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Rivedere Londra per Ornella fu come entrare in una vasca di acqua calda piena di bolle e di schiuma.
Aveva promesso a sua madre che sarebbe tornata a trovarla, perché una madre italiana non ti può offrire solo il caffè, ti deve dire “questo baccalà l’ho fatto per te”, anche se Ornella preferiva altro.
Prima di partire, la mamma le aveva dato un po’ di soldi, come si fa con i nipoti, e lei li aveva accettati senza remore perché non voleva discutere.
Aveva chiamato Samir per farsi venire a prendere in aeroporto, per evitare di mettersi in fila, salire sul bus e dover stare seduta di fianco a qualcuno.
L’autista indiano l’accolse con un sorriso che le sembrò di buon auspicio, e durante il viaggio non fece altro che rivolgerle domande sulla Patti, che lui chiamava Mrs Patti, e che sperava di rivedere.
«Ma è una donna sposata» gli rispondeva lei con quel tono di rimprovero che non riusciva a controllare – she’s married! – e lui la tranquillizzava dicendo che era solo una grande amica, anzi una “big friend”, come le ripeté con quell’accento che a Clara avrebbe fatto venire i capelli dritti.
Quando vide il suo cipresso, Ornella tirò un sospiro di sollievo. Anche il nano era lì, e la polizia non la stava aspettando. Erano quasi le dieci di sera. Samir le ribadì che lui era un ragazzo serio che non andava con le donne sposate, e lei si rese conto che da quel momento sarebbe risultata “vedova”.
Restò un po’ davanti alla sua casa, prima di entrare, in compagnia del nanetto. Dalle finestre di Bernard provenivano i bagliori intermittenti del televisore. Chissà cos’era successo a EastEnders in quei giorni, magari avevano scoperto chi aveva ucciso Lucy. Si mise a tossire forte, sperando che lui comparisse con un bicchiere di cherry, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di andare a bussargli.
Per sentirsi meno sola, controllò addirittura se c’erano le ragazze vestite da majorette in fondo alla strada.
Alla fine entrò, trovando la cucina nel solito disordine, e si catapultò verso il frigo. Dentro c’era solo pasta d’acciughe. In una dispensa trovò l’Ansiolin e una lattina di birra calda, e scelse la seconda.
Era una sera di maggio piena di stelle, e decise di sedersi sui gradini di casa.
Beveva e guardava il cielo, sperando che Axel si fosse ambientato subito in un posto tanto silenzioso, lui che amava suonare e fare baccano. Ma forse non l’avevano mandato subito in paradiso, uno così, anche se lei sicuramente lo avrebbe segnalato. Pure da morto, lo trattava come un bambino.
Ornella era appoggiata al muretto e cercava di cacciare indietro i ricordi quando Bernard la scorse dalla finestra. Era l’ennesima volta, quel giorno, che si affacciava per controllare se era arrivata, e ora che finalmente la vedeva si ritirò. Improvvisamente ebbe paura che quell’alchimia in realtà fosse solo nella sua testa.
Bernard non riuscì più a seguire EastEnders e si fece una doccia. Decise poi di eliminare tutto ciò che di superfluo aveva in bagno, in particolare i campioncini di shampoo che era solito prendere negli alberghi. Mentre li metteva via, si rese conto che era solo nervoso. Aveva fatto ricorso a tutto il suo coraggio per chiamare Ornella un paio di giorni prima, e lei era stata vagamente assente. Questo non lo aveva certo reso ottimista.
Aveva deciso di non pensarci, ma innamorarsi significa pensare solo a quello. Tornò a sbirciare tra le tende e vide che lei era di nuovo rientrata in casa. Forse lo aveva visto dietro i vetri e aveva preferito evitarlo.
In realtà, Ornella era solo tornata in cucina per riempirsi un altro bicchiere di birra calda, che non riusciva proprio a farsi piacere.
Non aveva ancora avuto il coraggio di riguardare il disegno che le aveva lasciato Axel, ma sicuramente sarebbe arrivato il giorno per riaprire quella busta. Ce l’aveva ancora in mente quando il cigolio del suo cancelletto la riportò alla realtà. Bernard era comparso con un pacchetto.
«C’è posta per te.»
Ornella fu colta da un istintivo desiderio di abbracciarlo, che però trattenne. E lui, ovviamente, non si lanciò. Le consegnò con un po’ di impaccio la scatola, che lei guardò con aria interrogativa. Purtroppo non era una nuova Golden Card, pensò. La aprì e dentro trovò una bottiglia di Chardonnay, un pezzo di cheddar e dei cracker salati in superficie. Guardò di nuovo, capì e rise.
«Il mio kit di sopravvivenza! Bernard, tu sì che sei avanti. Ti sono mancata come vicina?»
«Mi sei mancata e basta.»
Ornella aveva paura, ma qualcosa le diceva di continuare a parlare senza porsi troppe domande. Lo invitò a sedersi di fianco a lei ed entrò in soggiorno a prendere un apribottiglie e un altro bicchiere. Era un calice un po’ diverso dal suo, ma lei aveva solo bicchieri spaiati che aveva comprato a Portobello.
«Immagino che il tuo viaggio in Italia non sia stato proprio una vacanza.»
«Da cosa si capisce?»
«Dal modo in cui stai seduta sulle scale.»
«Cioè?»
«Quando ti metti così, un po’ rannicchiata, con la testa in avanti, vuol dire che hai qualche pensiero.»
«Ma tu come fai a dirlo se non mi conosci?»
«Lavoro osservando le persone, e nel tuo caso mi è inevitabile abitando tu di fianco a casa mia.»
«Cos’altro hai capito di me?»
«Che anche tu sei sola e hai smesso di credere al destino.»
«Questo non è vero.»
«Invece sì. Tu ci credi al destino?»
Ornella sentì un brivido che non aveva mai conosciuto.
«Prima dimmi cos’è il destino.»
«Il destino è quella porta socchiusa da cui ogni tanto puoi sbirciare. E allora capisci che nulla avviene per caso e che tutto ha un senso, anche quando sembra non averlo.»
«Be’, allora ci credo ancora... anche se a volte preferirei che la porta si aprisse del tutto. Magari le cose andrebbero diversamente.»
«Questa, purtroppo, è la vita. E ai sogni ci credi?»
«Mamma, che domande difficili... sono appena rientrata dall’Italia!»
«Scusami.»
«Sì, comunque ci credo... ma non li dico mai, perché ho paura che non si avverino.»
«Allora sono messo peggio io, che non ho il coraggio di raccontarli nemmeno a me.»
«Come on, Bernard. Allora comincia subito. Dimmi una cosa che ti piacerebbe fare.»
«Se lo dico a te, poi non succede.»
«Ma va’. Tu puoi dirlo, anzi devi dirlo!»
«È una cosa che ti ho già detto ma che fai sempre finta di non sentire: vorrei tornare a cena fuori con te.»
Ornella sorrise, e diede un’altra sorsata al suo vino.
«Ti stavo giusto per chiamare...»
«Faccio finta di crederci. Allora confermami che domani sei libera.»
«Ti dico solo una parola: sì.»
Bernard sarebbe voluto rientrare a casa e gridare di gioia, ma preferì stare lì a fingere di essere tranquillo. Sapeva che Ornella era una piccola bestia ferita, e qualsiasi movimento troppo brusco l’avrebbe fatta scappare. Per cui evitò di tornare sul discorso, anzi andò a sedersi sul panchetto di fianco al nano rubato.
Lei era rilassata e gli si avvicinò, convinta com’era che lui non avrebbe mai tentato di baciarla quella sera: la situazione ideale per ricevere un bacio indimenticabile.
Dopo poco Bernard posò all’improvviso le labbra sulle sue. «Buonanotte» le disse, tenendole ferma la faccia con le mani.
Lei era così stanca che chiuse gli occhi e tornò ad avere diciassette anni.
Nessuno dei due sapeva come proseguire e cosa dire, per cui continuarono a baciarsi.