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Quando Ornella rientrò nella camera che guardava l’Adige, trovò la Patti seduta sul letto davanti a un plico di fogli. Leggeva e ricorreggeva le bozze di Angeli come noi cercando di non vomitare più. Era sempre più convinta che il giardiniere fosse stato un’allucinazione, e comunque era troppo ingrassato rispetto ai suoi sogni di ragazza.

In realtà, pensava alla sua amica che aveva voluto restare sola e non sapeva se era stata una buona idea. Ornella entrò con una calma che strideva con il suo solito passo, gli occhi dolci. Quegli occhi avevano versato troppe lacrime, prima al balcone di Giulietta e poi nella Corte delle Sgarzerie.

«Axel è morto.»

Inavvertitamente, la Patti strinse il pugno in segno di vittoria. Il silenzio della stanza era interrotto dal rumore della goccia del lavandino che continuava a scandire il tempo.

«Per te era già morto da tempo, Ornella. Ti ha voluto fare un regalo, salutandoti e lasciandoti andare. Ora puoi farlo.»

«E perché mi sento così male?»

«Perché pensi che bastino le preghiere per far star bene le persone. Invece devi accettare che non puoi cambiare le cose... Ci restano solo i sogni, Ornella. Te li ricordi i sogni?»

«I miei sogni sono irrealizzabili.»

«E non ne hai uno realizzabile, stasera?»

«A parte morire?»

«A parte morire, ovvio.»

Ornella ci pensò un attimo. Le venne in mente una trattoria del centro, ci passava sempre davanti e ogni volta che non era strafatta s’immaginava che lei e Axel, appena fossero diventate persone normali, sarebbero andati a mangiare lì, come tutte le coppiette.

«Vorrei andare a cena da Ugo.»

«Chi è?»

«Un ristorantino dove da ragazza mi sembravano tutti felici. Se c’è ancora è in centro, vicino a Porta Leoni.»

«Perfetto. Allora vai lì stasera con Piero.»

«Ma io non ho fame. E perché poi con lui?»

La Patti parlava mentre controllava se avesse dimenticato qualcosa in giro nella stanza. In realtà, voleva parlare a Ornella senza guardarla negli occhi.

«Gli ho restituito la macchina e gli ho detto che ti consegnavo a lui per stasera. Io devo tornare a Milano altrimenti mio marito mi lascia in mezzo a una strada. Da noi c’è un problema con l’impianto idraulico e lui sta dormendo dalla zia Lucrezia. Quindi ti lascio immaginare. Ti prego stasera non fare cazzate.»

«Piantala.»

«Quando torni a Londra?»

«Credo domani. Non ha più senso che io stia qui. Tra l’altro la sorella di Axel è stata durissima con me.»

«Perché è sempre più facile assolvere i propri cari e condannare gli altri.»

«Ma io stasera non so se ce la faccio a mangiare.»

«E allora bevi, che ti riesce sempre bene. Ma non puoi stare qui con il tuo mazzo di lavanda. Axel avrebbe voluto che tu uscissi.»

«Ma non gli darà fastidio se esco con Piero?»

«No, perché sa che tanto tu non lo vuoi.»

«Ma povero Piero!»

«È la verità. Non l’hai mai voluto... E mi raccomando, prima di partire devi rimettere piede nella casa dei tuoi.»

«Sai che non me la sento di tornare in quella casa. Se mi vedono i vicini...»

La Patti la guardò dritto negli occhi e, per una volta, alzò la voce.

«Lo vuoi capire che non c’è più tempo? Lo vuoi capire, cazzo? Hai un grande privilegio, Ornella: hai potuto rivedere tuo marito... hai i tuoi genitori ancora in vita, puoi salutarli... puoi ancora sentire le loro mani calde. E ricordati che tutto il bene che ti sta capitando te lo meriti!»

Si sistemò il vestito perché era l’unico modo che aveva per sbollire. Si rese però conto che stava per perdere il treno, per cui si sbrigò a salutarla.

«Sei sempre la sorella che non ho avuto» le disse lasciandole trecento euro in contanti per il volo. «Offre la cariatide» aggiunse.

Rimasta sola, Ornella accese la televisione. Aveva paura del vuoto e così si mise a guardare un canale di televendite che offriva a un prezzo stracciato un nuovo attrezzo per assottigliare le sopracciglia. Si buttò sotto la doccia e ci restò più di mezz’ora, finalmente alla temperatura che desiderava. Niente come una bella doccia sa prendersi cura di te.

Piero la passò a prendere alle nove.

Entrando da Ugo, le parve quasi di varcare l’ingresso di un luogo sacro. Nessuno più di lei poteva capire cosa stesse provando. Le diedero uno dei tavoli che aveva sempre visto solo da fuori. La tovaglia era giallo sbiadito, ma era la più bella che potesse immaginare.

Stava ricominciando a vivere, e lo stava facendo con l’amico che non l’aveva mai tradita. Sul menu c’era scritto: “Serviamo prodotti per celiaci, e se avete qualche intolleranza alimentare segnalatela immediatamente al nostro personale di servizio”.

Ornella non ci pensò su due volte e disse che lei aveva problemi con l’origano, ma non le diedero molta soddisfazione. Ordinarono baccalà mantecato e risotto all’Amarone, che lei non ricordava più che sapore avesse. Non era felice come aveva sognato all’epoca, ma si sentiva comunque bene.

Mentre si sforzava di mangiare, pensava che se avesse scelto Piero forse a quel tavolino si sarebbe seduta già da anni. L’avrebbero salutata con un po’ più di entusiasmo e magari le avrebbero offerto una flûte di prosecco e una tessera fedeltà.

Non ebbe il coraggio di dirgli che Axel era morto, perché era un po’ ammetterlo anche a se stessa, e lei non ci voleva pensare.

Per un attimo Piero provò a fare discorsi allusivi su come era bello rivedersi dopo decenni, che quella era la loro seconda giovinezza, e Ornella realizzò finalmente che lui era uscito in giacca e cravatta.

Era ancora innamorato.

Ci sono persone che non ti dimenticano malgrado tu faccia il possibile per renderti invisibile. Loro non ti scordano, anzi mettono il tuo fantasma sopra un altarino sperando in una tua distrazione, o ricomparsa, o debolezza. Solo una persona che la amava veramente avrebbe lasciato la sua auto alla Patti.

A Ornella venne uno strano attacco di riso. Una forma isterica di difesa che mise Piero in imbarazzo, facendogli ordinare una mousse e due bicchieri di Recioto. Lei poi riuscì a inventarsi qualche storia delle sue, e lui pensò che fosse semplicemente un po’ stralunata. Gli fu chiaro che era meglio non insistere, e così iniziarono a parlare di Londra, e quando vieni a trovarmi, e come va la libreria. Fu alla parola “libreria” che Ornella sentì qualcosa accendersi nel cuore e finalmente capì che ce l’avrebbe fatta.

«La libreria è la mia casa e la mia trappola, perché la amo troppo e la considero mia. Invece non è mia. Io ci lavoro, la gestisco, ma non la possiedo. Però ho la sensazione che senza di me non possa andare da nessuna parte.»

«Per questo vuoi tornare subito a Londra?»

«Sì. E poi ho delle persone che mi aspettano.»

Pensava solo a Bernard, che di colpo le mancava, ma lo nascose in un plurale imbarazzato.

«Spero che non passino altri vent’anni prima che tu ritorni a Verona.»

«Non credo, dài.»

«Ma se anche dovesse capitare, se tu mi dovessi citofonare, io ti aprirò.»

Ornella assaggiò la mousse e si rese conto che Piero si meritava una persona migliore di lei.