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Senza un motivo preciso, per due giorni di fila sia Ornella sia Bernard si erano alzati prima del solito.

Entrambi si erano dati un appuntamento non scritto alla finestra, in quella loro nuova abitudine di dare un’occhiata alla casa del vicino. Ornella lo vide mentre lui stava fingendo di cambiare aria. Indossava una specie di accappatoio che lo faceva sembrare un attore, mentre lei aveva una T-shirt con su scritto “I am a stupid girl” di cui si vergognò all’istante.

Un po’ per la sorpresa e un po’ per l’imbarazzo, Bernard la invitò per una tazza di tè. Lei accettò all’istante, anche se iniziare la giornata con un tè le sembrava pure da malati. Dopo vent’anni di Londra, Ornella non aveva ancora capito che era un modo di dire, e che al posto del tè poteva anche chiedere una spremuta d’arancia.

Si buttò sotto la doccia cercando di non ustionarsi, e maledicendosi per non aver ancora chiamato l’idraulico per aggiustare il miscelatore.

Non ricordava l’ultima volta che si era sentita così agitata. Neanche con Axel ai primi tempi della loro storia. A un certo punto si ritrovò al terzo cambio di camicia, che doveva sembrare elegante, casual, stropicciata, stirata, classica e alla moda contemporaneamente. Guardando le cose appese nell’armadio, si rese conto perché l’ultima volta la Patti le aveva detto perentoria: “Io e te dovremmo fare un po’ di shopping”.

Era molto indecisa perché lei aveva certezze solo per i foulard eccentrici, e da quando ne aveva visto uno indosso a Kate Moss, era convinta che anche le ragazze stilose si vestissero così. Alla fine bussò alla porta di Bernard con una camicia bianca dove spiccava la spilletta che le avevano regalato ad Ascot prima della gaffe con il cappello. “Con un tocco di famiglia reale non si sbaglia mai” pensò.

Era la prima volta che Ornella entrava ufficialmente in casa di Bernard da invitata, ed era contenta che fosse poco prima di andare in libreria, così non doveva fermarsi troppo.

Lui la fece accomodare in salotto, e mentre andava in cucina le chiese se preferiva un caffè solubile, ma lei continuò a rispondere tè per non contraddire il galateo.

Rimasta sola, cominciò a curiosare. Si chiese come potesse esistere una casa tanto ordinata a due passi dalla sua. Non poteva certo immaginare che, mentre lei era stata un’ora a cercare la spilletta di Ascot – che quasi non si vedeva talmente era piccola – Bernard aveva fatto sparire tutti gli oggetti fuori posto in una panca che aveva preso allo Spitalfields Market.

Quando lui entrò con il vassoio, la trovò immobile davanti a una foto incorniciata.

«Sì, quella che vedi è la mia ex moglie.»

«Abita qui a Londra?»

«Sì, abitava a Wimbledon. Purtroppo è morta due anni fa, ma non stavamo più insieme.»

«Mi spiace.»

«Non ci parlavamo più da tempo, e ho saputo che era morta solo dopo i funerali... Per questo ho deciso di esporre quella foto. Non puoi dimenticare le persone che ti hanno reso felice, anche se per poco. La vita non è un film dove i colpi di scena sono previsti.»

Sorseggiarono il tè guardando la foto, in piedi, senza commentare.

«Ma non devi essere triste per me, Ornella.»

«Le foto delle persone morte mi mettono sempre malinconia. E se hai notato, sono belle anche quando la foto non è niente di che.»

«Hai ragione, non ci avevo mai pensato...»

Dopo qualche secondo di silenzio, Bernard iniziò a guardare l’orologio cercando di non farsi notare.

«Scusami, ti sto facendo fare tardi.»

«In effetti tra poco avrei un appuntamento, ma finisci con calma il tuo tè... Credevo che saresti venuta subito!»

«Lo so, Bernard, ma...»

«...»

«... ma ho avuto una lunga telefonata di lavoro.»

«Alle otto del mattino?»

«Eh, sì, i libri sono mattinieri.»

Si sarebbe uccisa dopo aver detto “i libri sono mattinieri” ma Bernard pensò fosse un modo di dire italiano mal tradotto. Malgrado l’invito implicito a darsi una mossa, Ornella continuava a tenere la tazza un po’ distante da sé, come se contenesse un’aspirina effervescente. Il tè non riusciva proprio a finirlo.

«Comunque mi sono divertito domenica.»

«Anche con la signora Lovely?»

«Lei ha avuto il suo momento di protagonismo. Chi non lo desidera ogni tanto? E poi l’hai motivata a venire in libreria domani!»

«Però, che memoria... Verrai anche tu?»

«Non so nulla di italiano... ma magari faccio un salto.»

«Sarebbe bello. Se hai amici che vogliono imparare la nostra lingua abbiamo tutto l’occorrente.»

«Una sera poi facciamo una cena come si deve, e decido io dove andare. Posso?»

«Direi che decidi sempre tu.»

«Quasi sempre. Però voglio un sì vero, Ornella. Non come per questo tè che so benissimo che non lo finisci perché non ti piace. Non ti ho mai visto uscire con una tazza da tè in giardino. Solo tazzine.»

«Bernard, ma tu mi spii!»

«Non è che ti spio, è che... ho una memoria fotografica.»

C’era qualcuno che la teneva in considerazione e la osservava, e lei non se n’era mai accorta. Ornella sentì salire una specie di paura e si sforzò di dare una sorsata al tè in modo naturale. Cercò di ricordare come lo beveva Clara, ma non era mai stata brava a recitare. Le faceva davvero schifo ma ormai era tardi per millantare un’intolleranza. Le andò addirittura di traverso e un po’ se lo rovesciò sulla camicia, per fortuna lontano dalla spilletta.

Vedendola conciata in quel modo, Bernard la trovò semplicemente irresistibile, e si chiese perché avesse aspettato tutto quel tempo prima di invitarla. Stava per fare tardi a un appuntamento di lavoro, e per una volta non gliene importava niente.

Ornella se ne accorse e diede finalmente un’accelerata. Avrebbe subito sottoscritto che il peggior espresso batte il tè della regina quattro a zero.

Prima di lasciarla andare via, Bernard cercò una conferma per la cena, che non trovò, e questo lo motivò ulteriormente. Le regalò una boule de neige con dentro un piccolo nano, e lei ebbe la certezza che lui la considerasse una ladra.

Arrivò in libreria felice, e in cuor suo sapeva perché. Clara invece era di tutt’altro umore e le chiese di raccontarle esattamente la sera dei taralli.

«Clara, è stato un successone. Abbiamo venduto ottanta copie!»

«Lo so, avete lasciato gli appunti con gli incassi dappertutto. La privacy per voi è un optional. Dove devi andare oggi?»

«In che senso?»

«Nel senso che non ti vesti mai così per venire in libreria.»

Ornella si sentì sprofondare, ma temette che il pessimismo di Clara portasse un po’ sfortuna, per cui glissò.

«No... è che... non so, oggi mi sentivo da camicia.»

«Poi sei riuscita a sentire la tua amica?»

«Quale amica?»

«Tu hai solo un’amica: la Patti. La bionda che vuole ereditare. Ti ha chiamato ovunque, ma dice che stai diventando sorda. Si sta imbarcando in aeroporto. Ha deciso di farti una sorpresa e arriva nel pomeriggio... vuole esserci domani per il reading con gli inglesi.»

«Ma davvero?»

«Certo che è vero. Ha anche detto di non avvisare Samir che l’ha già chiamato lei. Ha l’offerta “In Inghilterra come in Italia” e può fare telefonate illimitate verso i numeri inglesi. Mi ha tenuto mezz’ora per spiegarmi che ha cancellato pure il massaggio preso su Groupon.»

«Mi spiace, Clara. Come sta il gatto?»

«Benissimo... perché?»

«Ma... non si era aggravata l’intolleranza al salmone?»

Clara si rese conto che stava perdendo qualche colpo. Anche lei non era brava a mentire.

«Ah, il mio gatto, certo! Alla fine il veterinario è riuscito a visitarlo e sospetta un’allergia al polline.»

«Al polline? Ma pensavo che solo gli esseri umani fossero allergici al polline!»

«Tu devi aprire un po’ la mente, non puoi pensare che esistano solo le persone.»

«Scusa se è poco.»

«Hai una visione del mondo molto limitata... Comunque è da ieri che starnutisce. Ora è sotto antistaminico. Ne avrà per una settimana.»

«Ah, meno male, oggi solo buone notizie: l’altro giorno è andata benissimo, tra un po’ arriva la Patti e domani abbiamo il reading di Una sera con Mario il pizzaiolo. Ne abbiamo quaranta copie... non saranno poche?»

«Dubito che verranno molte persone.»

«Dobbiamo dare fiducia a Diego.»

«Adesso dobbiamo dare fiducia pure agli stagisti.»

«Che c’entrano gli stagisti?»

«Ornella, mi hai detto che è uno stagista raccomandato dal console.»

«Ah, il console, è vero! Il console lo rimuovo sempre. Non sono proprio nata per i piani alti!»

Ornella bofonchiò qualcosa imbarazzata e si allontanò. In fondo non tutti riescono a adattarsi ai cambiamenti, e Clara forse avrebbe avuto bisogno di più tempo.

La Patti si presentò sulla porta con una valigia finta di Dolce & Gabbana che Samir le aveva portato fino a lì.

Per evitare la scena dei saluti, Clara si tuffò su un cliente e le lasciò sole.

«Ma non era il caso che ti disturbassi a tornare, dopo quello che hai passato con la zia Lucrezia... o che non hai passato, vabbè datti la tua interpretazione.»

«Invece ho fatto proprio bene a venire, Orni, perché sai con chi vado a cena domani? Con Samir!»

«Se Adolfo sa che lo tradisci con un autista di minicab ti disereda.»

«Ma chi ti dice che lo tradisco? Si chiama “intrattenimento per signore”. Mi viene a prendere domani dopo la presentazione... Ma Diego oggi non c’è?»

A Clara, che ascoltava facendo finta di lavorare, salì ancora di più il nervoso.

«No, oggi deve stare dal barbiere tutto il giorno perché il manager ha un impegno.»

«È davvero tutto molto interessante, ma che ne dici se me lo racconti fuori di qui?»

L’ora della chiusura era però ancora lontana, e così la Patti pazientò osservando le acrobazie di Russell & Crowe, e pian piano si fece coraggio.

Appena rimasero un attimo sole si avvicinò a Ornella in punta di piedi, le appoggiò una mano sulla spalla, si guardò in giro per essere sicura che non ci fosse nessuno, e dopo una piccola esitazione le sussurrò: «Axel sta morendo».