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La libreria senza Ornella sembrava un po’ una casa senza divano.

Bella ma scomoda, che crea imbarazzo a chi entra e non sa dove sedersi. Clara, a dispetto delle sue convinzioni, si ritrovò molto meno pronta a dirigere la baracca. Perché in realtà Ornella aveva un suo ritmo interno che non le faceva perdere mai di vista la prospettiva delle cose. Tutto aveva un che di approssimativo, ma solo in apparenza. Come le massaie che cucinano a occhio e dicono che non sanno mai gli ingredienti e gli viene sempre ottimo.

Clara era ancora dispiaciuta per la freddezza con cui l’aveva salutata ma lei, non meno di Ornella, aveva un brutto rapporto con l’orgoglio, che negli anni era peggiorato. Anche per questo si era preclusa ogni possibilità di cercare una nuova storia, perché se una donna non si piace davanti allo specchio è meglio che non si faccia vedere davanti a un uomo.

I libri erano una via di fuga in cui amava nascondersi, ma non riusciva a condividere quella passione con gli altri. Non si sarebbe mai lanciata come Ornella, che diceva frasi del tipo: “Questa storia le risolleverà la serata”. Il massimo per lei era suggerire che il romanzo era “di facile immedesimazione”.

Entrata in libreria, quel giorno, si sentì spaesata. Sapere che la sua responsabile non sarebbe arrivata, neanche in ritardo, un po’ le dispiacque. I clienti notarono da subito la sua assenza, anche quelli che non avevano a che fare con lei, e Russell aveva smesso di fare i salti nella vaschetta.

A metà mattina, Clara ebbe uno slancio e disse a una signora: «C’è sempre l’istante in cui un libro ti chiama», ripetendo una frase che Ornella aveva pronunciato una volta, e che all’epoca lei aveva trovato ridicola. Non sortì l’effetto desiderato, ma servì a farla sentire per un attimo una libraia di ampie vedute.

Nel pomeriggio tornò invece a essere la solita Iron Lady. Davanti a Diego non voleva mostrare debolezze, malgrado lui facesse di tutto per compiacerla, per cui il loro stare insieme sembrava un esperimento, o una partita a scacchi difficile per entrambi. Lui, in realtà, cercava solo di non pensare alla possibilità di rivedere Carmine, e aveva addosso una specie di adrenalina involontaria.

Come prima mossa, cercò di avvicinarsi a lei come si fa con i bambini che non conosciamo: muovendosi lentamente, senza dargli troppa attenzione, ma non dimenticandosi di loro. E Clara, che era pur sempre una donna, iniziò ad aprirsi alla conversazione. Oltre al gatto, che era un tema troppo personale, Diego le chiese soprattutto dell’inglese, argomento su cui lei s’illuminava ogni volta, fiera di saper fare l’accento di Eton.

«Volevo sapere una cosa, Clara...»

«Dimmi.»

«Il mio inglese fa tanto schif’?»

Ci fu un istante di silenzio piuttosto eloquente.

«Sì, la tua pronuncia fa abbastanza schif’, come dici tu. Se ti va ci possiamo lavorare...»

«Yes, we can.»

Era convinto che il vecchio motto di Obama fosse apprezzato da tutti, ma Clara restò indifferente.

«Prendi quella Bic di cui hai mangiato il tappo e vieni qui.»

Lui corse alla cassa dove c’era la sua penna mangiucchiata.

«La prima lezione è imparare a pronunciare il “th”! Saper pronunciare il “th” è la cifra che distingue tutti. E c’è un solo modo per impararlo alla perfezione. Iniziare a pronunciare le parole con il tappo della penna tra gli incisivi. Prova a dire “I think”.»

«I tink.»

«Ma no, lo devi fare con il tappo, così.»

Gli prese la penna e gliela mise in bocca, con un modo di fare che era un incrocio tra una madre e una madre superiora. E lui, dapprima goffamente, iniziò a pronunciare “I think” con un “th” sempre più naturale. Clara però smorzò subito i suoi entusiasmi.

«La difficoltà è che non puoi parlare con gli inglesi con la penna in bocca. E occhio agli sputi perché il “th” all’inizio fa fare tanti sputi che non sono belli da vedere.»

A Diego venne da ridere e lei si rilassò. Non era un cattivo ragazzo e probabilmente non voleva rubarle i soldi.

Julie entrò in libreria in quell’istante, e Diego scordò tutte le regole appena apprese. Alzò la voce, gesticolò, abbracciò e piazzò subito I tink senza il “th”. Clara fece finta di nulla e tornò nel retro alzando gli occhi al cielo.

Julie era di fretta, ma si sforzava di dire qualche frase in italiano a cui Diego si sforzava di rispondere in inglese, in un trip tutto loro in cui non riuscivano a capirsi. Fino a che lei lo invitò per quella sera a casa di Nunzio anche con sua sorella. Le piaceva l’idea dell’uscita in doppia coppia con due italiani che cucinano la pasta, ti spostano la sedia e ti portano le rose. A lui invece piaceva l’idea di avere una scusa autentica per non incontrarsi con Carmine.

«Vengo volentieri. Devo portare qualcosa?»

«No, no... c’è tutto.»

«Potrei portare i friarielli.»

«What’s friarielli?»

«Magari ti piace il friariello...»

Diego si vergognò di essere sceso così vicino al cliché dell’italiano assatanato. Clara per fortuna non lo aveva ascoltato. Quando però lo sentì che ripeteva a un cliente le sue stesse parole, per la prima volta provò un briciolo di ammirazione nei suoi confronti.

Verso la fine della giornata, contento di così tante emozioni tutte insieme, Diego si ritrovò a canticchiare Fernando degli Abba, certo non la scelta più appropriata se hai dubbi sulla tua sessualità.

Clara, senza farsi vedere, si avvicinò per ascoltarlo e impercettibilmente mimò il labiale di un testo che conosceva benissimo. Quando Diego se ne accorse, si fermò.

«Scusa, Clara, ma ogni tanto devo sfogare

«Non ti preoccupare, fa parte della tua immagine folkloristica. E poi gli Abba ci stanno sempre bene.»

«L’altra sera mi sono visto il film con Meryl Streep e marò... un altro po’ e versavo tutte le lacrime che tenevo...»

Le aveva versate davvero tutte, le lacrime che teneva.

«C’è gente che si commuove facilmente.»

«Tu, Clara, piangi mai davanti ai film?»

«È una domanda molto personale. Però no.»

«Scusami... Ho visto che qui c’è pure il musical...»

«Certo, Mamma mia! Lo fanno da anni.»

«Se ti posso chiedere... Ti piace il musical?»

Se quella domanda gliel’avesse fatta qualsiasi altro uomo sulla terra, Clara si sarebbe di nuovo innamorata.

«Abbastanza.»

«Mi piacerebbe tanto vederne uno.»

«Be’, sei nella città giusta.»

Quello fu il massimo che lei riuscì a dire. Diego le sorrise aggiungendo forse un “già” e tornò a controllare se Carmine gli aveva mandato un sms. A un certo punto ebbe l’impressione che anche Clara stesse cantando Fernando.