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Ritornare in certi luoghi può essere doloroso, tanto più se non sono cambiati. E per Ornella la comunità non era solo il posto dove si era salvata, ma era soprattutto quel paesaggio, quei cipressi, quelle colline dove il pensiero si perdeva insieme alla solitudine.
Rivedendolo, le tornò in mente il parco di Hampstead e capì perché le piaceva tanto. Le ricordava quella specie d’infanzia che era stata la sua rinascita. Ripensò anche a Mr George, che non vedeva da un po’ e che sicuramente avrebbe saputo trovare le parole giuste per interpretare il suo stato d’animo.
Aiutare qualcuno a morire, anche se condannato da un male, è un gesto che richiede coraggio, equilibrio e pietà. Ornella non era sicura di potercela fare, lei che in fondo si aggrappava alla speranza. E poi era sempre stata ligia alle regole, la cosa più importante se hai una qualsiasi forma di dipendenza: l’etica del dovere.
La Patti non aveva detto nulla, semplicemente l’aveva accompagnata a destinazione.
Arrivarono al tramonto, senza avvisare, a bordo di quella Seicento eroica che ormai la Patti sentiva come un prolungamento di sé. Altro che la cabrio rossa di Thelma e Louise. All’ultima sosta in autogrill il benzinaio le aveva chiesto: “Dove stai andando, bella bionda?” e lei aveva pensato che stava vivendo l’età migliore: perché ogni complimento ha il giusto valore e ogni occasione può essere una buona occasione.
Comunque il benzinaio non era proprio il suo tipo per cui si era presa il lusso di guardarlo con sufficienza.
Ornella nel frattempo era crollata e si era risvegliata all’uscita dell’autostrada, a Chiusi. Aveva chiesto soltanto: “Quanto ho dormito?”. Avevano abbassato i finestrini per fare entrare quell’aria pura che non era cambiata da allora. Anche il cancello era sempre lo stesso, sembrava solo più piccolo e meno difficile da scavalcare. Quando videro le due entrate, per la prima volta si avvicinarono a quella dell’“albergo”, e non a quella destinata ai ragazzi della comunità. Anche se facevano parte della stessa struttura, erano due mondi lontanissimi che non avevano alcun punto di contatto, se non il paesaggio esterno. Erano guarite.
Alla reception ebbero subito una buona notizia: don Rigoni non c’era, quindi addio al terrore di un nuovo reclutamento. Non potevano credere di trovarsi nella parte dell’ex convento che avevano sempre spiato da prigioniere e dove entravano ogni giorno solo per fare le pulizie, stirare e servire.
Stavolta erano ospiti.
La ragazza al desk aveva i capelli corti e qualche chilo di troppo che Ornella conosceva bene: quando non puoi innamorarti di nessuno, perché è questa la prima regola, ti resta solo il cibo.
Chiesero di Maria Grazia, la direttrice, a cui Ornella scriveva lunghe lettere un paio di volte all’anno, a Natale e a Pasqua. La chiamava la “santa”, perché era stata lei, nel primo colloquio, a farle credere in se stessa e a convincerla a entrare. E Ornella non l’avrebbe più dimenticato. Era una donna che non si vedeva mai in comunità, ma appariva solo nei momenti in cui andavi in crisi e te ne volevi scappare, o per qualche giorno decidevi di non parlare più con nessuno. Come una fata turchina, lei tirava fuori la bacchetta magica nascosta nella sua voce calda e suadente e ti convinceva a restare.
A Ornella e alla Patti parve di risentirla – “come state oggi ragazze?” – mentre salivano le scale che le conducevano alla loro camera. Quando aprirono la porta, restarono un po’ deluse: la stanza era più striminzita di quella dei tempi della disintossicazione, con due letti in ferro battuto piccoli e un po’ sfondati, e solo un comodino tra i due.
«Diciamo che peggio non ci poteva andare, Ornella! Secondo me don Rigoni ci ha visto e ci ha fatto mettere qui.»
«Piantala, sempre a fare la perseguitata.»
«Senti non siamo venute qui per litigare... e soprattutto: ce ne possiamo andare quando ci pare! L’avresti mai detto?»
La Patti si tolse i tacchi e per un attimo pensò chi glielo facesse fare, di andare ancora in giro conciata così. Si sdraiò su quella che sembrava una brandina e Ornella fece altrettanto.
Erano finalmente lì senza protezione, senza controlli, senza dover recitare i salmi, potare le aiuole, pregare, servire alla mensa, dire perché sei stata zitta tutto il giorno, fare la spia, confessarsi, non guardare i ragazzi, non sognare l’amore, non fumare, non fare amicizia, non telefonare. Erano libere di entrare. Di uscire. Libere. Punto.
Ornella stava così bene sdraiata che decise che avrebbe parlato con la madonnina il giorno dopo. Tanto l’aspettava in cima a una scala e non si sarebbe sicuramente spostata da lì.
Poco dopo invece le due si spostarono al ristorante. La Patti si rimise i tacchi, anche se i piedi le facevano male, ma certe emozioni non hanno prezzo. Decise di truccare anche Ornella, perché non poteva farsi vedere più pallida di quando viveva in comunità. Lessero un menu scritto con un corsivo ridondante, come se fosse la Divina Commedia.
«Che ne dici di crostini misti, salumi e pecorino del frate, Ornella?»
«Tutto purché non ci sia origano. Ho scoperto di essere intollerante.»
La Patti scoppiò a ridere a voce così alta che Ornella capì che la sua amica la conosceva proprio bene. Stette però al gioco, e fece le ordinazioni raccomandandosi che non ci fosse quell’aroma.
Per rompere per sempre con il passato, decisero di stappare una bottiglia di Brunello dell’anno in cui si erano conosciute. Poi, ovviamente, quando si resero conto del prezzo, confidarono in un nuovo intervento della madonnina.
Alla fine della serata, si avventurarono nella parte dell’ex convento chiusa al pubblico per cercare la stanza magica, dove avevano luogo i loro “Pomeriggi con Sentimento”.
Le vie d’accesso erano tutte sbarrate e la Patti iniziava a non poterne più. Ma Ornella la convinse a resistere, incitandola come se si trattasse di una gara di resistenza. Conosceva ogni anfratto di quell’edificio e finalmente trovò la porticina che, con uno strano movimento della maniglia, si riusciva ad aprire.
Sembravano due ladre senza paura, e sia la Patti sia Ornella si sentivano come il loro mito: Eva Kant. I ragazzi della comunità erano già tutti a dormire, per cui le due amiche si muovevano nella quiete più totale.
Alla fine la trovarono, la loro stanza. Quella in cui si erano innamorate dei libri e avevano fatto innamorare tanti ragazzi con le storie di Anna Karenina, Guerra e pace, Cime tempestose.
Tutti i pomeriggi si ritrovavano lì e leggevano insieme qualche pagina, oppure Ornella e la Patti la raccontavano agli altri ragazzi sentendosi un po’ le professoresse. Le sedie erano sempre le stesse, anche se disposte in un modo un po’ diverso da come se lo ricordavano. La Patti si sedette e Ornella cominciò a recitarle a memoria l’inizio della Lettera scarlatta, come ai vecchi tempi.
Molto spesso cambiavano le storie perché non le ricordavano bene neanche loro, ma difficilmente i ragazzi andavano poi a controllare.
Anni dopo, ciascuna a suo modo aveva continuato a coltivare quell’amore, facendone una professione.
«Avresti mai pensato di tornare e non trovare nessuno ad attenderci?»
«No... è la prima volta, eh Ornella? Però grazie per avermi portato qui. In fondo i nostri “Pomeriggi con Sentimento” erano una cosa bella, no? Abbiamo fatto leggere un sacco di persone che non si sarebbero mai avvicinate a un libro.»
«Qualcuna, a dire il vero, l’abbiamo anche fatta scappare.»
«E vabbè, meno male che c’è ancora un po’ di gente ignorante. Altrimenti come faremmo a spiccare noi?»
Stettero un po’ in silenzio, ognuna dentro il proprio viaggio sentimentale.
Dovettero però lasciare di corsa la stanza perché qualcuno, all’improvviso, aveva iniziato a dire “I ladri! I ladri!”, e loro se l’erano data a gambe come due tossiche al primo scippo.
Si addormentarono vestite e per qualche ora riuscirono a non pensare né ad Axel né al giardiniere.
Fu il gallo a svegliare Ornella, mentre la Patti continuava a russare. Si preparò in fretta cercando di fare meno rumore possibile. Il cielo era opaco, con qualche nuvola che sembrava addensarsi sul monte Cetona.
Scese le scale e andò a fare un giro per i luoghi che erano ancora lì, immobili, e che l’avevano vista partire all’improvviso, come tutti gli addii alla comunità. Perché se non parti in fretta, non parti più.
La sua passeggiata era una sorta di rito preparatorio all’incontro con la madonnina. Prima si soffermò sulla veranda da cui si vedeva tutta la valle: lì sotto c’era ancora la casa gialla che aveva sempre sognato di avere, e tutti le dicevano che era la più brutta. Ma a lei non importava, e si era fatta grandi film sul posto dove sognava di vivere felice con Axel, tutti e due puliti.
Ornella riguardò la casa e capì che non era poi un granché. Era comunque certa che quei luoghi contenessero le risposte che ancora a lei mancavano. Si addentrò nel bosco a cercare il sambuco che le era sempre stato amico. Le tornò in mente un tramonto trascorso con un ragazzo della comunità, a fantasticare sul loro futuro. Lui come scultore, lei come commessa della Benetton. Peccato che lui venne trovato impiccato poche settimane dopo che era scappato da lì.
Provò a ricordare tutti i ragazzi che erano fuggiti, di cui non aveva avuto più notizie. Rivide quei letti vuoti, all’improvviso, al mattino, come un brutto presagio. Ma la morte all’epoca faceva parte della vita ed era una cosa con cui si imparava a convivere.
Il sambuco era ancora più rigoglioso, pieno di fiori bianchi che sembravano darle il benvenuto. Ornella si sedette ai suoi piedi, appoggiando la schiena al tronco che conosceva bene. Stette con gli occhi chiusi per cercare di trovare la concentrazione. Il tempo non esisteva più, e nemmeno il dolore. C’era solo la natura e il suo cuore che sembrava aver trovato pace. Non sarebbe mai più voluta partire.
Fu il telefono a risvegliarla, e si vergognò per aver scelto la suoneria di Guantanamera. La Patti doveva essersi svegliata.
«Ornella, how are you?»
«Bernard, sei tu.»
Lei accolse quella telefonata come l’abbraccio di cui aveva bisogno.
«Ho visto che non sei a casa da qualche giorno, ero passato a trovarti alla fine dell’incontro con gli inglesi, ma poi non ho avuto il coraggio di entrare... In libreria sono stati molto evasivi e allora mi sono preoccupato.»
«...»
«Ornella ci sei?»
«Sì, sì, ci sono. E sono felice di sentirti. Come sta la mia casa?»
«Oh bene, il tuo cipresso e il tuo nano sono sempre lì. E io aspetto ancora un tuo appuntamento per la cena.»
«Tu sei una bella persona, Bernard. Ora sono in Italia... ma appena torno mi faccio viva. Te lo prometto.»
«Ci tengo e ti aspetto.»
Quando mise giù le prese un tormento, come se avesse tolto il tappo che chiudeva le sue emozioni che ora scorrevano con la forza dirompente di una diga. Ormai poteva vivere senza rete, un’acrobata che finalmente si prende i suoi rischi. Pianse in silenzio accompagnata dal canto degli uccellini.
Restò un po’ a respirare quella quiete, si fece coraggio e tornò indietro. Era arrivato il momento di parlare con la madonnina.
Rientrò nell’edificio e salì al piano superiore, conoscendo alla perfezione i punti in cui gli scalini scricchiolavano. Non voleva che qualcuno la vedesse. La madonnina era ancora lì, dipinta in un quadro quasi dimenticato, messo in un punto che nessuno poteva notare. Prigioniera di quella cornice e di un angolo che vegliava da chissà quanti anni.
Per questo Ornella si era affezionata a lei: era un po’ sfigata per essere una madonna. Ma il suo sguardo ottocentesco non cambiò espressione, quando lei la guardò. Restò immobile come aveva sempre fatto, anzi Ornella ebbe quasi l’impressione che non l’avesse neppure riconosciuta. Chissà quante persone aveva visto e poi anche la madonnina aveva la sua bella età.
La fissò, cercando in quell’immagine una risposta alla domanda: “Ora che sappiamo che Axel non si salverà, posso aiutarlo a morire felice?”.
Restò in attesa, speranzosa di un segno, ma regnava il silenzio. Dopo poco, una finestra sbatté con violenza per via della corrente, e un piccione volò via facendo un verso stridulo.
A Ornella sembrò un messaggio piuttosto chiaro e ci lesse quello che voleva: un no. La madonnina le stava chiedendo di non intervenire, e pazienza se non si era ricordata di lei, se non l’aveva riconosciuta, e se quegli anni di castità non erano serviti a niente. Le tornò in mente Living for the City di Stevie Wonder e iniziò a cantarla a bassa voce. Quella melodia sembrava racchiudere tutto il suo stato d’animo. Si sentì liberata dalla responsabilità, ed era certa che anche Axel avrebbe capito.
Stette ancora lì a fissare quel quadro in attesa di una nuova conferma, inutilmente. Per un attimo Ornella ebbe il dubbio che fossero tutti suoi trip del passato, per cui si allontanò dalla madonna con un pizzico di scetticismo. La sua risposta l’aveva avuta comunque, e questo era l’importante.
Quando rientrò in camera, trovò la Patti affacciata alla finestra a guardare il chiostro.
«Eri lì, sai, la prima volta che ti ho visto. Io ero appena arrivata e tu avevi tutti intorno a te ad ascoltare le tue storie... eri bellissima, Ornella, come lo sei adesso. Sei già stata dalla madonnina?»
«Sì, ma non mi ha filato più di tanto... comunque mi ha detto di no.»
«Ornella, quella madonna è solo la tua volontà. Quando te lo metterai in testa? C’è qualcosa che però mi dice che dobbiamo tornarcene in fretta, sai... Mi sento un po’ inquieta.»
«Anche io. Andiamo a fare colazione e ripartiamo?»
«Ci sto, sorella.»
Scesero con il bagaglio che non avevano nemmeno disfatto. Nella sala della colazione, che era rimasta la stessa di quando andavano a spazzare, ebbero una vera apparizione: Maria Grazia era lì, ignara della loro presenza. La direttrice della comunità che le aveva viste arrivare e partire, che le aveva ascoltate e sgridate, ricopriva quel ruolo con la stessa missione.
Disse solo: «Le mie ragazze sono tornate».
Le si avvicinarono e la strinsero come si fa con un famigliare partito per l’esilio. Tutti quegli anni trascorsi si cancellarono in fretta, e Ornella non ebbe il coraggio di dirle la ragione della sua visita. Maria Grazia chiamò subito in reception per dire che le due amiche erano ospiti della comunità, malgrado la bottiglia di Brunello da centoventi euro, che avrebbe scoperto solo dopo.
«Hai dei capelli bellissimi» disse a Ornella, ricordandole tutte le volte che l’aveva portata di nascosto dal parrucchiere. «E tu finalmente ti puoi mettere i tacchi» disse invece alla Patti, che però non riusciva più a seguirla perché aveva sentito arrivare un furgoncino.
«Scusate un attimo» disse uscendo, lasciandole sole.
Il giardiniere era lì.
Stava scaricando sacchi di terra e alcuni ragazzi lo aiutavano. Era molto cambiato, e la sua pelle sembrava consumata dall’abbronzatura. Ma i gesti che l’avevano fatta innamorare erano rimasti gli stessi, così come la sua tuta da lavoro, anche se le bretelle sembravano trattenere una pancia che ai tempi non c’era. Per un attimo lui ebbe la percezione di essere osservato, così s’interruppe, la guardò e le sorrise. «Buongiorno signora» le disse. Non l’aveva riconosciuta. La donna che lo aveva amato di nascosto, che si era messa a studiare piante e concimi pur di poter fare un po’ di conversazione, gli era passata completamente inosservata. Forse aveva esagerato con il fard.
«Buongiorno a lei» gli rispose, mentre lui era già concentrato a scaricare altri sacchi di terra.
La Patti rientrò cercando di fare finta di niente. Maria Grazia, nel frattempo, era andata alla sua scrivania e aveva preso una busta per lei. «Questa è una lettera che Ornella ti aveva scritto tanti anni fa, dopo che avevi lasciato la comunità. Non so come, ma non era mai stata spedita. L’ho conservata sapendo che un giorno saresti tornata. Leggila quando sentirai che è il momento, e sappi che non ho la più pallida idea di cosa ci sia scritto dentro.»
La Patti venne investita dall’emozione, che non riuscì a compensare la delusione appena provata con il giardiniere. Maria Grazia la guardò e capì cosa era appena successo, perché neanche lei aveva dimenticato quella storia. Ma non le fece domande, semplicemente invitò lei e Ornella – che come al solito non si era accorta di nulla – a fare colazione al centro della sala.
Mangiarono frutta fresca e crostata di ciliegie, bevendoci sopra un cappuccino. E così, per una volta, furono tutte e tre uguali. Ornella e la Patti avevano sognato per anni di assomigliare a quella donna. Ora, finalmente, erano sedute allo stesso tavolo.