29
Verona accolse Ornella e la Patti con il sole.
Avevano preso una stanza nei pressi di ponte Pietra. La finestra sembrava incorniciare una cartolina: l’Adige che scorreva, qualche tiglio in lontananza e la collina di Castel San Pietro presa d’assalto dagli innamorati. Come al solito, nessuna delle due amiche aveva dormito bene. La Patti aveva iniziato a leggere il secondo volume della trilogia sugli angeli. Alle due, però, aveva avuto un attacco improvviso ed era corsa in bagno. Era proprio un libro indigesto.
Sarebbe dovuta rientrare a Milano ma non poteva lasciare sola Ornella. Aveva anche chiamato la sorella di Axel, che le aveva dato una buona notizia: da qualche giorno suo fratello si sentiva un po’ meglio e aveva ripreso a mangiare, senza mai smettere di chiedere di sua moglie.
Rivedere dopo vent’anni il luogo dove sei cresciuto lascia sempre interdetti. Una città che sembrava addormentata, che nel ricordo era sempre buia o nuvolosa, stava regalando a Ornella una giornata piena di luce.
La sera prima, anche se distrutte, lei e la Patti avevano deciso di fare quattro passi. Erano arrivate al Duomo, avevano camminato lungo il fiume e si erano appoggiate a un muretto a guardare l’acqua passare. Nello sciabordio dell’Adige Ornella aveva rivisto il suo passato autodistruttivo, ma quella notte d’incanto le aveva fatto capire che Verona non c’entrava niente.
Aveva ripensato a sua madre e a suo padre, che vedeva spesso su Skype e incontrava due volte all’anno, quando venivano a Londra in “pellegrinaggio” portandole i funghi porcini surgelati, la sbrisolona e la grappa all’Amarone. E aveva ripensato a sua sorella, che con la sua vita regolare aveva distratto i genitori in quegli anni, anche se poi era andata a vivere in Germania.
Prima di dormire, l’unica cosa che la Patti le aveva detto era stata: “Ricordati cosa ci ripetevamo in comunità: un giorno alla volta. Ora non pensare ai tuoi, ci sarà tempo per loro. Oggi concentrati su Axel”. Lei aveva annuito, pur avendo paura. Avrebbe voluto pregare, ma non ne era più capace. Il suo dio era la speranza.
E malgrado l’entusiasmo che ti può regalare un cielo azzurro, si sentiva di nuovo sola. Per qualche ora, anche la libreria non esisteva più. Se un giorno glielo avessero detto, non ci avrebbe creduto.
Le due amiche si sedettero a un caffè a farsi un cappuccino e la Patti restò mezz’ora davanti alla piccola gioielleria Borsari a sognare un braccialetto. Fu tentata di chiamare la cariatide e chiederle: “Perché vuoi lasciare tutto alla Chiesa? Perché?”, ma si accorse che stava esaurendo il credito telefonico.
Fecero quattro passi in piazza delle Erbe, che sembrava più bella, o forse Ornella non l’aveva mai guardata bene. Girellando per le bancarelle, si persero ognuna per conto proprio e Ornella comprò un maglioncino di cashmere alla sua amica. Non era stagione, ma era in saldo, e lei non poteva immaginare la Patti senza cashmere. Fu però un po’ troppo ottimista con la misura e così dovette tornare a cambiarlo: solo i veri amici hanno il coraggio di dirti che hai sbagliato taglia.
Tutte e due, in realtà, sapevano che stavano solo prendendo tempo.
Dopo aver guardato l’ora per l’ennesima volta, Ornella disse alla Patti che voleva andare da Axel da sola.
«Sei sicura?»
«Sì. Se hai sempre qualcuno che ti tiene la mano, un giorno potresti affogare. Quindi lasciami i riferimenti, dammi gli orari e l’indirizzo della clinica, dimmi tutto e appena me la sento ci andrò. Però ora lasciami sola.»
I rumori del mercato stridevano con il loro stato d’animo, ma le aiutarono a dirsi le cose senza imbarazzo.
«Non aspettare troppo.»
«L’ho aspettato tanto tempo, Axel. Per anni. Ora deve avere un po’ di pazienza lui.»
«Sei la persona più capace di rimandare che io conosca.»
«Non si tratta di rimandare. Si tratta di sopravvivere.»
La Patti avrebbe voluto strozzare la sua amica con la maglia di cashmere.
«Ricordati che hai passato i tuoi anni migliori chiusa in una comunità a disintossicarti dall’eroina, da Axel... da tutti i pericoli legati a lui. Hai perso gli amici. Hai perso di vista la tua famiglia. Ora basta. Ora ci sei tu. Ci sei solo tu.»
«Adesso lasciami sola.»
«Telefonami appena l’hai visto.»
«Stai tranquilla, Patti. Ora dimmi che mi vuoi bene e che sei fiera di me.»
«Io sarò fiera di te sempre. Anche quando fallirai.»
«Tu però non fare shopping con soldi che non hai.»
Ornella la lasciò a malincuore, e mentre la guardava allontanarsi tra le vetrine dei vicoli, le tornò in mente quando l’aveva vista lasciare la comunità a Cetona.
Essendo un cuore ribelle, la Patti non aveva mai accettato l’idea che in comunità non si potessero avere tresche sessuali o sentimentali. “Se non ami te stesso non potrai amare gli altri” ripeteva don Rigoni, ma la Patti sosteneva invece che una cosa non escludeva l’altra. Così aveva ceduto alle avance del giardiniere perché amava i cliché, e da quando aveva letto L’amante di Lady Chatterley quella era diventata una sua fantasia erotica. Lui era il responsabile di tutti quei ragazzi che passavano le giornate a potare siepi e alberi, e il suo ruolo lo rendeva ancora più affascinante. Purtroppo, uno degli spasimanti che lei aveva rifiutato era andato a fare la spia a don Rigoni, che aveva applicato alla lettera il regolamento: la Patti era stata cacciata su due piedi.
Dopo una notte di lacrime e abbracci, Ornella era riuscita a reagire nell’unico modo che all’epoca conosceva: stirando lenzuola. Aveva visto la Patti andare via sulla stradina che portava al cancello, con quella valigia troppo piccola per lei. In quel momento, pensò che non avrebbe mai più trovato un’amica che la capisse più della Patti. E così era stato.
Ora Ornella la guardava con gli stessi occhi mentre si allontanava in via Mazzini. Un filo invisibile la guidava però in direzione opposta, verso luoghi che il tempo non aveva cambiato e a rivederli oggi le sembravano tutti maestosi, anche il liceo Maffei, dove aveva trascorso gli anni felici. Ma per lei Verona era soprattutto l’incubo dell’eroina, la zona delle Cartiere dove aveva trascorso la maggior parte delle sue notti.
Rilesse il biglietto che la Patti le aveva lasciato con l’indirizzo della clinica. Non era lontano da quel punto, ma preferì tergiversare. Cominciò a girovagare lasciandosi guidare dalla memoria, con il terrore che qualcuno la riconoscesse, anche se non era possibile. Perché i suoi amici dell’epoca erano quasi tutti morti per overdose, o si erano suicidati.
A un certo punto si trovò in piazza San Nicolò e si rese conto che non c’era arrivata per caso. Ecco il portone che aveva varcato molte volte. Era lì che aveva bussato quando era rientrata dopo l’arresto di Axel in Germania, e solo lì le avevano aperto.
Si avvicinò al citofono e suonò.
«Chi è?»
«Sto cercando Piero.»
«Sono io. Chi è?»
«Sono Ornella. Sono tornata.»
«Non ci posso credere... Ornella! Sali subito.»
«Non so se mi riconoscerai...»
«Questo vale anche per me.»
Pochi incontri sono più traumatici di quelli che avvengono a vent’anni di distanza, anche se l’affetto e le rughe rendono tutti più indulgenti. Piero era l’unico amico non tossico che Ornella aveva avuto ai tempi in cui viveva in città. Per lei era come un fratello. L’unico che le permetteva di rubare in casa sua facendo finta di niente. “Ma se non rubo agli amici a chi rubo?” gli confessava lei e lui le perdonava anche la sparizione del macinacaffè. Piero aveva provato un po’ di cocaina e basta, capendo subito che la droga non gli interessava.
In compenso aveva visto cadere nella rete un sacco di amici e si era dovuto reinventare il suo mondo di relazioni.
Non avrebbe mai scommesso su Ornella, anche se le voleva bene. Ed era così contento di essere stato smentito da non trovare la forza di parlare: ce l’aveva davanti, con la pelle di un colore finalmente sano, gli occhi spalancati e il sorriso timido di chi non smetterà mai di sentirsi in colpa.
«Sapevo che stavi bene, ma non ero sicuro che fosse vero.»
«E come facevi a saperlo?»
«Be’, sei sempre di Verona. Basta una telefonata e le cose arrivano. E poi suona il citofono e sei tu... e siamo qui. Non sarai mica venuta per vendermi una macchina per fare la fonduta?»
Ornella scoppiò a ridere e per la prima volta trovò comico ciò che in passato era sempre stato un dramma: rivendere gli elettrodomestici.
«Quella macchina per la fonduta era il nostro tesoretto, mio e di Axel. Era un regalo di matrimonio ed eravamo convinti che valesse un sacco di soldi. Dicevamo sempre: vendiamo la macchina per la fonduta, compriamo un po’ di roba e ce ne andiamo in Argentina.»
«E a chi l’avete venduta?»
«Credo alla nostra amica puttana che spacciava perché aveva poco lavoro. Era innamorata di tutte le nostre cose... si era presa pure gli abat-jour. Chissà a te quanti soldi devo ancora...»
Si erano seduti a un tavolo senza convenevoli, ritrovando all’istante la stessa confidenza di un tempo.
«Meno di quello che pensi. A te in quei momenti bastava un piccolo gesto... Ti davo duemila lire ed eri contenta come una pasqua. Salvo che dopo qualche giorno eri di nuovo qui a bussare. Sai qual è il momento in cui ho capito che eri diversa dagli altri?»
«Quando sono riuscita ad allagarti il bagno solo tirando lo sciacquone?»
«No, dài. La volta in cui quel mio amico un po’ losco mi lasciò in custodia un sacchetto di diamanti, e io per l’emozione te li mostrai. Perché per me non eri una drogata, eri innanzitutto un’amica.»
«I diamanti! Ogni tanto me li sogno ancora.»
«Appena suonò il telefono e dovetti andare nell’altra stanza, ti pregai di non toccarli. Quel mio amico sarebbe stato capace di tutto, lo conoscevo bene.»
«Ah, lui era tremendo...»
«Quando tornai, eri ancora lì, e i diamanti pure.»
A Ornella quel gesto di lealtà era costato una lite furibonda con Axel, che era arrivato quasi a buttarla fuori di casa. Lui, ovviamente, sarebbe fuggito con il sacchetto. E mentre lei lo raccontava a Piero, le sembrò che il tempo non fosse passato. Anche quella casa non era diversa da come la ricordava, forse solo meno bella. C’era ancora il divano dove lui la lasciava dormire, davanti alla televisione.
«Fai sempre il giornalista?»
«Sì, più o meno...»
«Sei sposato?»
«Lo ero. Da tre anni mi sono separato e sono tornato qui.»
«Mi spiace.»
«Invece devi essere contenta. Non stavo più bene con lei.»
Senza neanche chiederglielo, Piero versò due bicchieri di vino rosso da una bottiglia già aperta e ne porse uno a Ornella.
«Sei qui per Axel?»
«Come lo sai?»
«Be’, l’ho sempre tenuto d’occhio. Lui non ha mai voluto uscirne, non ci ha nemmeno provato. So che è messo male... ma non ho il coraggio di andare a trovarlo. Non mi ha mai potuto vedere, forse era geloso, non so.»
«Sì, era geloso. Si sentiva onnipotente e non riusciva a concepire relazioni diverse da quella tra me e lui. Forse non ho mai capito come fosse veramente...»
«Siamo tutti un po’ complicati.»
«Sono felice, sai, di essere qui?»
Ornella si lasciò andare sul divano che l’aveva ospitata tante notti ed ebbe la sensazione di essere veramente guarita. Di colpo tutto era a portata di mano, e per una volta comprensibile. E che Piero fosse speciale le era stato sempre chiaro. Anche quando era strafatta e non si ricordava nemmeno il suo nome.