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Clara si sentiva così inglese che ormai non ricordava più cosa fossero un cornetto e un cappuccino. Un muffin, semmai, o uno scone pieno di burro erano una valida alternativa per colazione, anche se lei preferiva il porridge. Era questo che la rendeva diversa dagli altri italiani che avevano scelto Londra: lei si sforzava di assomigliare agli inglesi a cominciare dal cibo.
Continuava a frequentare il suo ristretto giro di amiche di Londra Nord – Hampstead, per lo più – e a evitare gli italiani di Londra Ovest, cioè tutti. Non conosceva nessuno né di Londra Est né di Londra Sud, che per lei andavano boicottate come le pellicce di lapin.
Aveva un debole per i musical, ma non osava confessarlo. Così ci andava da sola quando le mancava il marito e aveva bisogno di piangere. Aveva visto di tutto, da Mamma Mia! a Priscilla, e ogni volta pensava che l’ultimo spettacolo fosse il migliore.
Clara era molto legata alla libreria, anche se sembrava tenesse sempre un certo distacco, che Ornella non era mai riuscita a scalfire. Ed era così pessimista, che non poteva considerare l’ultimatum di Mr Spacey come una semplice possibilità: per lei era una morte annunciata.
Passò una notte difficile prevedendo il resto dei suoi giorni in casa, in compagnia del suo gatto immaginario, che descriveva a tutti come timido e problematico. Era stata un’idea di suo marito, e quindi lei aveva deciso di mantenerla in vita anche dopo la sua scomparsa. Continuava a divertirsi a far finta di togliere i peli dal divano quando entravano gli ospiti, oppure a chiedere se erano allergici ai gatti.
Quella mattina si svegliò con lo stomaco così chiuso che riuscì a mangiare solo un’omelette.
Pure lei aveva una casetta indipendente non lontano da quella di Ornella, anche se era più elegante: bianca, con due colonne a sostenere l’ingresso e un prato curato in modo maniacale. Era l’abitazione di famiglia di suo marito, e lei l’amava per quello. Prima di accelerare il passo verso Church Hill Road, si sporse tra i nani della signora Phillida e le lasciò un biglietto in cui la invitava per un tè la settimana successiva. I biglietti scritti a mano erano le telefonate che non faceva per il terrore di disturbare. Anche Ornella, ogni tanto, trovava i suoi messaggi dietro la porta, ma anziché leggerli, cercava di indovinare in quale momento fosse passata.
Clara arrivò con quindici minuti di anticipo per ammirare la sua vetrina con la bandiera inglese. Rivedendola, non le sembrò poi così straordinaria, ma non avrebbe potuto confessarlo a nessuno. Accese subito il bollitore e andò al corner dedicato ai suoi clienti inglesi: libri facilitati, quaderni di esercizi, grammatiche e vocabolari.
La prima a entrare, però, fu una ragazza italiana. Cercava qualcosa da leggere visto che le era piaciuto tanto Fabio Volo, e Clara quelle che nominavano Fabio Volo le voleva ammazzare tutte.
La fissò a tal punto che la ragazza iniziò a grattarsi la testa come se avesse i pidocchi. Fu in quel momento che arrivò Ornella.
«Allora, ti è piaciuto Fabio Volo?»
«Tanto.»
«Vedi? Era proprio il tuo libro... adesso magari potresti provare a leggere qualche altro autore, cosa dici? I libri sono come gli amici, ogni tanto bisogna vederne altri.»
Per lei i lettori meritavano tutti la stessa attenzione. La ragazza la guardò come se fosse un oracolo, e Ornella cominciò a mostrarle qualche altro scrittore contemporaneo. I libri glieli passava in modo che lei potesse toccarli. La lasciò sola per qualche minuto e andò a togliersi la giacca. Clara le chiese come al solito se voleva una tazza di tè e Ornella non sapeva più come dirle di no. Poi prese coraggio, provò a modulare la voce e le parlò.
«Come ti accennavo, oggi arriva la Patti qui per qualche giorno... magari ci dà un po’ di idee per tirarci fuori da questa situazione.»
«Ne dubito... chi legge libri per lavoro non è detto che li sappia anche vendere.»
Il pessimismo di Clara era venato di un certo realismo.
«Lo so, ma una testa in più male non ci fa.»
«E quando arriverebbe questa testa?»
«Credo che stia per atterrare, però deve finire dei lavori suoi quindi non so bene quando la vedremo.»
«Be’, tanto starà tutto il tempo a guardarsi le scarpe. Finisci tu con la svanita per Fabio Volo o devo andare io?»
La ragazza guardava Ornella sventolandole i due libri scelti: Tu sei il prossimo e Un calcio in bocca fa miracoli. Aggiunse anche un regalo di compleanno, e il suo slancio mosse Ornella a farle una confezione in stile uovo di Pasqua.
La libreria sembrava un negozio di stoffe che metteva tutti a proprio agio: né troppo grande, né troppo piccola, con volumi accatastati ovunque e tanti angoli dove appartarsi. Sulla porta del retro c’era attaccato un poster di Aprile autografato da Nanni Moretti e dagli scrittori che erano passati da lì. Ma la vera attrazione era la vaschetta accanto alla cassa con due pesciolini rossi chiamati Russell & Crowe, che solo Ornella sapeva distinguere: Russell era quello che faceva i salti, Crowe era più timido e diffidente. Alcuni clienti andavano alla cassa non per pagare, ma per vederli.
Rimaste sole, le due libraie evitarono qualsiasi altro discorso.
Nel frattempo, in aeroporto, la Patti era la protagonista assoluta di “Cercasi Samir disperatamente”. Era così plateale, nella sua solitudine affranta, che un agente l’aveva trattenuta per controllarle il bagaglio. Dopo aver visto la quantità di scarpe, però, aveva desistito, e lei ne aveva approfittato per cambiare quelle che aveva addosso con un paio più adatto per un ritorno a Londra in grande stile. Si sentì profondamente sollevata quando vide l’autista con il cartello “Mrs Patty”, ma precisò che non c’era bisogno né di “Mrs”, né della “y” finale. Era semplicemente la Patti, come Patti Smith.
Samir le sorrise perché, malgrado i dieci anni di Londra, ancora non riusciva a capire bene la lingua e con il sorriso non si sbaglia mai. Le prese il bagaglio e la guardò quell’istante in più che le insinuò subito pensieri maliziosi. Suo marito Adolfo era a Milano, zia Lucrezia era lontana, e le scarpe appena indossate la facevano sentire una femme fatale, anche perché sovrastava il povero indianino. Se solo Ornella l’avesse vista flirtare con lui, l’avrebbe subito rispedita in Italia, per poi supplicarla di tornare. La Patti, in realtà, era molto più seria di quanto volesse dare a vedere.
In aereo, malgrado le adolescenti in gita scolastica che le gridavano alle spalle, si era portata avanti con la lettura delle sue bozze, e anzi aveva trovato un paio di errori piuttosto gravi per quello che doveva essere il bestseller annunciato dell’estate. Anche in auto, quando aveva visto che fare conversazione con Samir era un’impresa, si era sfilata i tacchi di nascosto e aveva continuato a leggere.
Appena si rese conto che la città stava prendendo forma, rimise via i fogli e cominciò a guardare fuori. La guida contromano si confermò ancora una volta una magia che non riusciva a spiegarsi: lei si sarebbe schiantata alla prima curva.
Conosceva Hampstead da quando Ornella ci si era trasferita, perché ogni anno, appena aveva qualche soldo da parte, prendeva un aereo e andava a casa sua.
Quando si incontravano, si sentivano un po’ Thelma e Louise over cinquanta, ma senza Brad Pitt. Le univano le coincidenze, il passato e un po’ di cellulite, che però “fa donna verace”, dicevano.
Arrivati a Golders Green, la Patti fece un piccolo sospiro. Ogni volta che tornava era come se facesse i conti con la propria esistenza, il senso del tempo, il suo tran tran apparentemente sempre uguale, anzi sempre peggio, anche se fingeva che tutto andasse bene.
In realtà, rideva della sua potenziale ricchezza, cosa che suo marito non trovava mai divertente. “Allora convinci tua zia a mollare sui conti correnti” gli gridava lei, per sentirsi subito dire che era attaccata alle cose terrene.
Quando finalmente rivide il cipresso con il nano senza braccio, Samir le aprì la portiera, la salutò e le diede un bigliettino con il suo numero di cellulare: «Per qualsiasi cosa, mi telefoni qui... Patricia...».
Quando la chiamavano Patricia, la Patti sarebbe stata capace di regalarti la Casa Bianca. Per la gioia, non si rese conto che era ancora senza scarpe, per cui scese dall’auto a piedi nudi, come se fosse Jacqueline Kennedy a Capri. Nell’imbarazzo salutò Samir – ora alto quasi quanto lei – con un abbraccio.
Dopo essersi rimessa i tacchi per strada, la Patti si attaccò al citofono di Bernard per ritirare le chiavi, che lui consegnò con la solita educazione. Non le chiese se gradiva una tazza di tè perché l’ultima volta lei aveva accettato e gli aveva raccontato per filo e per segno della zia taccagna e del marito precario.
Quando finalmente la Patti riuscì ad aprire la porta senza scardinarla, trovò il tavolino apparecchiato con marmellate, muffin, pane a fette, succo d’arancia e yogurt. Un biglietto scritto a mano le diceva: “Welcome. Nel frigo trovi lo Chardonnay. Ornella”.