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La Patti non disse a Ornella di aver rivisto il giardiniere, e che le aveva detto “buongiorno signora” senza riconoscerla. Per il momento, voleva tenerselo per sé. Fu un duro colpo, che andò a minare le sue labili certezze, perché non c’è affronto peggiore di non essere riconosciuti da chi hai amato tanto, anche se sono passati anni. Vuol dire che non ti ha mai guardato veramente negli occhi.

Come primo effetto, la Patti schiacciò sull’acceleratore. Ormai era convinta che non esistesse auto migliore della Seicento, anche se in realtà doveva solo scaricare la sua rabbia. Per distrarre Ornella, che la guardava perplessa, le disse che ne desiderava una, e che quella aveva bisogno di essere sbloccata dalla monotonia cittadina. Quindi meglio fare i centotrenta in autostrada. E se ogni tanto la marmitta dava qualche colpo di tosse, era più rock.

Il ritorno da Cetona fu più semplice dell’andata, anche se il loro umore andava a fasi alterne, passando dalla nostalgia al rimpianto. L’abitacolo profumava quanto un duty free, perché Maria Grazia aveva regalato a Ornella un mazzo di fiori di lavanda.

La giornata continuava a essere grigia, e sull’Appennino tra Firenze e Bologna la Patti cominciò ad avere qualche ripensamento sul fatto che la Seicento dovesse essere spinta alla massima velocità.

Ornella chiamò Piero per rassicurarlo che avrebbe riavuto la macchina in serata, anche se prima doveva passare da Axel in ospedale. Lui le disse di stare tranquilla, che l’avrebbe aspettata, che potevano andare a cena anche tardi, e lei pensò soltanto che non avrebbe avuto più fame per settimane.

Arrivarono a Bologna con qualche patema e si sentirono entrambe sollevate, perché le curve dell’Appennino non erano proprio una specialità della Patti. Riuscirono anche a riprendere Radio Nostalgia, che trasmetteva Station to Station di Bowie facendole tornare ai tempi passati.

Ornella ripensò a Bernard, a quella chiamata inattesa che aveva ricevuto proprio sotto il suo sambuco, ma non ci volle vedere alcun auspicio. Lei era ancora la moglie di Axel. Finché fosse vissuto, sarebbe stata devota a lui. Più che una donna, sembrava una vedova meridionale.

A Verona furono sorprese dalla pioggia, che veniva giù con violenza. Ornella chiese alla Patti di lasciarla davanti alla clinica e di riportare subito l’auto a Piero.

«Ma poi cos’hai intenzione di fare? Io devo rientrare a Milano perché se slitta la trilogia è un casino e poi ti tocca assumermi.»

«Lasciami vedere Axel e mi sarà tutto più chiaro.»

«Ricordati che non sarebbe male se tu facessi visita ai tuoi. Se tua madre dovesse scoprire che sei qui, non sarebbe contenta.»

La Patti era peggio di una cartella di Equitalia, ed era una delle ragioni per cui Ornella ogni tanto la odiava.

«Prima devo vedere Axel. Poi decido. E comunque Londra mi aspetta.»

«Life is bigger cantano i Rem. Ricordatelo. La vita sa sempre qual è la priorità, e se il tuo cuore ti ha portato qui una ragione ci sarà.»

«Oddio sembri Susanna Tamaro!»

«Scusami.»

Anche in momenti come questi, non perdevano mai la spensieratezza. La Patti la lasciò scendere davanti alla clinica senza particolari raccomandazioni. Le disse solo: «Ci vediamo dopo». Ornella portò con sé il mazzo di lavanda, che forse era troppo ingombrante, ma lei voleva un po’ di Maria Grazia con sé.

Alla reception trovò la ragazza del giorno prima che l’accolse con un’espressione piuttosto seria. «La stanno aspettando» le disse senza aggiungere altro.

Ornella la seguì al piano di sopra, fino alla porta, dove venne fatta attendere. La ragazza entrò e dopo poco uscì accompagnata da una signora vestita di nero che lei aveva conosciuto bene: la sorella di Axel.

Si salutarono con una stretta di mano gelida: «Sei arrivata tardi» le disse, «Axel se n’è andato stamattina».

Ornella sentì un tonfo nella testa e un tuffo al cuore, e si aggrappò ai suoi fiori.

Si mise in modalità stand by, la stessa che assumeva con tutti i clienti dopo una sfuriata. Sapeva che la sorella di Axel la odiava perché la riteneva responsabile della caduta di suo fratello nel tunnel. Ma ci sono tunnel dove entri solo se lo vuoi tu.

«Vorrei salutarlo» disse Ornella aprendo la porta e chiudendosela subito alle spalle. In fondo lei era la donna che più l’aveva amato, aspettato, pregato.

Entrando, non sentì più i suoi respiri.

Axel non era cambiato dal giorno prima, sembrava solo più piccolo. Lo avevano vestito di nero, come una bodyguard da discoteca. Ornella vide una flebo parcheggiata in un angolo e due fialette in un cestino, ed ebbe il sospetto che Axel avesse trovato un complice.

Forse no. Lo guardò e risentì nelle orecchie la finestra del convento sbattere, facendo volare il piccione.

Dopo poco la sorella entrò nella stanza.

«So che sei ancora sua moglie, ma voglio che tu sappia che per noi non sei nessuno. Sono vent’anni che sei sparita. Quindi ti faccio stare qui solo perché l’ho promesso a mio fratello ieri sera, e sono di parola. Ma non ti vogliamo al funerale.»

Ornella si sentì ancora la tossicodipendente di vent’anni prima, ma era troppo amareggiata per mettersi a gridare. Guardò Axel, che restava immobile nel suo abito. Sul comodino c’era una busta chiusa con su scritto “Lady Ornella”. Gliel’aveva lasciata suo “marito” la sera prima.

«Mio fratello mi ha detto di darti questa. L’ha scritta ieri, quando sei andata via. Sappi che se è un testamento lo impugneremo perché Axel non c’era più tanto con la testa.»

«Lo conosco meglio di voi. Non può avermi lasciato nulla che possiate desiderare.»

Lo disse con un tono di cui si sentì finalmente fiera. Decise di voltarsi senza più guardare Axel né sua sorella e uscì dalla stanza.

Lui era dentro la sua busta ed era in compagnia del suo mazzo di lavanda.

Per essere maggio, sembrava autunno. L’acquazzone aveva messo in ginocchio la circolazione e ora tirava un vento fastidioso. Ornella era uscita a piedi dimenticando di chiamare la Patti, Piero, la libreria.

C’era solo lei con il suo passato, che ora si era chiuso. Si avviò per il centro accelerando il passo, rischiando di essere investita. Dopo vent’anni di guida a sinistra, attraversare la strada può diventare un’impresa. La Patti le aveva scritto che era in albergo ad aspettarla: in realtà guardava scorrere l’Adige, in tumulto come il suo stato d’animo, cercando di capire se il giardiniere l’avesse riconosciuta. Rivedeva la scena, mentre lui scaricava i sacchi di terra, e si chiedeva come avesse potuto non fermarsi a parlare con lei. O forse era solo timido e non aveva avuto il coraggio di dirle di più. Però aveva interrotto il suo lavoro, cosa che non faceva mai. Quindi, comunque, l’aveva notata, si diceva per consolarsi.

Ornella, intanto, continuava il suo peregrinare. Voleva un posto dove crollare. Si ritrovò in piazza delle Erbe, che dopo il temporale incarnava una nuova solitudine. Un filo invisibile la guidava nel suo girovagare, e in via Cappello trovò l’unico posto a Verona dove si sentiva compresa: il balcone di Giulietta. Quello da cui aveva sempre sognato di affacciarsi da adolescente e che ora era circondato solo dai biglietti stucchevoli degli innamorati. Si mise sullo scalone ancora bagnato del negozio vicino, appoggiò di fianco a sé il mazzo di lavanda e aprì la busta. Un foglio ben piegato e una calligrafia che non era cambiata.»

“Cara mogliettina,

appena sei uscita dalla mia stanza ho capito che non avresti mai avuto il coraggio di aiutarmi a morire... ti conosco e so che sei una bigotta, sei sempre stata una bigotta. Avresti avuto sicuramente paura di finire all’inferno e ti saresti sentita in colpa per il resto della tua vita. Tu invece l’inferno lo hai già conosciuto e ci sei stata dentro vent’anni. Quell’inferno era la droga e la droga ero io. È vero che quando ci siamo conosciuti eravamo già fatti, ma tu eri agli inizi e ti saresti potuta liberare facilmente... invece ti sei votata a me, che però ero votato a lei e non c’è stato verso di cambiare le cose.

Non sono mai riuscito ad amarti quanto ho amato lei, ma delle donne che ho incontrato tu sei quella che più mi ha reso felice. Solo a te ho cantato le serenate... Va bene... quasi solo a te. Ti ricordi quante? E non so se ti piacevano perché te le cantavo io o perché ci eravamo appena fatti. Purtroppo la droga ci ha alterato anche i sentimenti per cui chissà se ci saremmo mai amati e sposati senza di lei. Forse no, forse avremmo dovuto imparare un nuovo linguaggio... quello che sto provando a usare io, ora, anche se ho un dolore lancinante allo stomaco che spero mi abbandoni presto.

Da qualche settimana sono finalmente pulito e vedo che il mondo non fa poi così schifo. Capisco anche la differenza tra notte e giorno, sole e veglia. Tutto questo solo per dirti grazie per essere tornata a trovarmi, e per non avermi mai chiuso la porta a Londra, né il telefono quando ti chiamavo con le mie paranoie. Ora sei finalmente libera di vivere senza questa zavorra, perché gli egoisti come me ti fanno affogare anche se sei cresciuta in riva al mare. Ora potrai finalmente diffondere l’amore per il quale tutti ti hanno sempre voluto bene... io per primo. Come avrai intuito, quando ho capito che non mi avresti ammazzato, ho trovato un’alternativa e stasera qualcuno mi aiuterà... Sai che con un po’ di soldi si ottiene sempre tutto, anche la morte. Che per me equivale alla vita. Alla tua. Vorrei poterti dire che muoio per te, ma muoio per non soffrire più.

Ciao Ornella, ora piangi un po’, ma poi smettila. Ti ho lasciato un disegno perché ora che non potrò più suonare le serenate dovrai cantarmele tu.

Il tuo bandolero stanco,

Axel

Ornella guardò dentro la busta e ritrovò un piccolo disegno fatto solo a penna. C’era lei, seduta sulla sedia dell’ospedale, con gli occhi segnati e un sorriso indeciso. Aveva un fiorellino in testa e una chitarra al collo. Ornella alzò gli occhi al cielo e capì che aveva ricominciato a piovere.