A PROPOSITO DI COME LA VITA PUÒ ESSERE BASTARDA E DI CENTO GRAMMI DI POLVERE IMPALPABILE IN UN’URNA BIANCA
Tamara Suchovej, cameriera, 29 anni
“La vita è bastarda! Te lo dico… non ti fa dei regali. Non ho mai veduto nulla di buono, né di bello in vita mia. Se mi sforzo, non me ne ricordo… Puoi anche ammazzarmi, ma non mi verrà in mente! Ho tentato di avvelenarmi, d’impiccarmi. Ho fatto tre tentativi di suicidio… Ora mi sono tagliata le vene… (Mostra il braccio bendato.) Ecco, qui, in questo punto… Mi hanno salvato e ho dormito per una settimana intera. Non ho fatto altro che dormire. Il mio organismo funziona così… È venuta una psichiatra… Come ti senti, mi ha chiesto: parla, parla… Che cosa dovevo raccontarle? Non ho paura della morte. Fai male a essere venuta e a stare qui. Fai male!
(Si volta verso il muro. Vorrei andarmene, ma lei mi blocca.)
Va bene, ascolta… Ti racconterò tutta la verità…
… Ero ancora piccola… Tornata da scuola, mi ero messa a letto, ma il mattino non mi sono più alzata. Hanno mandato a chiamare il dottore: nessuna diagnosi. Allora si è andati in cerca di una vecchia, una guaritrice. Ci avevano dato un indirizzo… La vecchia ha fatto le carte e ha detto a mia madre: ‘Torni a casa e apra il guanciale di sua figlia e dentro troverà un pezzo di cravatta e degli ossi di pollo. La cravatta l’appenda a una croce sulla strada e gli ossi li dia a un cane nero. Sua figlia si alzerà e camminerà. Hanno gettato il malocchio sulla bambina.’ Non ho mai veduto nulla di buono, né di bello in vita mia… E tagliarsi le vene è una cavolata. Sono semplicemente stufa di vivere… Fin dall’infanzia ho vissuto in una casa dove nel frigorifero c’era solo della vodka. Da noi in campagna tutti cominciano a bere fin da quando hanno dodici anni. La vodka buona è cara e allora bevono il samogon e l’acqua di colonia, il liquido per pulire i vetri o l’acetone. Distillano la vodka dal lucido e dalla colla. I ragazzi muoiono perché bevono quella vodka, si avvelenano. Ricordo un nostro vicino, beve troppa vodka e si mette a sparare pallettoni sugli alberi di mele. Tiene tutti in ostaggio in casa con un fucile… Mio nonno ha bevuto fino alla vecchiaia. A settant’anni poteva bere due bottiglie a sera. Si vantava. Era tornato dalla guerra coperto di medaglie. Un eroe! era andato in giro a lungo nel suo pastrano, a bere, a far festa e gozzovigliare. E la nonna intanto lavorava. Ma il nonno era un eroe. Picchiava a sangue la nonna, io strisciavo in ginocchio ai suoi piedi e lo supplicavo di non toccarla. Lui ci inseguiva con l’ascia in mano… Passavamo la notte dai vicini. Nella rimessa. Ha fatto a pezzi il nostro cane. Dopo il nonno ho odiato tutti gli uomini. Pensavo di vivere da sola. Mi sono trasferita in città… Avevo paura di tutto: delle auto, delle persone. Ma tutti vanno in città e così anch’io. Mia sorella maggiore viveva lì, mi aveva preso con sé: ‘Andrai a scuola, lavorerai come cameriera. Sei bella, Tomka. Troverai un militare come marito. Un aviatore.’ Già… un aviatore… Il mio primo marito era piccolo di statura e zoppo. Le amiche cercavano di farmi cambiare idea: ‘Ma perché proprio lui? Con tanti fusti che ti fanno la corte!’ Ho sempre amato i film di guerra, dove le donne aspettano i mariti al ritorno dal fronte, in qualunque condizione ritornino, senza gambe, senza braccia, ma comunque vivi. La nonna mi raccontava che nel nostro villaggio avevano riportato un uomo senza gambe e che sua moglie l’aveva portato in braccio attraverso il cortile. Ma lui beveva, faceva il diavolo a quattro. Finiva in un fosso e sua moglie lo ripescava, lo lavava in un secchio e lo sistemava nel letto pulito. Pensavo che questo fosse amore… Ho avuto pietà di lui, l’ho coccolato. Abbiamo avuto insieme tre bambini e poi lui ha cominciato a bere, a minacciarmi con il coltello. A letto non mi lasciava dormire… mi coricavo sul pavimento… Avevo quasi un riflesso istintivo, come i cani di Pavlov: mio marito rientrava a casa e io e i miei figli ce ne andavamo. Tutti questi ricordi mi fanno solo piangere… È meglio mandare tutto a farsi fottere! Non ho mai veduto nulla di buono, né di bello in vita mia, solo al cinema. O in televisione. Voglio dire… mai sono riuscita a sognare con qualcuno… a o sentirmi un po’ felice…
Ero già incinta del mio secondo figlio… Dal villaggio era giunto un telegramma: ‘Vieni per il funerale. Mamma.’ Una zingara in stazione me l’aveva predetto: ‘Dovrai fare un lungo viaggio. Seppellirai tuo padre e lo piangerai a lungo.’ Non le avevo creduto. Mio padre era sereno, in salute. La mamma si ubriacava, cominciava a bere fin dal mattino, e lui mungeva la mucca, cuoceva le patate, tutto da solo. Papà l’amava profondamente, lei gli aveva fatto un incantesimo, conosceva dei segreti, dei filtri. Sono tornata a casa… Sto seduta davanti alla bara, piango. La bambina della vicina mi sussurra all’orecchio: ‘La nonna ha ammazzato il nonno con una sbarra di ghisa e mi ha detto di non dire niente. Ha promesso che mi avrebbe comprato dei cioccolatini…’ Mi sentivo fuori di me, mi era venuta la nausea dalla paura… Dall’orrore… E quando tutti se ne sono andati, ho spogliato papà e mi sono messa a cercare dei lividi sul suo corpo. Di lividi non ce n’erano, solo sulla testa aveva un lungo taglio. L’ho mostrato a mia madre e lei mi ha risposto che stava tagliando dei tronchi, il manico dell’accetta si era staccato e l’accetta gli era caduta addosso. Sono rimasta lì a vegliarlo tutta la notte in lacrime… me ne stavo seduta e sentivo che lui avrebbe voluto dirmi qualcosa… Mia madre non si allontanava, era rimasta sobria per tutta la notte, e non mi ha mai lasciato da sola. Il mattino guardo papà e vedo che una lacrima di sangue gli scorre sul viso da sotto le ciglia. Una… due… Le lacrime continuavano a scorrere come se fosse stato ancora vivo… Terribile! Era inverno. Al cimitero abbiamo scavato una fossa con un piccone, rastrellato la terra e fatto un falò con ciocchi di betulla e copertoni di automobili. I becchini hanno voluto una cassa di vodka. Appena sepolto papà, mia madre si è ubriacata. Sedeva tutta allegra, mentre io piangevo… Ancora oggi questo ricordo mi fa piangere a calde lacrime… Mia madre… Colei che mi ha dato la vita… Colei che dovrebbe per me essere la persona più cara al mondo… Non appena sono partita, ha venduto la casa, ha dato fuoco alla rimessa per riscuotere i soldi dell’assicurazione e si è precipitata da me in città. Subito si è trovata un tizio… Lui ha cacciato di casa il figlio insieme alla fidanzata e ha intestato a lei l’appartamento. Gli uomini li stregava, gli faceva qualcosa… sapeva ammaliarli… (Scuote il braccio malato come un bambino.) Il mio invece mi inseguiva col martello, mi ha sfondato la testa due volte. La bottiglia di vodka, un cetriolo per tasca, e via. Dove lo portava tutta quella furia? I bambini avevano fame… Ci nutrivamo solo di patate e nei giorni di festa di patate col latte e con le alici. Se solo osavi chiedergli quando sarebbe tornato, subito ti arrivava un bicchiere in faccia e una sedia volava contro il muro… Di notte mi assaliva come un animale… Non ho mai avuto nulla di buono in vita mia, neppure la più piccola gioia. Vado al lavoro, tutta ammaccata, in lacrime e bisogna sorridere, essere affabili. Il direttore del ristorante mi chiama nel suo ufficio: ‘Basta con queste lacrime. A casa ho già una moglie che è paralizzata da due anni.’ E m’infila la mano sotto la gonna…
Mia madre non è riuscita a vivere neppure due anni col mio patrigno… Telefona: ‘Vieni… Aiutami a seppellirlo. Lo portiamo al crematorio.’ Dallo spavento per poco non svenivo. Ma poi mi sono ripresa, mi sono detta che dovevo andare. Avevo un solo pensiero in mente: e se l’ha ammazzato? Per tenersi l’appartamento tutto per sé e bere e far baldoria. Bisogna sbrigarsi a portarlo al crematorio. A bruciarlo. Prima che i suoi si radunino… Il primo è un maggiore, verrà dalla Germania… Non resterà che un pugno di cenere… Cento grammi di polvere impalpabile in un vasetto bianco… A causa di tutte queste tensioni le mestruazioni si sono bloccate, non mi sono venute più per due anni. E quando mi sono tornate ho detto ai dottori: ‘Toglietemi tutti gli organi femminili, operatemi, non voglio più essere una donna! Né un’amante! E nemmeno una moglie e una madre!’ La mia madre naturale… Colei che mi aveva messo al mondo… Avrei voluto amarla… Quand’ero piccola la pregavo: ‘Mammina, dammi dei baci.’ Ma lei era sempre ubriaca… Papà andava al lavoro e la casa si riempiva di uomini, anche loro ubriachi. E una volta uno mi ha trascinato nel letto… Avevo undici anni… Quando l’ho detto alla mamma, si è scagliata come una furia contro di me. Beveva senza mai fermarsi… Non ha fatto che bere e divertirsi per tutta la sua vita. Ma a un certo punto si deve morire! E lei non voleva. Non voleva affatto morire. Aveva cinquantanove anni: le avevano tolto un seno, e a distanza di un mese e mezzo anche l’altro. Ma si era trovata un amante, più giovane di lei di quindici anni. ‘Portatemi dalla guaritrice!’ gridava ‘Lei mi salverà!’ E continuava a peggiorare… Il giovane l’accudiva, la cambiava, la lavava. Lei non ci pensava proprio a morire… ‘Ma se muoio,’ diceva ‘lascio tutto a lui. L’appartamento, il televisore.’ Voleva offendere me e mia sorella… Era cattiva… E amava la vita. L’amava avidamente. L’abbiamo portata in braccio dall’auto fin dalla guaritrice. La vecchia ha recitato una preghiera e poi ha guardato le carte: ‘Già’ ha detto e si è alzata dal tavolo. ‘Portatela via! Non voglio curarla…’ La mamma ci ha gridato: ‘Andatevene. Voglio restare da sola…’ E la vecchia: ‘Restate!’ Ci ha impedito di andare via… Guarda le carte: ‘Non voglio curarla. Ne ha seppellito più di uno. E quando si è ammalata è andata in chiesa ad accendere due candele…’ La mamma: ‘Per la salute dei miei figli…’ La vecchia: ‘In loro suffragio. Hai chiesto la morte dei tuoi figli. Hai pensato che se li avessi dati a Dio, in cambio tu saresti rimasta viva.’ Dopo aver udito queste parole non sono più rimasta da sola con mia madre. Tremavo. Sapevo di essere debole e che lei avrebbe avuto il sopravvento… quando uscivo prendevo con me la mia figlia più grande e mia madre andava su tutte le furie quando lei chiedeva da mangiare: come, stava morendo, e qualcun altro si permetteva di continuare a mangiare e a vivere. Con le forbici ha fatto a strisce la nuova coperta sul letto e la tovaglia sul tavolo perché non rimanesse niente a nessuno quando lei non ci sarebbe stata più. Ha rotto tutte le stoviglie, ha distrutto e ridotto in polvere tutto ciò che poteva. Non si riusciva a portarla fino in bagno e lei faceva apposta tutto per terra e a letto… per costringermi a pulire. Si vendicava di noi che saremmo rimasti. Che avremmo continuato a camminare e a parlare. Odiava tutti! Quando un uccello si posava sulla finestra, era pronta a ucciderlo. Ma era primavera… Il suo appartamento a pianterreno era invaso dal profumo dei lillà… Aspirava quel profumo e non se ne sentiva mai appagata. ‘Portami un rametto dal cortile’ mi chiede. Glielo porto… Lo prende in mano e in un istante il rametto appassisce, le foglie si accartocciano. Allora mi dice: ‘Fammi stringere la tua mano.’ La vecchia mi aveva avvertito che quando una persona ha commesso del male, la sua agonia è lenta e dolorosa. E che bisogna levare il soffitto o smontare tutte le finestre che ci sono in casa, altrimenti la sua anima non si allontana, non si distacca dal corpo. Ma per nessuna ragione devi prenderle le mani perché la malattia si trasmette, aveva detto. ‘Perché vuoi la mia mano?’ Tace e si rannicchia. Ormai si avvicina la fine… Ma non ci dice niente, non ci indica dove si trovano gli abiti in cui bisogna seppellirla. Né dove sono i soldi che ha messo da parte per la sua morte. La notte temevo che soffocasse me e mia figlia coi cuscini. Non si può mai sapere… Chiudo gli occhi e spio intorno. Come farà l’anima a lasciarla? E che forma avrà… quest’anima? Sarà come una luce o come una nuvoletta? La gente racconta e scrive di tutto, ma nessuno l’ha mai vista. La mattina faccio un salto al negozio e chiedo alla vicina di stare con lei. La vicina le ha preso le mani e la mamma è morta. Nel suo ultimo istante ha gridato qualcosa di incomprensibile… Ha chiamato qualcuno per nome… Chi? La vicina non se lo ricorda. Un nome sconosciuto. L’ho lavata, vestita, senza provare niente, come se fosse una cosa. Come se fosse una pentola. Non provavo più nessun sentimento, i sentimenti erano svaniti. È la verità. Sono venute le sue amiche e le hanno fregato il telefono… Dal villaggio sono venuti tutti i parenti e la nostra sorella di mezzo. Nostra madre giaceva sul letto… Lei le ha aperto gli occhi. ‘Perché tocchi il cadavere della mamma?’ ‘Ti ricordi quando da piccole ci canzonava? Le piaceva farci piangere. La odio.’
Sono venuti i parenti e si sono messi a imprecare… Hanno cominciato a dividersi le cose già di notte, mentre lei giaceva ancora nella bara. Qualcuno ha impacchettato il televisore, qualcun altro la macchina da cucire… Hanno tolto alla morta i suoi orecchini d’oro… Hanno cercato i soldi, ma non li hanno trovati. Io stavo seduta a piangere. Provavo persino compassione per lei. Il giorno dopo l’abbiamo cremata… Avevamo deciso di portare l’urna al villaggio e di seppellirla accanto a nostro padre, anche se lei non voleva. Voleva costringerci a non seppellirla accanto a lui. Aveva paura. Esiste davvero un aldilà? Un luogo dove lei e papà s’incontreranno… (S’interrompe.) Di lacrime me ne sono rimaste poche… Mi stupisco io stessa di quanto tutto mi sia diventato indifferente. La morte, la vita. Le brave persone, quelle cattive. Non me ne frega niente… Quando la sorte non ti ama, non hai scampo. Non si fugge a un destino segnato. Già… Mia sorella maggiore, quella dalla quale avevo vissuto, si sposava per la seconda volta e si trasferiva in Kazachistan. Io le volevo bene… me lo sentivo. Il cuore me lo diceva… ‘Non sposarlo’, insistevo. Il suo secondo marito chissà perché non mi piaceva. ‘È una brava persona. Mi fa compassione.’ A diciotto anni era stato sbattuto in un campo di detenzione: aveva accoltellato un ragazzo in una rissa tra ubriachi. Gli avevano dato cinque anni e dopo averne scontati tre, era tornato. Aveva cominciato a frequentare la nostra casa e a portare dei regali. Sua madre incontra mia sorella e cerca di convincerla. La prega. Le dice: ‘Un uomo ha sempre bisogno di qualcuno che l’accudisca. Una buona moglie per un marito è un po’ come una madre. Da solo un uomo diventa come un lupo, anche dal pavimento potrebbe mettersi a mangiare.’ Mia sorella le aveva creduto! Era piena di compassione come me. ‘Lo trasformerò in un essere umano.’ Erano rimasti insieme a me a vegliare la bara della mamma per tutta la notte. E lui era così buono e affettuoso con mia sorella che l’avevo quasi invidiata. Una decina di giorni dopo ricevo un telegramma: ‘Zia Toma, venga subito. La mamma è morta. Anja.’ Era stata sua figlia di undici anni a mandare il telegramma. Avevano appena portato via una bara che già ce n’era pronta un’altra… (Piange.) Quando beveva diventava geloso. L’aveva calpestata, trafitta con la forchetta. E aveva violato il suo cadavere… Forse era troppo ubriaco o fatto… Non lo so… Ma il mattino dopo aveva comunicato al lavoro che sua moglie era morta e gli avevano dato i soldi per il funerale. Li aveva passati alla figlia ed era andato a costituirsi alla polizia. La bambina ora vive a casa mia. Non vuole andare a scuola, ha qualche problema al cervello, non riesce a memorizzare nulla. È paurosa… ha paura di uscire di casa… E lui… lui è stato condannato a dieci anni e farà in tempo a tornare da sua figlia. È suo padre, no?
Dal mio primo marito ho divorziato e mi sono detta che mai e poi mai sarebbe entrato un altro uomo a casa mia. Non glielo avrei permesso! Mi ero stufata di piangere, di andarmene in giro coperta di lividi. E la polizia? La prima volta sono venuti dopo la telefonata, e la seconda: ‘Sono litigi famigliari’ hanno detto. Un piano sopra il nostro… un marito ha ucciso la moglie e allora sono arrivati con la macchina a sirene spiegate, hanno redatto il verbale e l’hanno portato via in manette. Ma lui da dieci anni non faceva che schernirla… (Si percuote il petto.) Non amo gli uomini. Li temo. Come avrò fatto a sposarmi una seconda volta non lo so. Era tornato dall’Afghanistan con una commozione cerebrale, era stato ferito due volte. Un paracadutista! Porta ancora la maglia a righe della divisa. Viveva con sua madre nella casa di fronte. Il cortile era in comune. Usciva e si sedeva a suonare l’armonica, o accendeva il registratore. Canzoni ‘afghane’, tristi… Pensavo spesso alla guerra… avevo sempre avuto paura di quel maledetto fungo atomico… Mi piaceva quando le giovani coppie dopo essersi registrate all’Ufficio matrimoni, andavano a deporre i fiori sulla tomba del milite ignoto. Quanto mi piaceva! Era così solenne! Una volta mi siedo accanto a lui sulla panchina: ‘Che cos’è la guerra?’ ‘La guerra è quando ti viene voglia di vivere.’ Mi faceva compassione. Non aveva mai conosciuto suo padre e sua madre era invalida dall’infanzia. Se avesse avuto un padre, non l’avrebbero mai mandato in Afghanistan. Il padre si sarebbe dato da fare, avrebbe allungato dei soldi come facevano gli altri. Ma lui e la madre da soli… Vado nel loro appartamento: un letto, delle sedie, una medaglia afghana appesa al muro. Provavo pena per lui e a me non ho proprio pensato. Abbiamo cominciato a vivere insieme. È venuto da me con un asciugamano e un cucchiaio. E ha portato la sua medaglia e la sua fisarmonica.
Trasfiguravo tutto… fantasticavo che era un eroe… un difensore della Patria… Gli ho messo una corona in testa e ho convinto i miei figli che lui era il nostro zar. Che vivevamo con un eroe! Aveva compiuto il suo dovere di soldato e aveva sofferto profondamente. Gli avrei dato il mio affetto… l’avrei salvato… Una Madre Teresa! Non sono molto credente, nelle mie preghiere mi limito a dire: ‘Perdonaci, Signore!’ L’amore è una vera piaga… Cominci a provare compassione… Se ami, provi compassione… È la prima cosa… Nel sonno ‘correva’: le gambe non si muovevano, ma i muscoli erano in movimento come quelli di un uomo che sta correndo. Di notte gridava: Dušary! Dušary! (Così chiamavano i mujaheddin.) Chiamava il comandante e i compagni: ‘Aggirateli dal fianco!’ ‘Lanciate le granate!’ ‘Fateci schermo col fumogeno!’… Una volta per poco non mi ammazzava perché avevo cercato di svegliarlo: ‘Kolja! Kolja! Svegliati!’ A dire il vero, l’ho persino amato! Ho imparato molte parole afghane: zindan, bočata, duval, barbuchajka… ‘Chudo Chafez!’ ‘Addio, Afghanistan!’ Per un anno siamo stati bene insieme. È la verità. I soldi non mancavano, gli portavo la carne stufata in scatola, il suo piatto preferito dai tempi dell’Afghanistan. Salivano sulle montagne e si portavano stufato e vodka. Ci insegnava come si prestano i primi soccorsi, come si fa a riconoscere le piante commestibili e a catturare gli animali. Diceva che la tartaruga ha un sapore dolce. ‘Ma sparavi alle persone?’ ‘Laggiù non c’è scelta: o tu, o loro.’ Gli perdonavo tutto per le sue sofferenze… Mi sono messa questo cappio al collo con le mie mani… E ora… Gli amici lo trascinano a casa di notte e lo depositano sulla porta. Senza orologio e senza camicia… Mi telefonano i vicini: ‘Vieni a prenderlo, Tamara! Con questo freddo finirà al Creatore.’ Lo trascino dentro casa. Piange, urla, si rotola sul pavimento. Non riesce a tenersi nessun lavoro: né quello di guardia di sicurezza, né di custode… Ha bisogno di bere e sbronzarsi. Si è bevuto tutto… Non sai mai se quando verrà a casa mangerà, oppure no… Se ne sta lì rincoglionito o guarda il televisore. Dai vicini c’è un affittuario, un armeno. Dice qualcosa che non è andato a genio a mio marito. Finisce per terra coperto di sangue, coi denti fracassati e il naso rotto. Non ama gli orientali. Ho paura di andare con lui al mercato, i venditori sono tutti uzbeki e azeri. Non si sa mai… Lui ha un detto: ‘C’è un bullone per ogni fottuta vite.’ A lui abbassano i prezzi, non insistono: ‘Ah, gli afghani… sono tutti rabbiosi!’ Picchia i bambini. Il piccolo gli vuole bene, gli salta sulle ginocchia e lui ha provato a soffocarlo col cuscino. E adesso quando lui apre la porta, il piccolo corre nel suo letto e chiude gli occhi fingendo di dormire per non essere picchiato o nasconde tutti i cuscini sotto il divano. Io non riesco a far altro che piangere… o… (Mostra il braccio bendato.) Nel Giorno dei paracadutisti… si raduneranno i suoi amici… indosseranno tutti come lui la maglia a righe… E berranno come maiali! Vomiteranno in giro nel mio gabinetto. Si sono bevuti il cervello… Sono in preda a un delirio di onnipotenza: Noi siamo stati in guerra! Siamo cazzuti! Il loro primo brindisi sarà: ‘Tutto il mondo è merda, tutte le persone sono bastarde e il sole un fottuto fanale.’ E così fino al mattino: ‘Alla memoria!’ ‘Alla salute!’ ‘All’ordine!’ ‘Che tutti possano crepare!’ Le loro vite non sono andate per il verso giusto. Non so dirle se per la vodka o per la guerra. Sono cattivi come lupi! Odiano tutti i caucasici e gli ebrei. Gli ebrei li odiano perché hanno ucciso Gesù Cristo e mandato a monte l’opera di Lenin. La loro vita a casa non è allegra: si alzano, si lavano e mangiano. Una noia mortale! Se li chiamassero sarebbero pronti a partire immediatamente per la Cecenia. A fare gli eroi! È come se si sentissero tutti offesi: dai politici, dai generali, da chi laggiù non c’è andato. Specialmente da questi ultimi… soprattutto da loro… Molti, come il mio, non hanno nessuna specializzazione in particolare. L’unica specializzazione è andare in giro armati di pistola. Dicono che bevono perché si sentono offesi… Ahi-ahi! Ma bevevano anche laggiù e non lo nascondono: ‘senza i suoi cento grammi di vodka un soldato russo non ci arriva fino alla vittoria’ ‘abbandona uno dei nostri nel deserto e nel giro di due ore sarà ubriaco, ma l’acqua non l’avrà trovata’. Bevevano l’alcol denaturato, il liquido dei freni… A causa dello stordimento, delle sbronze finivano male: tornavano a casa e qualcuno si impiccava, a qualcun altro sparavano durante un litigio, uno l’avevano pestato a tal punto da renderlo invalido… e un altro era uscito di testa e l’avevano rinchiuso in manicomio… E questi sono solo i casi di cui sono a conoscenza. Chi lo sa, quanti altri ce ne sono… I capitalisti… sì, i nuovi russi… li ingaggiano, gli danno qualche soldo perché li aiutino a incassare i debiti. Non si fanno problemi a sparare, non risparmiano nessuno. Un poppante di vent’anni che possiede folli quantità di denaro, e loro hanno solo le medaglie. La malaria, l’epatite… Dovrebbero avere compassione di lui? Di loro nessuno ha compassione… Hanno voglia di ammazzare… Questo non scriverlo… Ho paura… Non perdono tempo a parlare: al muro, e via! Vogliono andare in Cecenia perché lì sono liberi, lì non rispettano i russi… e sognano di portare pellicce alle loro mogli. Anelli d’oro. Anche il mio partirebbe subito, solo che non prendono gli ubriaconi. Di uomini sani ce n’è a sufficienza. Tutti i giorni le stesse parole: ‘Dammi i soldi!’ ‘No, non te li do.’ ‘In ginocchio, cagna!’ E mi colpisce. E poi si siede e piange. Mi dà il tormento: ‘Non lasciarmi!’ Per tanto tempo ho avuto compassione di lui… (Piange.)
La compassione è bastarda… Non le consentirò più di agire… Non farti soffocare dalla compassione! Cibati del tuo vomito col tuo cucchiaio e strozzati! Mangialo! Perdonami, Signore, se davvero esisti, perdonami!
Torno la sera dal lavoro… La sua voce. Sta tenendo una lezione a mio figlio. Conosco già a memoria le sue parole: ‘Stop! Ricordati. Lanci una granata dentro la finestra e poi una capriola sul fianco. A terra e un’altra capriola per imboscarti dietro la colonna…’ E giù ingiurie. ‘Quattro secondi e sei sui gradini, tiri un calcio alla porta e la apri, a sinistra hai il mitra. Il primo cade a terra… Il secondo gli passa davanti di corsa… Il terzo lo copre… Stop! Stop!! Stop…’ (Grida.) Che angoscia! Come posso fare per salvare mio figlio? Fuggo dalle mie amiche. Una mi dice: ‘Devi andare in chiesa a pregare.’ Un’altra mi porta dalla medicona… A chi potrei rivolgermi? Non ho più nessuno a cui rivolgermi. La guaritrice era vecchia, sembrava Scheletro senza morte.1 Mi ha detto di tornare l’indomani con una bottiglia di vodka. È andata su e giù per l’appartamento con la bottiglia, mormorando delle parole, ha passato le mani sulla bottiglia e poi me l’ha restituita: ‘Ho fatto un sortilegio sulla vodka. Gliene darai un bicchierino per due giorni e il terzo non vorrà più bere.’ E a dire il vero, non ha bevuto per un mese. Ma poi ha ricominciato: irrompe in casa ubriaco frignando, fa fracasso con le pentole in cucina e pretende che gli si dia da mangiare… Ho trovato un’altra fattucchiera… Mi ha fatto le carte e ha versato del piombo fuso in una tazza dove c’era dell’acqua. Mi ha insegnato degli scongiuri molto semplici con del sale, un pugno di sabbia… Ma non è servito a niente! Dalla vodka e dalla guerra non c’è cura che guarisca! (Scuote il braccio malato.) Oh, come sono stanca! Non mi rincresce più per nessuno… né per i bambini, né per me stessa… Non cerco mia madre, ma è lei a comparire nei miei sogni. Giovane e allegra. È sempre giovane e ride. Cerco di scacciarla… E allora rivedo in sogno mia sorella. Lei è seria e non fa che chiedermi: ‘Pensi di poterti spegnere così come una lampadina?’ (S’interrompe.)
È proprio vero. Nella mia vita non ho mai veduto niente di bello. Né lo vedrò ormai. Ieri è comparso da me in ospedale: ‘Ho venduto il tappeto. I bambini hanno fame.’ Il mio tappeto preferito. C’era solo una cosa bella a casa nostra… Una cosa sola… Avevo risparmiato per un anno intero i soldi, copeco dopo copeco. Lo desideravo tanto quel tappeto… Un tappeto vietnamita… Ma lui l’ha venduto di punto in bianco, per pagarsi da bere. Delle compagne di lavoro sono accorse da me: ‘Tomka, sbrigati a tornare a casa. Il piccolo gli dà fastidio e lo picchia. E la grande (sua sorella) ha già dodici anni… Sai, come succede… quando si è ubriachi…’
La notte sto distesa nel letto, senza riuscire a dormire. E poi è come se sprofondassi in una fossa e volo chissà dove. E non si sa in quale stato mi risveglierò il mattino. Ho dei pensieri orribili…”
Quando ci salutiamo, inaspettatamente mi abbraccia.
“Ricordati di me…”
Un anno dopo ha tentato un’altra volta il suicidio. Questa volta con successo. Il marito, come ho appreso, si è trovato rapidamente un’altra donna. Le ho telefonato: “Mi fa pena.” mi ha detto. “Non lo amo, ma mi fa pena. C’è solo un guaio: ha ricominciato a bere, ma mi ha promesso di smettere.”
Indovinate come prosegue la storia?