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Quando Ornella era ragazza, il ponte di Castelvecchio le aveva sempre dato l’idea di una prigione, mentre ora le ricordava più un castello. E la vista di San Zeno, in lontananza, le trasmetteva calma. Attraversò il cortile dell’Arsenale e si ritrovò nel quartiere dove era cresciuta e da cui era voluta fuggire.

Via Todeschini sembrava sempre la stessa, di diverso c’era solo un camioncino che vendeva polli allo spiedo, e su un cartello c’era scritto :“Oggi polenta e fagioli a tre euro”. Anche il suo palazzo verde non era cambiato, sembrava solo più piccolo e meno importante. Ornella suonò il citofono senza timore di incontrare i vicini e salì le scale di corsa.

Sua madre fu presa così alla sprovvista che l’accolse in un silenzio irreale, quello che accompagna i regali davvero inattesi.

«Ornella... sei qui. Non ci credo che alla fine sei venuta... Fatti vedere... Sei un po’ sciupata, però.»

«Sono solo stanca. Dimmi che c’è anche papà.»

«È appena andato a fare la spesa, oggi i punti del supermercato valgono il doppio.»

Ornella capì da chi aveva ereditato quella mania.

«Quando i punti valgono il doppio non si possono lasciare scappare. Ma torna?»

«Certo, tra poco sarà qui. Non capirà più niente dall’emozione, preparati... Proprio qualche giorno fa mi parlava di te, vorrebbe ritinteggiare la tua camera come una volta. Color albicocca.»

Ornella deglutì e si chiese perché aveva aspettato tanto a tornare. Sua madre la fece sedere in cucina e cercò di prepararle un caffè con la crema a base di zucchero, come faceva ogni domenica.

Lei si guardava intorno e le sembrava di essere di nuovo ragazzina. I suoi avevano cambiato i mobili, ma la sensazione era che fosse tutto come l’aveva lasciato.

Appese al muro, dietro di lei, una serie di foto incorniciate. Nella più grande, c’era sua sorella Cristina all’isola d’Elba, poco prima che si trasferisse in Germania.

Per Ornella, era la ragazza più bella del mondo e le sarebbe piaciuto assomigliarle almeno un po’. La vedeva ogni anno, quando andava a trovarla a Londra, e Ornella la ospitava offrendole i biscotti di Fortnum & Mason. Erano così cari che li comprava solo in quell’occasione.

«Come sta lei a Düsseldorf?»

«Bene... anche se avere una suocera tedesca non deve essere facile, poveraccia. Diciamo che le mie figlie non hanno mai scelto una strada semplice. Ma ora lei mi pare ben inserita. Tua sorella se l’è sempre saputa cavare, malgrado tutto.»

«Malgrado me.»

«Ornella, devi piantarla di pensare che io faccia sempre i paragoni. Ormai quella storia è chiusa. L’abbiamo dimenticata e per me non esiste più, basta. Lo capisci “basta”?»

«Se lo dici così, sì.»

Sua madre sorrise, finalmente. Versò il caffè e aggiunse la cremina, mettendola quasi tutta nella tazzina di Ornella.

«È per Axel che sei venuta?»

«Be’... sì... Ma volevo vedere anche voi.»

«Non è vero. E allora perché non ti sei mai fatta vedere, anche se ti abbiamo invitato tante volte?»

«Perché sapevo che un po’ ti vergognavi di me davanti agli altri. Il tuo cuore mi chiamava, ma la tua testa sperava sempre che io non venissi... È per questo che hai appeso la foto di tutti, tranne che la mia.»

La madre prese Ornella per mano e la condusse in camera sua. Sul comodino, un solo ritratto: lei da ragazza, sorridente, sullo sfondo del lago di Garda.

«Lo vedi dove sei tu? Qui. Dove mi sveglio e dove mi addormento. Mi piaci perché sei ancora piccola e penso che tu possa darmi retta... e quando sono triste la guardo, e il tuo sorriso mi tira su.»

La madre si accomodò sul letto invitandola a sedersi accanto a sé. Si erano appena sistemate quando sentirono girare la chiave nella toppa. Suo padre era lì, nell’ingresso, carico di borse della spesa.

Appena vide Ornella, le lasciò cadere per terra e iniziò a ridere come un bambino. Erano anni che non si sentiva così contento.

«Ma guarda questa ragazza che arriva senza preavviso... è così che ci si comporta? Che a saperlo ti compravo i funghi!»

Il tono di suo padre era piuttosto alto, più per l’emozione che per problemi di udito. Andò in cucina a svuotare i sacchetti e le lasciò sole in camera.

«Hai visto com’è felice? Tu non ci credi, ma mi hai fatto il regalo più bello della mia vita a venire così, all’improvviso. Lo desideravo tanto, sai?»

«...»

«Una volta dobbiamo fare un Natale tutti insieme qui da noi, anche con tua sorella. Me lo prometti?»

«Te lo prometto.»

«Speriamo solo che non si porti dietro la suocera tedesca che non la sopporto!»

«Ma mamma!!! Un po’ di tolleranza...»

Continuarono a chiacchierare, mentre suo padre trafficava in cucina. Ornella aveva il cuore in subbuglio, ma cercava di essere zen.

«Mi spieghi perché ce l’avevi tanto con Verona?»

«Pensavo di mancarvi di rispetto tornando qui. Io mi vergogno ancora per quello che vi ho fatto passare. Non riuscirò mai a farmene una ragione.»

«Ci ho pensato tanto, in questi anni... a dove abbiamo sbagliato io e tuo padre... a cosa non abbiamo sbagliato con tua sorella, e alla fine sai cosa ho capito? Che bisogna piantarla di farsi certe domande perché le risposte non ci sono. Dobbiamo solo prendere i fatti e cercare le cose buone dentro ai fatti, così come dentro alle persone... e imparare a dimenticare.»

«Io non ce la faccio.»

«Tu devi dimenticare, Ornella, sei ancora giovane. E sei più bella oggi di ieri, perché hai vissuto, sei caduta, e ti sei rialzata da sola. E da ieri quel disgraziato di tuo marito non c’è più.»

«Da chi l’hai saputo?»

«Ho i miei informatori. Ma la cosa che più mi rende felice è vederti di nuovo nella nostra casa. Sei tornata, finalmente sei tornata...»

«Sì, ma riparto nel pomeriggio.»

«A me basta questo.»

Suo padre entrò tutto orgoglioso in camera con un vassoio e due tazze di tè.

«Ormai tu sei un’inglese a tutti gli effetti...»

«Grazie papà... avevo proprio voglia di una tazza di tè!»

Ornella non se la sentì di dire la verità.

Bevvero il tè in salotto perché sul letto erano un po’ scomodi. Sua madre tirò fuori una vecchia Canon e si fecero le foto sul divano a due a due. Per un attimo, Ornella si sentì una star.

Salutò suo padre – che voleva farsi un pisolino – con la promessa di tornare presto, e restò ancora un po’ con sua madre. Più che parlare, stettero una accanto all’altra, perché di quello avevano bisogno.

Prima di andare via, Ornella le appoggiò una mano sulla spalla e la strinse a sé. Quasi non la riconobbe al tatto. Era diventata più piccola e ossuta, come se il tempo l’avesse ristretta. Ma per nulla al mondo avrebbe voluto una madre diversa da com’era, e da com’era stata.