25

Dormirono abbracciate come sorelle.

Quella notte scherzarono meno del solito, soprattutto perché la Patti aveva iniziato subito a russare e Ornella era rimasta in compagnia del soffitto. Si sentiva sollevata per aver preso la decisione di tornare a Verona, “il natio borgo selvaggio”, come lo chiamava lei. Una città con cui non si era mai riconciliata, ma che spiava da lontano sugli articoli del “Times”, e spesso curiosava su internet per vedere com’era cambiata. Che poi erano ricordi così pieni di rumore che lei faceva una certa confusione. Perché fare uso di eroina per dieci anni altera anche la memoria, come se vivessi in un incubo perenne con pochi momenti di pace: appena ti sei fatto.

Ornella si alzò prestissimo, cercò di dare una parvenza di ordine alla cucina, preparò un tavolino con la colazione come si farebbe i primi tempi con un fidanzato, lasciò un biglietto di buongiorno, si preparò in fretta e uscì.

Non alzò nemmeno la testa per vedere se Bernard era lì per sapere quando sarebbero andati insieme a cena. Non era stato poi così fortunato a incontrarla in un periodo tanto delicato. O forse era quello l’unico momento in cui si sarebbero potuti trovare.

È la sottile differenza tra caso e destino, e credere all’uno piuttosto che all’altro dice molte cose di te: se sei romantico, ottimista, cinico o disilluso. E Bernard era un inguaribile romantico.

Ornella invece era un’indecisa cronica e l’unica cosa che poteva fare era accelerare il passo, mentre le case intorno a lei erano così piene di colore da sembrare vive.

Arrivò al parco che il sole si era appena levato e l’aria profumava di bosco. Per una volta, decise di non andare alla sua panchina, ma di fare una passeggiata cercando di non perdersi. Dopo una prima discesa, le si aprì davanti uno spiazzo verde che sembrava un’oasi di paradiso. Lì in mezzo, un uomo camminava come se si muovesse al ralenti. Ornella gli si avvicinò fino a che lo mise a fuoco.

«Mr George! Mr George!» cominciò a gridare come un naufrago in mezzo al mare. Lui parve un po’ spaesato prima di capire da dove arrivasse quella voce, ma quando la trovò si sbracciò in un “hello” che aveva sempre sognato fare. Ornella aveva il potere di tirare fuori il lato più nascosto delle persone.

Lei non sapeva che tutte le mattine, pioggia permettendo, Mr George faceva quattro passi per tenere in forma le gambe, le braccia e la mente. Gli andò incontro.

«Buongiorno, che sorpresa, non pensavo di vederla qui.»

«Quello sorpreso sono io. Credeva che vivessi solo su quella panchina, vero?»

Ornella scoppiò a ridere.

«Un po’ sì. Quando non la trovo lì penso sempre che le sia successo qualcosa.»

«E fa bene. Perché appena posso, io ci torno. Non gliel’ho mai detto, ma quella era la panchina su cui mi sedevo con mia moglie. Ci venivamo anche quando lei stava male, quando stava perdendo le forze... Prima di andarsene, una sera in cui vide quanto ero addolorato, mi disse: “Quando non ci sarò più, se avrai nostalgia di me, torna sulla nostra panchina”. E così ho preso l’abitudine di leggere lì, anziché a casa.»

«Dov’è andato stamattina?»

«Ho provato ad arrivare a Parliament Hill, ma alla fine sono tornato indietro.»

«Troppa fatica?»

«No, troppo dolore... Lì ho dato il mio primo bacio proprio a lei, e ne ho un ricordo così bello che ho paura di rovinarlo. Per questo non ci torno mai. Poi però, quando vedo il cielo così azzurro, sono tentato.»

«Io ci sono stata domenica con Bernard...»

«E si è divertita?»

«È scoppiato un acquazzone e ce lo siamo beccato in pieno.»

Mr George scosse la testa sorridendo. Gli piacevano i discorsi di Ornella, perché quando ne cominciava uno non finiva mai con lo stesso tono.

Così all’improvviso lei gli chiese se aveva voglia di fare altri due passi e lui accettò, perché aveva bisogno di compagnia. Non si era scandalizzato del suo passato da tossicodipendente, anzi era curiosissimo di ascoltare quella sua vita dissipata con Axel. Mr George era l’unico a cui lei avesse raccontato di quando erano andati a Bombay e appena arrivati, al mattino, si erano chiusi in un posto a fumare oppio: erano usciti alle undici di sera. E subito dopo Axel, che si sentiva un grande musicista, aveva comprato un sitar gigante che si sarebbero dovuti trasportare per tutta l’India. A ogni risveglio, speravano sempre che qualcuno gliel’avesse rubato, ma niente. Quel sitar non lo voleva nessuno.

«Ornella, non mi ricordo mai quando vi hanno arrestato in Germania.»

«Come fa a ricordarlo se non lo so neanche io?»

«Ma gliel’ho detto che con me può anche inventare, perché è il sapore delle cose che mi affascina, non gli ingredienti precisi...»

«Ci eravamo imbarcati a Bombay pieni di oppio che volevamo vendere, e io avevo avuto la brillante idea di confidarmi con un ragazzo che avevo conosciuto in aeroporto. Gli avevo proprio spiegato nel dettaglio il nascondiglio della droga. Ovviamente era un tossico che informava la polizia... Arrivati a Francoforte, ci hanno fermato... Polizei! Polizei!»

«E lì Axel si prese tutta la colpa.»

«Sì... quello è stato il suo gesto d’amore. Anche se in realtà lo fece perché era terrorizzato all’idea di affrontare i miei genitori. “Meglio il carcere della suocera” diceva!»

«Però è stato in quel momento che lei poi ha deciso di entrare nella “comunità di disintossicazione”.»

Mr George riusciva ad avere la proprietà di linguaggio di un professore, alternando le domande ai silenzi.

Dopo un po’ decisero di sedersi da un’altra parte, per una volta. Avevano bisogno di un territorio neutro dove appoggiare le loro emozioni.

Ornella gli confidò senza remore che sarebbe tornata a Verona per vedere Axel in ospedale.

«Quindi è arrivato alla fine, come lei sospettava.»

«Sì.»

«Quando è venuto a trovarla qui l’ultima volta?»

«Forse cinque anni fa... Voleva soldi, come sempre. Io lo portai a mangiare fuori, gli comprai dei vestiti, ma soldi non gliene riuscii a dare. Sapevo dove sarebbero finiti, e quella era la mia unica forma di protesta.»

«Lei Ornella è una donna forte, come quegli alberi che crescono sulle rocce. Mi ricordo di uno scoglio, vicino a Portofino... lo chiamavo “lo scoglio dell’albero coraggioso”. Chissà se c’è ancora. Era un pino piccolissimo, cresciuto sulla pietra. E lei ha lo stesso carattere.»

«Non è vero. Io sono fragile.»

«Solo i forti lo ammettono. Si fidi di me, che ho vinto una guerra. Ci siamo riusciti perché sapevamo di essere vulnerabili.»

«Dice che quindi faccio bene ad andare a Verona?»

Mr George ci pensò un attimo, perché non amava le risposte affrettate.

«Per me è una splendida notizia. Accanto ad Axel è stato un inferno, certo... ma è la vita che lei stessa ha scelto, Ornella. E probabilmente all’epoca non ne avrebbe voluta un’altra.»

«È vero. Io volevo essere così. Io ero innamorata di quel mondo in technicolor. La doccia all’epoca non me la facevo a casa ma sotto un irrigatore che annaffiava i campi in autostrada, capisce?»

«Vada a Verona, Ornella. È sempre un big privilegio salutare le persone. Com’è che si dice big in italiano?»

«Grande.»

«Certo. Grande! Io non sono riuscito a farlo con mia moglie... Per questo lei ci deve andare di corsa.»

«Lo farò.»

«Ornella, ma a che ora apre la libreria?»

«Alle nove.»

«Quindi adesso ci dev’essere qualcuno.»

Ornella balzò in piedi scioccata.

«Oddio no! Anche oggi in ritardo no. E abbiamo pure la lettura per il pubblico. Mi dica che verrà...»

«Naturalmente. C’è bisogno della prenotazione?»

«Le tengo io un posto in prima fila. Sarà un grande onore per noi averla lì.»

Si salutarono in un modo un po’ insolito, come se avessero paura che le ultime confidenze potessero mettere a rischio il loro rapporto. Lei avrebbe voluto rivelargli quanto era contenta di averlo conosciuto, ma alla fine si trattenne. Non potevano dirselo, di essere amici. Potevano esserlo e basta.

Ornella tornò verso la libreria con la solita andatura tra lo spedito e il disperato che la rendeva inimitabile ogni volta che i negozianti la vedevano passare. Julie provò a fermarla, ma lei fece cenno che non era proprio il momento.

Clara l’accolse con il solito borbottio e una tabella di marcia che Diego aveva impostato su Excel per facilitare il loro lavoro. Lo scetticismo con cui lei guardava quel foglio fece venire a Ornella nuove preoccupazioni, anche perché dovette comunicarle che sarebbe tornata per qualche giorno in Italia.

«Bene» rispose Clara, senza aggiungere altro.

La giornata corse via veloce, interrotta solo da periodiche telefonate della Patti, divisa tra i sensi di colpa di uscire a cena con Samir e il desiderio di mettersi il sari per l’occasione.

Alle quattro era tutto pronto, anche i biscotti al burro. Più che una libreria, stavolta sembrava una pasticceria.

La Patti fece il suo ingresso abbigliata come una danzatrice del ventre e a Diego ricordò certe signore napoletane. Poco prima dell’incontro arrivarono la signora Lovely, acchittata come se dovesse andare a teatro, e Mr George, con tanto di quaderno e penna.

Diego si affacciò più volte su Flask Walk ed era tentato di fermare i passanti. Gli tornò in mente che tutti i clienti che aveva contattato non gli avevano detto proprio “yes” ma “interesting”, interessante, che spesso è solo un modo garbato per declinare l’invito. Al terzo colpo di tosse della signora Lovely, lui decise di cominciare la sua lettura ad alta voce. Aveva davanti due persone. Tre con la Patti, che con il sari occupava quasi una fila. Quattro con Clara, che gongolava, ma non voleva darlo a vedere. Cinque con Ornella, che sembrava davanti all’apocalisse.

Mr George e la signora Lovely, invece, ascoltarono con grande attenzione, mettendo ancora più a disagio Diego, che continuava a chiedersi cosa non avesse funzionato. Alla fine, Mr George acquistò una copia del Pizzaiolo e la signora Lovely due: voleva regalarlo a un’amica. Davanti a file di sedie vuote, di bicchieri di plastica e di vassoi di biscotti intatti, Ornella si rese conto che neppure Bernard aveva accettato l’invito.