i presupposti di una cena romantica, insomma.
Ornella si presentò da Bernard con una bottiglia di vino e un trolley che la faceva sentire un po’ ridicola. Appena varcò la soglia, per la prima volta si sentì a casa in un luogo diverso da quello dove viveva.
Lui aveva apparecchiato in modo semplice e senza fronzoli, senza candele, senza cerimonie. Voleva che non sembrasse una cena importante. Questo tranquillizzò Ornella, che si tuffò sugli antipasti in gelatina anche se a lei ricordavano tanto la Simmenthal.
Poi Bernard commise uno degli errori più grossolani per uno straniero: cucinò la pasta. Gli venne così scotta che sembrava una minestra. Quando però vide Ornella mangiare fino all’ultimo rigatone, capì che avrebbero passato una splendida notte d’amore.
Fu molto più bello di come entrambi lo avessero immaginato. Si baciarono per un tempo dilatato, che andava per conto suo. Ornella si fece aiutare dal vino, ma poi si dimenticò di tutto. Non c’era più né prima né dopo. C’era solo il suo amore, il suo primo amore da persona libera.
Si lasciò finalmente andare e si divertì. Quando si risvegliò, perché per lei fu come un sogno, si chiese perché avesse aspettato tutto quel tempo.
Dormirono schiena contro schiena, e Bernard le diede il buongiorno portandole a letto una tazza di Nescafè. Ornella si affacciò alla finestra per cercare tracce della Patti, senza trovarne. La chiamò e le chiese di affacciarsi: così, gesticolando come due acrobate, mentre la Patti era ancora intontita, si sorrisero da lontano rimandando al pomeriggio tutti i racconti. Appena rientrò, vide Bernard in accappatoio e gli disse:
«Ti va se facciamo un giro al parco? Ti voglio portare in un posto.»
«Mi va tutto quello che ti fa stare bene.»
Si vestirono in fretta, convinti che sarebbero tornati presto.
Mentre salivano per Well Walk, Bernard le prese la mano per spronarla ad andare più veloce, e lei si sentì già dimagrita. Era una domenica perfetta, con una brezza che sgombrava l’aria da ogni dubbio.
Quando arrivarono alla panchina, Mr George era lì che stava finendo Il barone rampante. Ornella gli andò incontro come possono fare solo i nipoti con i nonni: di corsa.
«Bernard, ti presento l’uomo più affascinante e intelligente di tutta Hampstead: Mr George. Lui sa tutto di te, di noi, di me. Non so chi me l’abbia mandato, ma so che tu lo dovevi conoscere per forza.»
Bernard gli strinse la mano e gli sorrise, cercando subito un po’ di conversazione. Ma erano tutti e tre troppo emozionati per sembrare naturali, e poi quella panchina non era abituata a ospitare così tante persone. Ornella sentì un leggero disagio e le venne un’idea.
«Mr George, lei non ha problemi di orario, vero?»
«Se mi sta dando del vecchio che non ha niente da fare, c’è riuscita come al solito.»
«Oddio no! Non intendevo quello... vorrei farle fare un giretto...»
«Disponga di me come vuole. Basta che non mi faccia incontrare la signora Lovely, che ormai mi fa la posta sotto casa.»
Ornella scoppiò a ridere e allungò un braccio per aiutarlo ad alzarsi, mentre con l’altro si attaccò a quello di Bernard. E attraversando il parco arrivarono a Parliament Hill.
Mr George non ci rimetteva piede da troppi anni, e non pensava di aver di nuovo la forza di ritornare in quel luogo. Salirono lentamente e di colpo si ritrovarono in paradiso.
Una distesa di aquiloni copriva il cielo, con genitori e bambini impegnati a guidarli e inseguirli. Sullo sfondo, bella come la loro nuova vita, Londra faceva vedere tutto ciò di cui era capace, con i suoi grattacieli che sfidavano il futuro. Mr George era commosso. Chissà come gli avrebbe sorriso sua moglie a vederlo di nuovo lì.
Ornella si catapultò su una panchina che si stava liberando e occupò il posto anche per loro. Si sedettero tutti e tre in fila a guardare quello spettacolo.
Nella confusione, notarono un bambino che non riusciva a far volare il suo aquilone. Ci provava e riprovava con ostinazione, davanti alla frustrazione crescente del padre. Ornella guardò Bernard, che decise di aiutarli. Si avvicinò a quel genitore orgoglioso ma esausto, che depose subito le armi, affidandogli il filo. Dopo un primo esperimento andato a vuoto, spiegò pazientemente al bambino i movimenti che doveva fare, e il tipo di corsa.
Al terzo tentativo, l’aquilone spiccò finalmente il volo. Non si capiva se fosse più contento il bambino o suo padre.
E mentre osservava Bernard che correva incontro al cielo, Mr George si avvicinò a Ornella, le prese la mano e le disse che ormai poteva morire felice. Lei guardò quel mare di aquiloni e pensò che in fondo era una ragazza fortunata.