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Per una settimana ognuno sembrò prepararsi a uno scontro, a volte su più fronti.

Ornella pensò alla libreria per non pensare a Bernard.

Clara pensò al suo gatto immaginario per non pensare alla libreria.

Julie pensò ai fiori per non pensare a Diego.

Diego pensò a se stesso per non pensare né a Carmine, né alla figuraccia con Nunzio.

Patti pensò alla trilogia degli angeli per non pensare alla zia, al giardiniere e all’alluce.

Ognuno aveva qualcosa da rimuovere e un nemico da combattere, che era quasi sempre dentro di sé. Quello è il nemico peggiore, perché conosce alla perfezione i nostri punti deboli e se ne approfitta, facendoci commettere errori anche grossolani.

Ornella, in particolare, dopo quel bacio appassionato aveva preferito sparire, cambiando anche abitudini, uscendo sempre con il cappello, facendo giri strani intorno a casa per entrare quando Bernard non c’era. Una volta una majorette le chiese se voleva far parte della squadra, visto che ronzava sempre intorno alla villetta del signore insospettabile.

Bernard, dopo un paio di chiamate cadute nel vuoto, aveva deciso di non insistere più. Faceva fatica, ma sapeva che Ornella prima o poi sarebbe tornata, o almeno ci sperava, e cercava di concentrarsi sul lavoro, evitando di stare alla finestra. Di fatto, la controllava. Sbirciava con la coda dell’occhio il suo sacchetto della spazzatura, la posta, le finestre, le luci, la televisione. Saperla in casa senza poterla vedere gli sembrava una punizione che non meritava.

Dall’altro lato, Ornella doveva metabolizzare la scomparsa di Axel. Non voleva che Bernard fosse solo una reazione estemporanea per sentire meno dolore, per cui aveva preferito tenere quel pensiero per sé. In fondo sapeva che lui non era solo una distrazione, ma aveva paura ad ammetterlo.

Quando si incrociarono, dopo cinque giorni di silenzio, si salutarono facendo finta di nulla, come amanti clandestini. Si dissero ciao senza aggiungere altro, sapendo che prima o poi sarebbero dovuti tornare sull’argomento. Fosse stato per Ornella, lo avrebbe evitato per sempre, ma il suo futuro non dipendeva più solo da lei.

Diego, intanto, era tornato a salutare Julie senza imbarazzo, e ogni tanto le portava un croissant durante le pause sigaretta. Era un po’ più teso quando c’era anche sua sorella Anastasia, che per fortuna ormai pensava solo alla tratta Copenaghen-Lamezia Terme.

Dopo essere scomparso anche dai radar dei social network, un pomeriggio Carmine riapparve al telefono, mentre lui era per strada.

«Allora sei ancora vivo.»

«Die’, buongiorno... so’ Carmine.»

«Lo so, ti ho riconosciuto.»

«Stai incazzato?»

«E perché dovrei? Mi hai detto “ci vediamo domani” e po’ si’ scumparso. Una risposta ai messaggi manco p’a capa. E nonostante ciò non sono manco incazzato, sono solo dispiaciuto.»

«Dài, mettiti nei miei panni: lei sempre con gli occhi addosso, mi stavo quasi facendo sgamare. Per te è più facile.»

«Ah, per me è più facile? Io mi faccio un culo tanto dalla mattina alla sera, cerco di organizzarmi per venirti incontro... ma hai ragione, il problema sono io, song’ io ca song’ nu strunz’.»

«Non ti avevo chiamato per rovinarti la giornata.»

«Tu non mi stai rovinando la giornata. Mi stai rovinando la vita...»

«Secondo me non stai bene, Diego.»

«Non sto bene solo perché sto parlando con te, quindi forse è meglio se metto giù.»

Non solo attaccò, ma spense il telefono, operazione che non compiva quasi mai. Di colpo si sentì leggero come la piuma di Forrest Gump, peccato che stesse intralciando la strada di tutte le persone che correvano per prendere la metropolitana e che lo guardavano con disprezzo.