13
Per una volta, Ornella si era trovata a prendere una decisione da sola.
Bernard l’aveva invitata e lei non era riuscita a dirgli “scusa un attimo che chiamo la Patti”.
Non ci credeva di aver veramente detto “dammi cinque minuti e sarò Marilyn”, ma l’aveva sentito una volta a teatro e si era riproposta di usarlo alla prima occasione.
Le tornò in mente il cappello che la Patti avrebbe voluto indossare al presunto funerale della zia. Lei non ne avrebbe più messo uno dopo Ascot, ma si ricordò di un vestito “rosso Valentino” che aveva preso per un matrimonio e indossato solo quella volta. Questo avrebbe dovuto metterla in allarme. Provò anche a truccarsi, ma non essendo abituata a farlo fu piuttosto spigolosa nel regolare le sfumature. Alla fine tra lei e Marilyn continuava a esserci una certa distanza.
Per fortuna nessuno meglio di un inglese sa dissimulare lo stupore, e Bernard la salutò come se nulla fosse. Anche lui aveva pensato di cambiarsi, ma aveva optato per cinquanta sfumature di maròn. Tutto si poteva dire, tranne che non fossero una coppia ben assortita.
«Mi fa un certo effetto andare a cena con qualcuno che abita a due passi da me.»
«Perché, non ne conosci altre?»
«A dir la verità, solo la signora Phillida, quella dei nani da giardino... non so se hai presente.»
«Mai sentita nominare.»
Ornella sentì la terra mancarle sotto i piedi.
«Una sera mi ha lasciato un biglietto per sapere dove avevo trovato il rampicante che ho vicino alla porta... così ci siamo scritti e mi ha invitato a casa sua per ringraziarmi.»
«E tu ci sei andato?»
«Certo. Ma è stato solo in quell’occasione.»
Bernard era abituato a osservare le persone per lavoro, ma Ornella riusciva a spiazzarlo continuamente. Non poteva immaginare che lei fosse solo preoccupata del suo nano da giardino e si stesse chiedendo cosa ci facesse la signora Phillida nella sua strada.
«E tu, Ornella, conosci qualcuno qui?»
«Solo Clara, che lavora da me in libreria... ma ci frequentiamo poco. Forse sono troppo antipatica.»
«O troppo simpatica.»
Un momento d’imbarazzo calò tra i due, come se fossero usciti dal binario dei convenevoli. Dopo qualche passo in silenzio, fu Bernard a riprendere in mano la situazione, cambiando tono.
«Mangiamo italiano, ti va? Conosco un posto che fa delle fantastiche fettuccine alla bolognese.»
«No dài, ti prego. Le fettuccine alla bolognese ormai esistono solo per gli stranieri, che vengono a mangiarle in Italia con quei sughi fluorescenti... Perché non scegliamo un ristorante neutro, tipo giapponese?»
«A me il pesce crudo fa venire l’orticaria.»
«Ah, sei intollerante? Come ti capisco. Be’, anche io... all’origano.»
«All’origano? Non avevo mai sentito l’intolleranza all’origano.»
«Eh sì... è molto rara, ma fastidiosa.»
«E quando l’hai scoperto?»
«Da poco... a dire il vero. I medici stanno ancora studiando il caso.»
«Addirittura? Deve essere molto grave, allora.»
«Sì, ma non ti preoccupare... basta avvertire quando fai l’ordinazione. Quindi non ci resta che il cinese o l’iraniano.»
«Il cinese va benissimo, Ornella. Ne conosci uno?»
«A me piace tanto il cinese di George Michael che c’è in West End Lane.»
«Non sapevo avesse un ristorante.»
«No, ma una volta l’ho visto mangiare lì e quindi per me resta il cinese di George Michael.»
Bernard la guardò e pensò che forse aveva esagerato con quell’abito rosso per una cena al cinese, ma per gli italiani ogni cena è sempre l’Ultima Cena.
Il cielo all’imbrunire invitava alla calma. Mentre camminavano, spettegolarono un po’ sul loro vicino di casa che fotografava le ragazze vestite da majorette ed entrambi si resero conto di essere un po’ impiccioni.
Le luci alle finestre erano calde, e le sagome dietro i vetri si muovevano lente, come se la quiete di quell’ora condizionasse anche il ritmo delle persone. Ebbero l’impressione di vedere gente molto annoiata, e Bernard le chiese se anche in Italia succedesse così.
«Ci manco da troppo tempo. Ma non sarai mica uno di quelli che pensano che gli italiani sono sempre lì a tirarsi i piatti dal balcone?»
«Dimmi che almeno una volta hai assistito a una scena così.»
«Più che assistere, ero io la protagonista! Ho proprio tirato i piatti! Ma ero fuori di testa, ai tempi dell’università. Non è stata una scena divertente.»
«Quindi deve essere successo da poco.»
Bernard le fece l’occhiolino e Ornella aprì per un attimo la ruota di pavone. Passarono davanti alla sua villa preferita, tutta bianca con il tetto verde, che sembrava disabitata. Lei sognava di occuparla un giorno e di farci una festa. Fu tentata di confessarglielo, ma si tenne quel pensiero per sé.
Bernard cominciò poi a chiederle cosa aveva fatto in Italia prima di trasferirsi a Londra, ma Ornella preferì rimanere evasiva.
Quando cambi radicalmente vita, hai due possibilità: o rimuovi il passato, e “il prima” lo cancelli con tutte le tue forze fino a convincerti che non sia mai esistito, oppure fingi di non ricordarlo, ma ogni tanto, quando meno te lo aspetti, riappare. Era quello che le stava succedendo. Negli ultimi tempi le tornava di nuovo in mente suo marito, che di fatto non ricopriva più quel ruolo, ma che continuava a essere presente nelle sue solitudini. Alcuni amori sono capaci di restarti nel cuore anche quando sanno solo farti male.
«A cosa pensi, Ornella?»
«A Verona... la città dove sono cresciuta.»
«Quella di Romeo e Giulietta. Ci torni spesso?»
«Saranno almeno vent’anni che non ci metto piede.»
«E la tua famiglia vive là?»
«Lì ho solo i genitori che mi chiedono sempre: “Quando torni?”.»
«Be’, quello anche i miei. E tu perché non torni?»
«Hai mai sentito parlare della paura?»
Ci sono momenti in cui non hai più le forze per mentire, e arrivano quasi sempre all’improvviso. Ma Ornella si odiava quando intristiva le persone. Per sviare, chiese a Bernard del suo lavoro. Di nuovo non ci capì molto, perché mentre lui parlava lei pensava a quanto era strano ritrovarsi a fianco un vicino di casa sulla via di un ristorante cinese. Fu però bravissima a fingere di ascoltarlo mettendo in mezzo varie espressioni tipo “Really?”, che usava con certe clienti in libreria.
Al ristorante c’erano poche persone e nessuna di loro assomigliava a George Michael. Il cameriere s’illuminò appena li vide arrivare e la salutò chiamandola “Miss Ornella”, togliendole un po’ di insicurezza e l’impermeabile. Rimasta sola con il suo vestito, lei si rese conto che era un po’ troppo rosso per la serata, ma pazienza.
Se stava per entrare in una nuova fase della vita – quella della disoccupata – tanto valeva cercare subito di farsi notare. Si accomodarono al tavolo davanti alla vetrina e Bernard delegò l’ordinazione a Ornella. Lei non si fece pregare e scelse involtini primavera, spiedini di gamberi e anatra all’arancia, che amava perché la servivano con delle frittelle sottilissime che secondo lei non facevano ingrassare. Alla fine si rese conto che si stava dimenticando di fare la domanda fondamentale: «C’è qualcosa che contiene origano? Perché sa, sono intollerante...».
Il cameriere ci mise un quarto d’ora a capire cosa fosse l’origano, scambiandolo con la cannella cinese.
Quando fu il momento di decidere cosa bere, Bernard propose uno Chardonnay, e lei si sentì arrossire. È questo l’amore? In realtà, erano anni che lui vedeva spuntare bottiglie di Chardonnay dai sacchi della spazzatura.
Il primo brindisi mandò Ornella in crisi.
«A cosa brindiamo?»
«Non lo so, Bernard. Io quando brindo dico sempre “cin cin”, ma mi vergogno a dire quelle frasi tipo “a noi” o “alla salute”.»
«Allora è il caso di cominciare stasera: “A noi”.»
A Ornella sembrò improvvisamente di tradire Axel. Si sentiva sempre a disagio quando si trovava con un uomo che probabilmente voleva solo sedurla, o piazzarle un’assicurazione.
«Non ci riesco.»
«Allora diciamo semplicemente: “A stasera”.»
«“A stasera” ce la faccio.»
Si guardarono negli occhi e lui bevve un po’ di corsa per non dare a quel brindisi troppa solennità. Aveva avuto la sensazione che Ornella si stesse per alzare dal tavolo e lui l’avrebbe preso come un fallimento personale.
Per fortuna arrivò il cibo e lei, per la fretta di fare qualcosa, si ustionò la lingua con lo spiedino di gamberi. Tutti i passanti sembrava guardassero solo il suo vestito in vetrina. Perché non esiste il pulsante che ti fa cambiare il colore degli abiti?
Intanto le era caduta la posata, aveva rovesciato il vino, e quando arrivò l’anatra all’arancia, Bernard la prese per un braccio, glielo strinse e le disse:
«Capisco che sei tesa perché non mi conosci e pensi che io abbia chissà quali intenzioni. Ma non ti dimenticare che la vera ragione per cui siamo qui è che se fossimo rimasti a casa avremmo cenato con due pezzi di cheddar davanti a EastEnders.»
«Anche tu guardi EastEnders?»
«Certo, non me ne perdo una puntata.»
Non c’è niente che ti metta più a tuo agio di qualcuno che segua la tua stessa serie televisiva. E così, dissertando sugli sviluppi della storia, Ornella e Bernard terminarono l’anatra e lo Chardonnay senza nemmeno accorgersene. Lei si scordò perfino del suo vestito e anzi salutava con la manina i passanti che la guardavano incuriositi.
Bevvero tutto, anche il sake, fino a che si resero conto che i camerieri stavano aspettando solo loro. «Crazy people», sentirono bisbigliare alle loro spalle. E Bernard, per una volta, provò l’ebbrezza di essersi lasciato finalmente andare.