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La Patti si era addormentata sul divano con addosso le orecchie di Topolino.

Ornella non sapeva dove le avesse trovate, e cosa c’entrassero con La Bohème eseguita fino a poco prima, ma la sua amica viveva perennemente su un palco immaginario, finendo poi sempre per spegnersi di colpo. E ora era lì, un po’ Mimì a fine serata, la bocca semiaperta che se si fosse vista avrebbe preso di nuovo i barbiturici, come aveva fatto in passato, prima di incontrare Ornella. L’aveva salvata la vicina di casa che aveva sentito puzza di gas che lei, per non sbagliare, aveva acceso prima di prendere le pillole. Quando si era ritrovata in un letto di ospedale con la flebo al braccio, aveva avuto una crisi isterica e per mesi non aveva più rivolto la parola a nessuno del suo condominio. Protesta che era passata del tutto inosservata facendola sprofondare in un’ulteriore depressione.

La Patti si svegliò di soprassalto e, quando vide gli occhi di Ornella a un palmo da sé, fece un acuto così forte che Bernard, da casa sua, pensò fosse il momento dei bis.

«Patti, stai calma, Patti... sono io... Ornella.»

«Ah, sei tu... meno male. È successa una cosa terribile. Cioè all’inizio mi sembrava una bella notizia e ora invece mi sembra una cosa tremenda.»

«Hai preso un altro chilo?»

«No... peggio.»

«Hai lasciato a Milano un paio di scarpe?»

«No, credo di averle portate tutte. Si tratta della zia Lucrezia... si è sentita male e l’hanno ricoverata in ospedale. Arresto cardiaco... non sanno se supererà la notte.»

Ornella si sentì una stupida ad aver fatto battute inopportune, ma la Patti usava lo stesso registro drammatico anche per le piccole questioni. A lei era sempre stata simpatica la cariatide, anche se l’aveva vista solo in foto, ed era sicura che quell’attaccamento ai beni materiali nascondesse carenze di affetto e forse anche di ferro: essere deboli fisicamente rende tutti più egoisti. Per cui aveva sempre osteggiato i malauguri della sua amica che fantasticava sul “malloppo” che avrebbero ereditato: il sogno della Patti era affittare un jet privato per andare finalmente insieme alle Maldive, che poi a Ornella il mare troppo trasparente faceva impressione.

«Anche tu ti senti in colpa come me?»

«Mah, veramente io non ho mai augurato la morte a quella povera crista... tra l’altro, la casa dove abiti è sua. La credenza del Settecento è sua. Non mi pare che vi abbia trattato proprio così male.»

Davanti alla credenza del Settecento, la Patti ebbe un attacco di pianto, come nei momenti clou dei reality quando portano al concorrente la lettera della moglie lontana. Per fortuna Ornella era lì, con la sua capacità di trovare il lato positivo anche negli errori.

Dopo un’ora già fantasticavano su come gestire l’eredità. A Ornella sembrava prematuro esprimere qualsiasi desiderio, per rispetto della zia. La Patti invece, dopo le Maldive, sognava di fare insieme il world shopping tour, da Sydney a Los Angeles, in cui avrebbero comprato solo scarpe. Certo non aveva ancora messo in conto suo marito Adolfo, che lei raramente includeva nei festeggiamenti. Ma potevano partire separatamente e incontrarsi a Parigi, dove erano stati in luna di miele. Prima, però, la Patti doveva salvare la faccia e correre al capezzale della povera cariatide.

«Devo partire domani, Ornella.»

«Ma domani i voli costano troppo. C’è solo la British...»

«Forse non hai capito che d’ora in avanti possiamo permetterci anche la business class.»

«La business sui voli brevi è proprio da parvenu.»

«Ho sempre sognato di essere una parvenu.»

«Be’, quello anch’io.»

Così sostituirono la tisana con un passito che era lì da due mesi, un record. Bernard, nel frattempo, si era accorto che le due avevano chiuso le finestre e un po’ gli dispiacque non sapere più cosa stesse succedendo.

«Quindi sei appena arrivata e già parti.»

«Sì, Orni... ho chiesto a Adolfo di prendermi il biglietto.»

«E come farò in libreria senza di te?»

«Hai Diego e hai il mio numero di telefono.»

«Ma io non ti voglio disturbare in un momento così.»

«Ti ricordi cosa ci siamo dette quella volta in Toscana? Se ci salviamo, ci salviamo insieme. Siamo due anime gemelle io e te, vero?»

«Più o meno... sì.»

«E tu sei l’unica persona con cui io sento di condividere tutto.»

Il tono del discorso strideva con le orecchie di Topolino che la Patti continuava a indossare, e a Ornella venne un nuovo attacco di riso.

«Ma mi spieghi perché per cantare La Bohème ti sei messa il cerchietto del carnevale di Notting Hill?»

«Come fai a sapere che cantavo La Bohème

«Ero fuori con Bernard a bere cherry e ti abbiamo ascoltato...»

«Cioè, tu eri fuori con Bernard mentre io deliravo e non mi hai fermata?»

«A me un po’ piace quando canti... sei... sei... particolare.»

«Sì, vabbè... ma quindi vi siete visti senza di me?»

«Ma no. Ci siamo trovati a fare due passi e abbiamo bevuto un bicchiere tra vicini di casa... ed è stato... strano.»

«Se è stato strano vuol dire che un po’ ti piace.»

«Sai che sono una donna impegnata.»

«Non sei impegnata, sei solo impegnativa.»

Ornella cercò di cambiare discorso, ma non ci riuscì. Pensò a suo marito Axel che non vedeva da anni e che forse non le mancava più, anche se non lo aveva dimenticato. Ogni tanto si faceva vivo per chiederle soldi, o consigli, e lei era sempre pronta ad ascoltarlo come una crocerossina. Lui era l’unico argomento di cui faceva fatica a parlare con la Patti, che intanto aveva tolto le orecchie di Topolino e aveva iniziato a sistemare le sue scarpe.

Ornella cercò di aiutarla con la lentezza di quando non vuoi che qualcuno vada via. Le chiese se poteva dormire in camera sua, anziché nella stanzetta che le aveva già preparato con tanto di tulipani freschi. La Patti accettò subito, perché anche lei aveva bisogno dello stesso calore.

Stettero sveglie per ore, cercando di ricordare come erano vestite la prima volta che si erano incontrate. La Patti era convinta di avere un abitino giallo, mentre la sua amica sosteneva che fosse in jeans. Di come era vestita Ornella nessuna delle due aveva memoria.

Verso le due avevano ancora gli occhi così a palla che rimaneva solo una soluzione: l’Ansiolin. Ornella lo cercò prima in tasca, poi in borsa, nella scarpiera, lo cercò perfino nel cestello della lavatrice. Doveva averlo dimenticato in libreria. Quando tornò in camera, vide che la Patti aveva tra le mani un acquerello di Axel. Era sul comodino tra le pagine di Jane Austen.

«Lo sai, vero, che tuo marito chiede ancora di te?»

La Patti aveva trovato il coraggio di dirglielo solo grazie a quel disegno.

«Chi te l’ha detto? Sono mesi che non si fa vivo. Ho provato a cercarlo un paio di volte ma il telefono era sempre staccato.»

«Sua sorella. Dice che non sta molto bene... E le ho promesso che te lo avrei detto.»

Ornella avrebbe voluto non una, ma due boccette di Ansiolin.

«Quindi sta molto male?»

«Non lo so esattamente, però è meglio se ti fai viva.»

Le parole pronunciate di notte sembrano sempre più vicine alla verità.

«Non me la sento di vederlo ora. E tornare a Verona sarebbe troppo doloroso...»

«Ma finché tu non chiudi il conto con lui, non potrai fare a meno degli ansiolitici. Ci hai messo vent’anni a non morire, non puoi mollare tutto adesso.»

«Ora devo pensare alla libreria.»

«Sì, ma per la libreria hai ancora due mesi. Pensaci.»

«Sono sempre arrivata in ritardo, ormai sono abituata.»

Non si dissero più niente. Restarono insieme a guardare il soffitto facendo finta di dormire, ma nessuna delle due riuscì più a prendere sonno, né a parlare.