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Il quartiere di Camden Town è da sempre un sogno per gli adolescenti di ogni età. Il mercato, i fricchettoni, il sentirsi parte di un mondo più grande. Pur essendo confinante, è diametralmente opposto a Hampstead, e forse per questo Ornella aveva deciso di vivere proprio lì, a un passo dalla tentazione e dal pericolo. Come se non volesse dimenticare che il baratro, se vuoi, è sempre a un passo da te.

Ci era sprofondata a Verona da giovanissima e si chiamava eroina.

Per dieci anni nella sua vita c’era stato spazio solo per la droga. Era la confidente, la psicologa, l’infermiera, l’amante, l’angelo e diavolo. Era lei che l’aveva unita in matrimonio con Axel, ed era lei la causa della loro separazione.

Arrivata all’ultimo bivio, Ornella aveva dovuto scegliere se lasciarsi andare – e morire – o provare a salvarsi.

Una sera, in uno di quei rari momenti in cui riesci a guardare in faccia la realtà, si era resa conto che stava aspettando uno spacciatore insieme a gente così brutta, che si era chiesta: “Che ci faccio qui?”.

Sembravano mendicanti in attesa degli avanzi, e quando finalmente la roba era arrivata, lei aveva salutato tutti dicendo: “Domani non ci vediamo più”.

Nessuno le aveva creduto, e forse non ci credeva neanche lei. Ma ormai l’aveva detto, e cercò con tutte le forze rimaste di essere fedele a se stessa.

Così aveva affrontato la sfida più grande, quella della disintossicazione. Era finita prima in un ospedale psichiatrico, circondata dai matti: i suoi preferiti erano una ragazza che aspettava tutti i giorni una telefonata dalla Carrà e uno schizofrenico che le dava sempre ragione.

Qualcosa era cambiato nella sua testa grazie a una suora cattiva, che ce l’aveva con tutti, ma Ornella le stava simpatica: ogni giorno le regalava una mela o un biscotto o un’attenzione che la faceva sentire unica.

Il tempo in quel periodo era così vago che lei non avrebbe mai saputo dire quanto fosse stata lì: una settimana, venti giorni, sei mesi.

Ricordava solo che una mattina aveva varcato il cancello di una comunità, in Toscana. Ed era stato lì che aveva incontrato la Patti, anche lei caduta nella trappola dell’eroina, solo un po’ meno. Si erano ritrovate a nuotare nel fango e, anziché disperarsi, avevano provato a ridere, anche se non c’era niente su cui scherzare. E a dispetto di tutte le regole della comunità, in cui esisti solo tu e nessun altro – non c’è spazio né per l’amicizia né per l’amore –, loro erano diventate sorelle a prima vista.

“Io mi salverò solo se ci salviamo insieme” avevano pensato all’unisono, senza dirselo mai, ma tenendolo sempre a mente.

La Patti ci aveva messo due anni, a venirne fuori. Ornella dieci, ma non si erano mai perse, né di animo né di vista, malgrado la distanza, malgrado tutto. Perché se lo vuoi, non ti perderai mai.

La Patti aveva capito che Ornella sarebbe stata finalmente libera solo quando avesse affrontato il fantasma di Axel. Lui che non si era mai voluto disintossicare e che l’aveva tentata fino all’ultimo sapendo quanto era vulnerabile, come tutti gli egoisti che sono invidiosi delle tue vittorie.

Axel che ora giaceva in un letto di ospedale, impotente davanti al poco che gli restava da vivere. Lui che credeva di inculare il mondo, aveva perso ogni speranza ma non la lucidità, che gli faceva chiedere continuamente di Ornella. Della sua Ornella.

Neanche lei lo aveva dimenticato, e lo amava pur sapendo che l’altro non avrebbe mai ricambiato quel sentimento nella stessa maniera.

Ora che Axel era in fin di vita, ripetere il suo nome e non quello delle sue ultime compagne era un modo per dirle quanto era stata importante per lui. In fondo lei ne era certa, ma non aveva più voglia di piangere.

Invece quella sera versò tutte le sue lacrime sulla spalla della Patti. Si erano sedute allo Hawley Arms, il pub dove andava sempre a bere Amy Winehouse. Se sei passato indenne dalla droga, i tossici ti faranno sempre un po’ pensare e un po’ soffrire.

A Londra Ornella ne aveva trovati tanti, che le tornarono in mente tutti insieme mentre nelle orecchie le risuonava Back to black e i suoi occhi s’inumidivano di nuovo. La Patti non piangeva e anzi aveva una rabbia tremenda che cercava di sedare. Era lucida come nelle occasioni importanti: lei non esisteva più. In quel momento poteva avere la cellulite, le scarpe basse, la ricrescita e il conto in rosso. L’amicizia per lei era dimenticarsi degli specchi e guardare solo la persona a cui vuoi bene.

Le due donne si sedettero vicino al camino, anche se era spento, perché certi freddi sono difficili da affrontare pure in primavera.

«Dimmi se pensi di smettere di piangere entro la mezzanotte.»

«Spero di sì... Scusami, Patti, lo so che non dovrei comportarmi così, ma è più forte di me.»

La Patti si guardò un attimo intorno minacciando con lo sguardo tutti i curiosi che le osservavano come se fossero l’attrazione del locale. Poi riprese a parlare con il tono più duro di cui era capace.

«Devi piantarla di chiederti perché tu ce l’hai fatta e lui no. Credi di essere onnipotente? Credi che basti un fioretto e una promessa alla Madonna per cambiare la vita degli altri? Tu sai meglio di me che a volte non basta nemmeno la nostra buona volontà.»

«Quindi cosa vuoi che faccia?»

«Innanzitutto voglio che tu dia almeno un sorso a questa birra.»

«Ma perché non beviamo un prosecco?»

«Tu mi hai sempre detto che nel pub di Amy si beve solo birra per tenere vivo il suo ricordo!»

«Uh, è vero. Già mi stavo dimenticando di Amy.»

«Ecco, ora piangiamo anche per lei.»

Ornella emise un sospiro profondo e si lasciò andare contro la spalliera del divano, pronta a sentire le parole che la Patti le ripeteva come un martello.

«Piantala di dover espiare le colpe del mondo. Ti sei fatta dieci anni di comunità. D-I-E-C-I. Per ritrovare te stessa hai perso un sacco di cose... Non hai avuto neanche modo di stare con i tuoi. Hai già espiato abbastanza.»

Ornella diede un lungo sorso alla sua birra e sentì che le forze non l’avevano ancora abbandonata. Se fosse stata un fiore, le sarebbe piaciuto essere la ginestra di Leopardi.

«Perché credi che debba rivedere Axel?»

«Perché tu quel conto non l’hai chiuso. E anche se io l’ho odiato con tutta me stessa ogni volta che ti voleva riportare all’inferno, credo che a modo suo lui ti abbia amato... quasi quanto la droga. Infatti, ora che è costretto a starne fuori, chiede solo di te.»

Ornella aveva il cuore in subbuglio, ma una fiducia incondizionata nel destino che le aveva sempre fatto incontrare le persone migliori nei giorni peggiori.

Si concesse un altro po’ di birra, e si rese conto che attorno a quel bancone c’era un mondo di persone che la stava fissando. “Perché devo piangere qui?” si disse, e provò a reagire.

Le pareti del pub erano piene di foto, dischi in vinile e dediche. E proprio in mezzo a quelle leggende della musica, la Patti convinse Ornella ad affrontare l’ultimo dei suoi spettri. Le accarezzò i capelli come aveva fatto tante volte, in quei giorni sempre uguali in cui immaginavano il loro futuro al di fuori della comunità. Era sempre la Patti a fantasticare sulla loro fuga, perché la sua amica avrebbe preferito restare in quel mondo protetto per tutto il resto della sua esistenza.

«Mi pare di capire che vuoi che vada a trovare Axel a Verona.»

«Sì, è importante. Ti accompagnerò io, saremo insieme, ti sarò vicina.»

«Ma se poi sto peggio?»

«Non puoi stare peggio di così. Tu fingi di attaccarti al presente, alla libreria, ai tuoi piccoli problemi... ma finché non saluterai quell’uomo, non ne uscirai viva. E io con te. Perché se tu stai male, io sto peggio.»

La Patti non era più la compagna di sbronze felici, l’amica ridanciana che sogna di volare alle Maldive con un cappello rosso e un amante indiano. Era il faro che ti dice dove andare quando non ti accorgi di essere nella tempesta. Perché sono in pochi, al mondo, a intuire perfettamente come stai. Solo gli amici speciali, le mamme o i grandi amori.

Ornella la guardò e l’ossigeno tornò a riempirle i polmoni. Lasciò di nuovo cadere la testa sulla spalla della Patti e rimase qualche minuto ad annusare il suo profumo.

Finirono la birra, pensando a un posto dove portare Samir la sera dopo.

«Io non ti dico niente, Patti. Solo due parole: tuo marito.»

«Mamma mia, che stress... Sei la regina dei sensi di colpa.»

«Almeno sono la regina di qualcosa!»

«Piantala, tanto lo sai che alla fine non succederà nulla.»

«Nel caso, non dirmelo. Anzi dimmelo, ma senza i particolari.»

«Sei così bigotta che ti prenderei a sberle... ma non lo farò.»

Ornella finalmente sorrise. A un certo punto, quando vide un gruppo di persone avvicinarsi al microfono, si rese conto che erano capitate a una serata karaoke.

Per omaggiare Amy e la sua amica, la Patti decise di lanciarsi. Era sempre stato uno dei suoi sogni esibirsi dal vivo davanti a una platea di sconosciuti. Come sempre, aveva sottovalutato la situazione. Già mentre si avviava sentì un po’ cedere le gambe. Si sistemò il vestito e cercò di ricordarsi cosa dicevano i cantanti ai concerti, per cui dedicò il pezzo “to wonderful Ornella” indicandola davanti a tutti come se fosse sul palco del Live Aid. Poi provò a cantare Love Is A Losing Game. Fu un’esecuzione così disastrosa che ricevette solo applausi di commiserazione.

Ornella però non se ne accorse e la trovò una performance indimenticabile. Era la prima volta che qualcuno le dedicava una canzone.

Uscirono imbarazzate, e la Patti si nascondeva il volto con le mani, come se volesse schivare i paparazzi. Una volta fuori si aggrapparono l’una al braccio dell’altra e andarono in giro per il quartiere ancora pieno di sogni e di luci. Camminavano a zigzag, mentre i ragazzi le sorpassavano isolati nelle loro cuffie. Girellarono tra le bancarelle e i negozi aperti, e stettero mezz’ora dentro uno stand indiano perché la Patti voleva indossare qualcosa di tipico in vista della cena con Samir. Ma non riuscivano a essere spensierate come avrebbero voluto.

«Se hai deciso di partire, Orni, dobbiamo muoverci perché non so per quante settimane ne avrà Axel. Sua sorella ha detto che è piuttosto grave.»

«Che ne pensi di domani?»

Ornella non aveva mai mezze misure.

«Amica mia, sono appena arrivata... e domani c’è il reading!»

«Patti deciditi. Prima mi dici che non abbiamo tempo, poi vuoi rimandare.»

«Hai ragione. Però aspettiamo un paio di giorni, che dici? Vedrai che Axel non se ne andrà.»

«E perché?»

«Perché non può fare lo stronzo proprio adesso. Tu domani hai la presentazione in libreria e io la cena con Samir.»

«Non sono proprio la stessa cosa. La libreria ha bisogno di me, e io non l’ho mai lasciata in tutti questi anni... neanche con la febbre.»

«Invece devi. Hai Clara. Hai il ragioniere. E non hai alternative.»

«Credi che ce la farò?»

La Patti si fermò, prese Ornella e la portò in un angolo buio e lontano da tutti.

«Lo sai perché sono diventata tua amica? Perché ho capito subito che eri un cavallo di razza, e io volevo vincere. Tutte le volte che pensi di essere una fallita, sappi che se io non ti avessi incontrato mi sarei suicidata vent’anni fa. Quindi, ti prego, fidati di me. Domani concediamoci una tregua e poi andiamo a Verona.»

«Va bene, ma adesso vorrei tornare a casa.»

Aspettarono il bus alla fermata e tornarono a Hampstead cercando di distrarsi. Una vecchietta leggeva assorta un romanzo, noncurante di un gruppo di spagnoli che non stavano zitti un secondo. La Patti evitò di accennare a Ornella che anche i suoi genitori volevano vederla. L’aveva cercata personalmente sua madre, e voleva che sua figlia tornasse a Verona. Ma essere amici significa sapere, innanzitutto, quando tacere.