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Julie si presentò al pub con un vestito svolazzante e Diego, appena la vide, si mise nella posizione del soldato partenopeo.
Carmine gli aveva appena scritto: “Se vuoi tra un’ora mi libero... Altrimenti trovo una scusa nei prossimi giorni...”, e lui si trovò davanti a un dilemma proprio sotto gli occhi dolci della ragazza, che lo guardava incuriosita. Per prendere tempo le diede un bacio sulla guancia, uno solo, un po’ goffo. Avrebbe voluto dirle: “E adesso?”, invece le fece i complimenti per quanto era elegante.
Cercò di non pensarci e invitò la fioraia a entrare nel pub, che a quell’ora era ancora abbastanza vuoto. Lei accettò volentieri un bicchiere di vino rosso, flirtando un po’, ma senza sbilanciarsi troppo. Era una ragazza nel pieno della spensieratezza. Lui sentiva l’autostima salire e questo gli dava parlantina, per cui cominciò a raccontare di Napoli e di Monte di Dio, che traduceva in “Mountain of God”, e Julie pensò che gli italiani fossero sempre un po’ megalomani.
Diego però non era sereno. Sentiva che se non avesse risposto a Carmine non sarebbe riuscito ad andare avanti nella conversazione. Si scusò e uscì un attimo dal locale, facendo finta che gli squillasse il telefono, e si sedette sui gradini di una casa a due passi da lì. Guardava lo schermo senza sapere bene cosa fare. In realtà, avrebbe voluto rivedere Carmine, ma se lo avesse incontrato non sarebbe mai guarito.
Per affrontare certe dipendenze ci vuole l’isolamento, per cui si fece coraggio e gli scrisse: “Stasera purtroppo ho una cena e non so a che ora mi libero. Proviamo domani”. Le ultime due parole vennero scritte e cancellate talmente tante volte che ci volle l’arrivo della povera Julie – uscita a cercarlo con i bicchieri in mano – per fargli decidere di inviarlo nella versione “Proviamo domani”.
«Scusa Julie, ma era una questione un po’ delicata.»
«Spero non sia una cosa di cuore.»
Per un attimo, Diego ebbe la sensazione che lei avesse capito tutto.
«No, un mio amico è qui a Londra e ha qualche problema... dovevamo vederci per una cosa. Comunque non ti preoccupare, ora è tutto ok. Finiamo di bere e poi andiamo a questa cena?»
La prese sottobraccio con una confidenza un po’ forzata e cercò di concentrarsi sul presente, preparandosi ad affrontare una serata all’insegna di sottoli, soppressata e ’nduja. Per darsi un tono, pensò che al posto dei friarielli – che poi dove li trovava? – fosse meglio prendere una bottiglia in enoteca. L’unico abbordabile era un vino cileno, ma l’importante era consegnarlo in una bella confezione e impressionare il calabrotto. Un tempo sarebbe stato felice di camminare per Londra con una ragazza al fianco, invece ciò che desiderava in quel momento era guardare il suo telefono, che gli consegnò un sms di Carmine piuttosto freddo: “Ok”.
Gli aveva comunque risposto, e non ce l’aveva con lui. Julie prese quelle disattenzioni nei suoi confronti con filosofia, anzi si sforzò di fare finta di nulla.
«Sai che all’inizio pensavo tu fossi l’amante di Ornella?»
«Be’, potrebbe essere un’idea.»
«Che tipa. Non ho ancora capito se è allegra o triste. A volte si ferma per chiacchierare, a volte scappa via... sembra una donna tormentata.»
«Le donne sono tormentate per definizione.»
Diego provava a riprendersi mettendo in scena tutto il repertorio del classico fareniello, lanciandosi in ardite traduzioni dal napoletano all’inglese che lo rendevano un po’ ridicolo. Julie gli sorrideva e in fondo sperava di avere ancora qualche possibilità con lui.
Scesero a Sloane Square, in piena Chelsea, che a quell’ora brillava di lusso ed eleganza. Immaginando la sua cameretta a Kilburn, Diego pensò: “A facc’ ro cazz’!”.
Se solo l’avesse saputo Clara, che andava a cena con gli italiani di Londra Ovest, avrebbe smesso di rivolgergli la parola. Le case rosse e vittoriane, però, erano bellissime e sembravano abitate dalle bambole.
«Qui stanno comprando solo russi, arabi e cinesi, Diego... i più ricchi.»
«E i danesi no?»
«I danesi stanno bene in Danimarca.»
«E tu allora che ci fai qui?»
«Mi ero appena lasciata con il mio ragazzo e mi sono detta: sai che c’è? Vado a vendere fiori con mia sorella. Noi abbiamo sempre amato i fiori, perché hanno una vita breve, ma bellissima... una vita fatta solo di bellezza. E così mi sono fermata, you know...»
Diego riuscì finalmente a dedicarle qualche minuto di attenzione e si chiese quante persone erano scappate lì per dimenticare qualcuno: se Parigi era la città degli innamorati, Londra era la città dei profughi d’amore. Camminarono per Chelsea Road finché Julie si fermò per controllare il numero civico. Erano arrivati.
Si trovarono davanti a una casetta bianca, uno di quei posti che quando li vedi dici wow, e Diego capì che non bisogna mai dare i calabresi per scontati.
Fu Anastasia a comparire alla porta, accogliendoli con una rosellina in testa e un accenno di ’O sole mio di benvenuto, che li fece subito ridere.
La casa si apriva su un salotto a luci basse e soffitti alti, dominato da divani neri, schermi al plasma, e un tavolo apparecchiato tipo rivista di architettura.
«Benvenuto» disse Nunzio stringendogli la mano.
Indossava una camicia con le iniziali ricamate e sopra un grembiule che smorzava la forma. Per un istante, Diego si sentì rassicurato, anche se non sapeva come comportarsi mentre il padrone di casa stava concentrato sul riso allo zenzero e le due sorelle finivano di apparecchiare.
«Scusa sto casino ma almeno per un piatto preferisco arrangiarmi da solo. A Londra non sa cucinare nessuno, nemmeno chi è pagato per farlo.»
«Ma, Nunzio... io pensavo fosse una cena calabrese!»
«No, dài... Non ti ci mettere anche tu a pensare che noi calabresi viviamo con il salame piccante nella valigia.»
«Ma a me il salame piccante piace...»
Nunzio andò ad aprire il frigo, tirò fuori un salamino e ne affettò un po’ su un tagliere.
«Eccoti servito... appena arrivato da Lamezia.»
Diego si ricordò che con Carmine era cominciato tutto in una cucina. Nunzio, nel frattempo, aveva preso due bicchieri e li aveva appoggiati sul tavolo.
«Intanto non possiamo andare avanti a parlare se prima non facciamo un brindisi alla nostra salute. Vado pazzo per il vino cileno!»
«Be’, anche io.»
Non era vero, ma ormai Diego era in vena di dire cose insensate. Dopo un paio di sorsi, chiese se poteva andare in bagno, il suo solito rifugio nei momenti di imbarazzo. Si sciacquò la faccia, curiosò tra creme e deodoranti, si guardò allo specchio e si sentì un po’ più forte di prima. Le soste tecniche sono indispensabili quando non si è a proprio agio in un posto.
Tornò riguardando l’appartamento con quel misto di ammirazione e di “io comunque non ci vivrei”. A un tratto gli venne il timore di doversi togliere le scarpe, visto che c’era anche un tatami, e non voleva rischiare il calzino bucato.
Decise però di vivere la serata senza stress, si avvicinò a Julie e le parole presero un loro brio grazie anche ad Anastasia, che parlava in un modo piuttosto buffo. Nunzio aveva deciso che se la sua ragazza voleva stare con lui doveva imparare l’italiano, e lei lo aveva preso alla lettera: i danesi sono i calabresi del Nord Europa. Anastasia era cresciuta con il mito del maschio mediterraneo e sognava di cucinare per suo marito davanti a lunghe tavolate di parenti vestiti di nero. In effetti, serviva con modi un po’ da massaia, anche se i piatti, eccetto il riso, arrivavano dal reparto gastronomia di Harrods: un mix di patè, salmoni, ratatouille, formaggi francesi e ogni ben di dio.
«Sai, noi arricchiti siamo così» disse Nunzio a Diego, invitandolo ad alzare il bicchiere per fare cin cin. Si atteggiava da pappone e il riso allo zenzero venne un po’ troppo allo zenzero, ma quando una cena è divertente il sapore dei piatti è meno importante.
Appena le due sorelle si misero a confabulare in danese, i ragazzi si ritagliarono uno spazio per loro:
«Tu mi sa che ti diverti a Londra, eh Nunzio...»
«Sì, ma non mi fido quasi di nessuno. Poi gli italiani di Chelsea sono noiosi... tutti a lavorare nella City. Io faccio import-export di arance, capisci? Con mio padre parlo solo in calabrese, ma lui ci tiene che io sia il fiore all’occhiello della famiglia... e allora mi ha messo in questa reggia per quando vengono a trovarmi i cugini. Ma io vorrei una vita normale!»
«Be’, poi quando la fai cambi idea... E come va con Anastasia?»
«Bene, ormai ci frequentiamo da un po’ di anni. Mi piace perché non mi sta addosso come le italiane che tra un po’ ti soffocano... lavora regolarmente e non mi chiede mai un regalo... e tu, sei innamorato?»
Diego ci mise troppo a rispondere, perché non ricordava più dove aveva messo la maschera che aveva deciso di indossare.
«Lo ero, ma ora sono in un periodo di calma piatta.»
«Che fai domani?»
«Lavoro.»
«Ma di sera, che fai?»
«Forse ho un impegno, ma mi posso liberare.»
«Allora, visto che sei appena arrivato a Londra, ti porto a cena in un bel posto.»
Diego ebbe uno strano presentimento e una lieve eccitazione sembrava pulsargli sul collo, ma riuscì a controllarla. Forse non si trattava solo di Carmine, bensì di una questione generale. Non gli piaceva solo un ragazzo, ma i ragazzi.
Appena se ne rese conto, andò a cercare Julie, le riempì il bicchiere e le disse che non avevano ancora fatto un brindisi.