A PROPOSITO DI UN’ALTRA BIBBIA E DI ALTRI CREDENTI

Vasilij Petrovič N., membro del partito comunista dal 1922, 87 anni

“È vero… ci ho provato… ma i dottori hanno deciso di riacchiapparmi. Come se sapessero quel che c’è dall’altra parte. Io, s’intende, sono da sempre ateo ma, con la vecchiaia, non così convinto come un tempo. Ti trovi a tu per tu con questo… con il pensiero che te ne devi andare… chissà dove… e vedi le cose in modo diverso… con un altro sguardo… la terra, la sabbia. Non posso guardare la sabbia, la solita sabbia, senza provare un non so che… Sono vecchio da troppo tempo. Me ne sto col gatto alla finestra. (Ha il gatto sulle ginocchia. Lo accarezza.) Poi accendiamo il televisore…

E sicuramente… non avrei mai immaginato di dover vivere fino a vedere un giorno dei monumenti ai generali bianchi. Prima, chi erano gli eroi? I comandanti rossi… Frunze, Ščors… E adesso sono Denikin, Kolčak…1 Anche se c’è ancora gente che ricorda di quando quelli di Kolčak ci impiccavano ai lampioni. E allora, come la mettiamo: vuol dire che hanno vinto loro, i ‘bianchi’? E io ho combattuto, combattuto e combattuto. Per che cosa? E costruito, costruito… Che cosa? Se fossi uno scrittore, me le scriverei da me le mie memorie. Ho sentito tempo fa una trasmissione alla radio dove si parlava della mia fabbrica. Quella di cui sono stato il primo direttore. E hanno parlato di me come se non ci fossi più, fossi defunto. Ma io sono vivo… Non potevano neanche immaginare che potessi essere ancora qui… Già cose che succedono… (Ridiamo in tre. C’è anche un suo nipote, che segue la conversazione.) Mi sento come un reperto archeologico dimenticato nei depositi di un museo. Un cranio impolverato. Avevamo un grande impero che si estendeva da un oceano all’altro, dal circolo polare artico ai tropici. Che fine ha fatto? È stato sconfitto, senza bisogno della bomba… senza un’Hiroshima. È bastata Sua Maestà il Salame! Ha vinto l’Abbuffata generale. E la Mercedes-Benz. All’uomo non serve altro, non offritegli niente più di questo, non è il caso, solo pane e spettacoli! La più grande scoperta del XX secolo. La risposta a tutti i grandi umanisti. E ai sognatori del Cremlino. Noi invece… la mia generazione… avevamo dei progetti grandiosi. Sognavamo la rivoluzione mondiale: ‘Per la rabbia del borghese / Bruceremo ogni paese.’2 Volevamo costruire un nuovo mondo, rendere tutti felici. Credevamo fosse possibile, ci credevamo sinceramente. Davvero! (Gli manca il respiro per un accesso di tosse.) Quest’asma è un tormento. Mi scusi… (Pausa.) Ecco, sono vissuto abbastanza per vedere il futuro che era nei nostri sogni. Per questo futuro si moriva e si ammazzava. Ha richiesto molto sangue… il nostro e quello degli altri… ‘Vai e muori senza rimpianto! / Non si muore invano se la causa è grande, / E se il sangue versato è abbondante…’, ‘Giammai un cuore stanco di odiare / Sarà capace di veramente amare…’3 (Con aria sorpresa.) La memoria c’è ancora… Non ho dimenticato. La sclerosi non s’è portata via proprio tutto. Non definitivamente. Queste poesie le imparavamo ai corsi di istruzione politica… Quanti anni saranno passati…? Ho paura a dirlo…

La cosa che mi sconvolge? Che mi fa disperare? Vedere il nostro ideale calpestato, l’anatema lanciato contro il comunismo. Tutto è andato in frantumi. Io sarei un vecchio rimbambito. Un maniaco sanguinario. È così, non è vero? Vivo da troppo tempo, non si dovrebbe… non è opportuno… anzi è pericoloso. La mia epoca è finita prima della mia vita. Invece bisognerebbe vivere e morire con la propria epoca. Come i miei compagni… sono morti giovani, a venti o trent’anni, con la loro fede, la loro rivoluzione nel cuore, come si diceva allora. Li invidio. Lei non può capire… Li invidio… ‘Il nostro giovin tamburino è morto…’4 È morto gloriosamente! Per una grande causa! (Si fa pensierosa.) Sono sempre vissuto accanto alla morte ma non era in cima ai miei pensieri. Questa estate mi hanno portato in campagna. Non mi stancavo mai di guardare la terra… è viva…”

“Morte e assassinio non sono proprio la stessa cosa. Lei è vissuto in mezzo agli assassinii, o sbaglio?”

(In tono stizzoso.) “Per domande del genere… sarebbe finita a ingrassare i vermi. La scelta era tra i lager del Nord5 e la pena capitale, il risultato lo stesso… Nessuno ci faceva domande del genere ai miei tempi! Noi ci immaginavamo una vita giusta, senza poveri e ricchi. Davamo la vita per la rivoluzione, da idealisti… disinteressati… I miei amici non ci sono più, sono rimasto solo. Non ho nessuno con cui parlare… Ma di notte chiacchiero proprio con quelli che se ne sono andati… Lei però… non conosce né i nostri sentimenti né le nostre parole: ‘requisizione delle eccedenze’, ‘reparto di approvvigionamento’, ‘privato dei diritti’, ‘comitato dei poveri’… ‘disfattista’, ‘ripetente’…6 Per lei è sanscrito! O geroglifici! La vecchiaia significa anzitutto solitudine. L’ultimo mio conoscente, un vecchio anche lui, che viveva nella casa qui accanto, è morto cinque … forse anche di più… sì… sette anni fa… Ormai qui attorno sono tutti degli sconosciuti. Ogni tanto viene a trovarmi qualcuno: da un museo, un archivio, un’enciclopedia… Io sono un prontuario… un archivio vivente. Ma non ho interlocutori… Con chi mi piacerebbe fare un po’ di conversazione? Magari con Lazar’ Kaganovič.7 Ormai siamo rimasti in pochi, e di quelli ancora vivi, pochi sono ancora in grado di ragionare. Lui è più vecchio di me, ha già novant’anni. Hanno scritto sui giornali… (Ride.) che i vecchi del cortile si rifiutano di giocare con lui a domino. A carte. Lo cacciano proprio: ‘Assassino!’ Questo lo fa piangere per l’umiliazione. E dire che un tempo era un commissario del popolo dal pugno di ferro. Firmava le liste delle persone da fucilare, ha fatto morire decine di migliaia di persone. È stato per trent’anni accanto a Stalin. E adesso che è vecchio non ha nessuno con cui fare una partitella a carte, o calare sul tavolo le tessere del domino… I semplici lavoratori gli fanno sentire il loro disprezzo. (Prosegue abbassando la voce e riesco ad afferrare solo poche parole.) È terribile… vivere a lungo è terribile…

… Non sono uno storico o cose umanistiche del genere. È anche vero che un tempo sono stato direttore del nostro teatro cittadino. Lavoravo nel settore a cui mi destinava il partito. Gli ero devoto in tutto e per tutto. Della mia vita ricordo poco, ricordo solo il lavoro. Il paese era tutto un cantiere… un altoforno… una fucina! Certo oggi nessuno lavora come lavoravamo noi allora. Dormivo tre ore per notte. Tre ore… Rispetto ai paesi sviluppati eravamo in ritardo di cinquanta o cent’anni. Un secolo intero. Il piano di Stalin era di raggiungerli in quindici o vent’anni. Il famoso balzo in avanti. E noi ci credevamo, li avremmo raggiunti! Oggigiorno la gente non ha più una fede, noi invece l’avevamo. E non avevamo difficoltà a credere. I nostri slogan: ‘Risolleviamo con i nostri sogni rivoluzionari l’industria dalle macerie!’, ‘I bolscevichi devono padroneggiare la tecnica!’, ‘Raggiungiamo il capitalismo!’ Io non vivevo a casa… ma in fabbrica… o nel cantiere. Già… alle due o alle tre di notte potevano cercarmi al telefono. Stalin non dormiva mai, si ritirava tardi e di conseguenza nemmeno noi dormivamo. Noi quadri dirigenti. A ogni livello. Ho avuto due decorazioni e tre infarti. Sono stato prima direttore di uno stabilimento di pneumatici, poi di un trust edilizio e da lì mi hanno destinato a dirigere un kombinat per la lavorazione delle carni.8 Ho diretto gli archivi del partito. Infine, dopo il terzo infarto mi hanno dato il teatro… La nostra epoca… la mia… È stata una grande epoca! Nessuno viveva per se stesso. E così certe cose ti feriscono… Non molto tempo fa è venuta a intervistarmi una gentile signorina. Per cominciare, ha voluto ‘illuminarmi’ riguardo alla terribile epoca in cui eravamo vissuti. Per l’appunto… lei l’aveva letto in due o tre libri, io c’ero. Da lì venivo. Ci ero nato in quegli anni. Ma lei, lei mi viene a raccontare che eravamo schiavi. Gli schiavi di Stalin. Povera stupidella! Io non ero uno schiavo! Mai stato! Adesso sono pieno di dubbi… Ma uno schiavo! Mai… a questi qua è andato il cervello in pappa. S’è confuso tutto: Kolčak e Čapaev,9 Denikin e Frunze… Lenin e lo zar… Un’insalata biancorossa. Una zuppa di barbabietole con su la panna. Il salterello ballato sulle tombe! E invece è stata una grande epoca! Non vivremo mai più in un paese così grande e potente. Quando l’Unione Sovietica è andata in pezzi io ho pianto. Hanno subito cominciato a maledirci. A calunniarci. Ha vinto lui, il gretto borghese. Il pidocchio. Il verme.

La mia Patria è l’Ottobre. Lenin… il socialismo… Amavo la rivoluzione! Il Partito è ciò a cui tengo di più al mondo. Gli appartengo da settant’anni. La tessera che ne fa fede è la mia bibbia. (Declama.) ‘Distruggeremo dalle fondamenta / l’ingiusto mondo della violenza, / e un mondo nuovo costruiremo / per chi non era niente e ora è tutto.’10 Volevamo costruire ‘Il Regno di Dio’ sulla terra. Un bel sogno però irrealizzabile, l’uomo non è ancora pronto. È ancora imperfetto. Già… Però da Pugačëv11 e i decabristi fino allo stesso Lenin… tutti hanno sempre aspirato all’uguaglianza e alla fraternità. Senza l’idea della giustizia sociale ci sarà un’altra Russia e gente diversa. Un paese del tutto diverso. Comunque sia, il comunismo non l’abbiamo superato. Non contateci! E neanche il mondo l’ha superato. L’uomo non finirà mai di sognare la Città del Sole.12 Era ancora vestito di pelli e viveva nelle caverne ma già desiderava un mondo più giusto. Pensi solo alle canzoni e ai film sovietici… Che bel sogno! E che fede… Ma una Mercedes, mi dica lei, che sogno è!?” (Durante tutta la conversazione il nipote tace. Risponderà alle mie domande con qualche storiella divertente.)

Dalle storielle, raccontate dal nipote

“Siamo nel Trentasette. Due vecchi bolscevichi sono rinchiusi in una cella. Uno dice: ‘No, noi non vivremo abbastanza da conoscere il comunismo, i nostri figli invece…’ E l’altro: ‘Poveri nostri figli!’”

“Sono vecchio… già l’ho detto… da troppo tempo… Ma anche la vecchiaia riserva delle scoperte interessanti. Ti rendi conto che l’uomo è un animale… scopri quante cose hanno in comune… La vecchiaia, come diceva Ranevskaja,13 è quando le candeline per la torta di compleanno ti costano più della torta stessa, e metà delle tue urine finisce nelle provette per le analisi. (Ride.) Niente ci salva dalla vecchiaia, non ci sono decorazioni e medaglie che tengano… No-o-o… Il frigorifero ronza, l’orologio fa tic-tac. Non succede nient’altro. (Cominciamo a parlare del nipote che sta preparando il tè in cucina.) Tocca a loro adesso… hanno in testa solo il computer… Dei miei nipoti questo è il più giovane, è al penultimo anno delle medie superiori. L’altro giorno mi dice: ‘Voglio leggere qualcosa su Ivan il Terribile, ma Stalin non mi interessa. Ne ho piene le scatole del tuo Stalin!’ Non sanno niente ma dicono di averne già abbastanza. E si divertono pure alle nostre spalle. Quando parlano di noi e dell’anno Diciassette ci maledicono: ‘Ma si può essere più cretini!? Ma chi ve l’ha fatto fare?’ Invece io ricordo bene… Quella fiamma negli occhi dei rivoluzionari. I nostri cuori pieni d’ardore! Nessuno mi vuol credere! Eppure non mi è partito il cervello… Ricordo ogni cosa… s-ì-ì-ì… Eravamo persone che non volevano niente per se stesse, non mettevano al primo posto, come adesso, il proprio ‘io’. Una zuppiera fumante… la casetta… il giardinetto… Per noi invece valeva solo il ‘noi’. Noi! Noi! Qualche volta passa a trovarmi un amico di mio figlio, un professore universitario. Va spesso all’estero, tiene delle conferenze. Io e lui litighiamo fino a diventare rauchi. Io gli parlo di Tuchačevskij e lui mi tira fuori che quel mio comandante rosso ha fatto gassare i contadini di Tambov e impiccare i marinai di Kronštadt.14 Nel 1917, mi dice, siete partiti con le esecuzioni di nobili e preti per poi, nel 1937, fare la stessa fine ammazzandovi tra di voi. Procedendo a ritroso siamo arrivati fino a Lenin. No, Lenin non me lo toccate! Morirò con Lenin nel cuore. Adesso… Un momento… (Un violento accesso di tosse rende pressoché incomprensibili le sue parole.) Prima costruivamo la flotta, conquistavamo il cosmo… Adesso, lussuose residenze, panfili… Le dirò con franchezza che spesso non penso proprio a niente. O meglio, la mattina, mi chiedo se l’intestino vorrà fare o no il suo dovere. L’inizio della fine.

… Avevamo diciotto, vent’anni… Di cosa parlavamo? Della rivoluzione e dell’amore. Eravamo dei fanatici della rivoluzione, ma ci ha fatto anche discutere parecchio un libro allora molto popolare, L’amore delle api operaie, di Aleksandra Kollontaj.15 L’autrice sosteneva il ‘libero amore’, vale a dire l’amore senza inutili smancerie… ‘come bere un bicchier d’acqua’… Senza sospiri e fiori, gelosie e lacrime. L’amore dei baci e dei teneri bigliettini era considerato un pregiudizio borghese. Un vero rivoluzionario doveva sbarazzarsi di tutto quel ciarpame. Sull’argomento venivano addirittura organizzate delle riunioni. Le opinioni si dividevano tra quelli che erano per l’amore libero ma ‘coi fiori di ciliegio’,vale a dire il sentimento, e quelli che erano per l’amore ‘senza fiori di ciliegio’.16 Io ero per i ‘fiori di ciliegio’ e per i baci. Ma sì… (Ride.) Proprio allora mi ero innamorato e facevo la corte alla mia futura moglie. In che modo? Leggevamo insieme Gor’kij: ‘La tempesta! S’annunzia presto!… e tardo e pavido il pinguino / si rimpiatta adiposo tra gli scogli…’17 Ingenuo, non è vero? Ma anche magnifico. Magnifico, accidenti! (Ride di un riso giovanile. E mi rendo conto che è tuttora un bell’uomo.) I balli… i semplici balli… li consideravamo qualcosa di borghese. Montavamo dei processi contro i nostri komsomoliani cui piaceva ballare o fare omaggi floreali alle loro innamorate. A un certo punto ho perfino presieduto uno di questi ‘tribunali’. Per queste mie convinzioni ‘marxiste’ non ho mai imparato a ballare. Poi me ne sono pentito. Non ho mai avuto la possibilità di ballare con una bella donna. Un vero orso! Organizzavamo i matrimoni komsomoliani, senza candele e senza corone nuziali. Senza preti. Invece delle icone i ritratti di Lenin e Marx. La mia fidanzata aveva dei lunghi capelli e li ha tagliati per il matrimonio. Disprezzavamo il bello. Naturalmente era sbagliato. Quello che si dice una deviazione estremista… (Viene nuovamente preso da un accesso di tosse, ma fa segno di non interrompere la registrazione.) Non è niente, non è niente… non posso rimandare a più tardi… Presto mi decomporrò in fosforo, calcio e le altre cose. Da chi altri potrà conoscere la verità? Forse solo dagli archivi. Da quei pezzi di carta… Be’, potrebbe anche essere… solo che io in un archivio ci ho lavorato e so che le carte possono mentire ancor più degli uomini.

Di cosa stavo parlando? Dell’amore… della mia prima moglie. Quando ci è nato un figlio l’abbiamo chiamato Ottobre. In onore del decimo anniversario della Grande Rivoluzione d’Ottobre.18 Volevo anche una figlia. ‘Se vuoi da me un secondo bambino vuol dire che mi ami davvero,’ diceva scherzando mia moglie ‘e come vogliamo chiamarla questa bambina?’ A me piaceva il nome Ljublena,19 composto da ‘io amo’ e ‘Lenin’. Mia moglie ha elencato su un foglio tutti i nomi femminili che le piacevano: Marxana, Stalina, Engelsina… Iskra…20 I nomi allora più in voga. Conservo tuttora quel foglio in fondo a un cassetto…

Il primo bolscevico che ho visto… è stato nel mio villaggio… Un giovane studente infagottato in un pastrano militare. Teneva un discorso sulla piazza della chiesa. ‘Adesso alcuni vanno in giro con gli stivali di cuoio e altri coi calzari di corteccia. Quando ci sarà il potere sovietico, tutti diventeranno uguali.’ I contadini gridavano: ‘E come può essere?’, ‘Verrà un tempo in cui le vostre mogli potranno indossare abiti di seta e scarpette coi tacchi. Non ci saranno ricchi e poveri e tutti saranno felici.’ Mia madre avrà un abito di seta, e la mia sorellina le scarpette coi tacchi… Io potrò studiare… Vivremo tutti come fratelli, saremo tutti uguali. Come non appassionarsi a un tale sogno? I poveri, tutti quelli che non possedevano niente, hanno creduto ai bolscevichi. E li hanno seguiti anche i giovani. Sfilavamo in corteo per le strade e gridavamo: ‘Giù le campane – facciamone trattori!’21 Riguardo a Dio, sapevamo una cosa sola: che non esiste. Schernivamo i preti, facevamo a pezzi con le accette le icone nelle case. Invece delle processioni dietro la croce, le manifestazioni con le bandiere rosse… (Si interrompe.) Ma forse gliel’ho già raccontato. Mi sto rimbambendo… Sono vecchio… Ormai da molto tempo… Il marxismo è diventato la nostra religione. Ero felice di vivere nella stessa epoca di Lenin. Alle riunioni cantavamo L’internazionale. A quindici-sedici anni ero già un komsomoliano. Un comunista. Un soldato della rivoluzione. (Tace.) Non ho paura della morte… quando si arriva alla mia età… L’unica cosa che mi secca è che qualcuno dovrà occuparsi del mio corpo… Tutti quei preparativi… per un cadavere… Una volta sono entrato in chiesa. Ho conosciuto un sacerdote. Mi ha detto: ‘Devo confessarti.’ Ma ormai… non dovrò aspettare molto per sapere se Dio esiste o no. (Ride.)

Eravamo mezzi affamati, vestiti alla meno peggio… Ma per tutto l’anno, anche nei mesi invernali, ci toccavano i ‘sabati comunisti’.22 Un gelo! Mia moglie aveva un paltoncino leggero, era incinta. Scarichiamo a una stazione merci del carbone, del legname, avanti e indietro con le carriole. Una ragazza che lavora accanto a noi, una sconosciuta, dice a mia moglie: ‘Hai su un paltoncino estivo, leggero, non ne hai uno più caldo?’ – ‘No.’ – ‘Senti, io ne ho due. Un buon paltò già l’avevo e ne ho ricevuto un altro nuovo dalla Croce Rossa. Dammi il tuo indirizzo e per sera te lo porto.’ La sera ci ha portato il paltò, ma non quello suo, vecchio, il paltò nuovo. Lei non ci conosceva, però noi eravamo nel partito e lei anche: e tanto bastava. Eravamo tutti fratelli e sorelle. Nel nostro stabile viveva una ragazza cieca dalla nascita che piangeva se non la portavamo ai sabati comunisti. Certo, non poteva essere di grande aiuto, ma quando c’era da cantare si univa a noi con entusiasmo. I canti rivoluzionari!

I miei compagni… giacciono sotto lastre di pietra… Sulle lastre c’è inciso: membro del partito dei bolscevichi dal millenovecentoventi… ventiquattro… ventisette… Anche dopo la morte era importante: di che fede era? I membri del partito venivano sepolti separatamente, la bara avvolta in un drappo rosso. Ricordo il giorno della morte di Lenin… Come? È morto Lenin? Non è possibile! È il nostro santo!23 (Chiede al nipote di prendere da una mensola e mostrarmi dei piccoli busti di Lenin. Di bronzo, ghisa, porcellana.) Ne ho una collezione. Me li hanno regalati. E ieri… Hanno detto alla radio che durante la notte qualcuno ha segato il braccio dal monumento a Lenin nel centro città. Per venderlo come rottame… per pochi soldi… Era un’icona. Un dio. E adesso è bronzo da vendere e comprare un tanto al chilo… E io sono ancora vivo… E devo vedere come sputano sul comunismo! E sentirmi dire che il socialismo è un cumulo di scempiaggini! ‘Ma chi al giorno d’oggi può prendere sul serio il marxismo? Può interessare al massimo come fenomeno storico.’ Ma chi di voi può dire di aver letto l’ultimo Lenin? O di conoscere tutto Marx? C’è un Marx delle opere giovanili, degli inizi… e un Marx degli ultimi anni… Ciò che oggi è sotto attacco come socialismo, non ha niente a che vedere con l’idea socialista… L’idea non ha nessuna colpa. (La tosse gli rende di nuovo difficile parlare.) La gente ha perduto la sua storia… e non crede più in niente… Di qualsiasi cosa gli parli, hanno lo sguardo vuoto. I dirigenti politici hanno imparato a fare il segno della croce, alle funzioni reggono la candela con la mano destra come fosse un bicchiere di vodka. Hanno tirato fuori dalla naftalina l’aquila a due teste degli zar… gli stendardi con le immagini sacre… (E a un tratto, del tutto distintamente.) Il mio ultimo desiderio è che scriva la verità. Però la mia di verità, non la sua… Perché la mia voce rimanga…

(Mi mostra alcune sue fotografie. Ogni tanto le commenta.)

Mi avevano accompagnato dal comandante. ‘Quanti anni hai?’ mi ha chiesto. ‘Diciassette’ ho risposto, mentendo perché ne avevo sedici non compiuti. Così sono diventato un soldato dell’Armata Rossa. Ci hanno dato delle mollettiere e delle piccole stelle rosse da appuntare sui berretti. Di berretti per le nostre teste non ce n’erano abbastanza ma le stellette le hanno distribuite egualmente. Che Armata Rossa era senza stelle rosse? Ci hanno consegnato i fucili. E ci siamo subito sentiti difensori della rivoluzione. Attorno a noi c’era la carestia, le epidemie… tifo addominale, febbri petecchiali… Ma noi, noi eravamo felici…

… qualcuno aveva tirato fuori da una proprietà saccheggiata un piccolo pianoforte abbandonandolo sull’erba a prendere la pioggia. I giovani mandriani che portavano al pascolo le vacche, si avvicinavano e suonavano a bastonate la tastiera. Durante il saccheggio qualche paesano ubriaco aveva finito col provocare un incendio e la casa padronale era andata in fumo. Restava il pianino in mezzo al parco. Ma a chi di quegli zotici poteva interessare?

… abbiamo fatto saltare la chiesa… Ho tuttora nelle orecchie le grida delle vecchiette: ‘Non lo fate, figli!’ Ci supplicavano, si aggrappavano alle nostre gambe. La chiesa era lì da duecento anni. Un luogo consacrato, come si suol dire. E dov’era la chiesa abbiamo costruito i gabinetti pubblici. Costringevamo i preti a tenerli puliti. A spazzare la merda. Adesso… certo… capisco che… Ma allora trovavamo la cosa divertente…

… I nostri compagni erano distesi nel campo… Dalla fronte e dal petto erano state ritagliate delle stelle. Erano rosse, il colore della carne spellata. Avevano loro aperto il ventre riempiendolo di terra: volevate la nostra terra, eccovela! Non avevamo altra scelta: o la vittoria o la morte! Si era disposti a morire, ma almeno sapevamo per che cosa.

… vicino al fiume abbiamo visto degli ufficiali bianchi finiti a baionettate. ‘Le loro eccellenze’ erano annerite dal sole e dalle pance squarciate sporgevano galloni e spalline… li avevano imbottiti ben bene. Nessuna pietà! Ho visto tanti di quei morti, non meno numerosi dei vivi…”

“Oggi però si deve avere pietà per tutti: ‘bianchi’ e ‘rossi’. Io la penso così.”

“Dice? Pietà per tutti… ‘bianchi’ e ‘rossi’…? (Ho pensato che la nostra conversazione potesse concludersi su questa nota.) Ma sì certo… ‘i valori umani comuni’, ‘l’approccio umanitario’… guardo la televisione e leggo i giornali anch’io. Ma per noi la pietà era una parola da preti. Ammazza il canagliume bianco! A noi l’ordine rivoluzionario! Lo slogan dei primi anni della rivoluzione era: ‘condurremo con mano di ferro l’umanità intera verso la felicità!’24 Se il partito l’ha detto, io credo al partito! Ho fede in ciò che dice e fa.

La città di Orsk, vicino a Orenburg. Treni merci carichi delle famiglie dei kulaki partono giorno e notte, uno dopo l’altro. Sono diretti in Siberia. Noi montiamo la guardia alla stazione. Apro un vagone: in un angolo vedo un uomo mezzo nudo impiccato a una cintura. Una madre ninna un neonato tra la braccia, e un altro bambino, più grandicello, le sta seduto accanto sul pavimento. Mangia la propria cacca tirandola su con le mani, come fosse pappa. ‘Chiudi quel portellone!’ mi grida il commissario.25 ‘È la marmaglia kulaka! Per loro non c’è posto nella nuova vita!’ L’avvenire doveva per forza essere bello… Più in là, quando si fosse realizzato… E io ci credevo! (Quasi gridando.) Credevamo possibile una vita migliore. Un’utopia, era un’utopia… E lei, voi… non avete forse anche voi la vostra utopia? Il mercato. Un paradiso mercantile. Il mercato renderà tutti felici! È una chimera! La realtà sono i gangster che ciondolano per le strade in giacchette lillà e catene d’oro penzolanti sul buzzo. Un capitalismo caricaturale come nelle vignette della testata satirica che avevamo, Il Coccodrillo.26 Invece della dittatura del proletariato, la legge della giungla: divora chi è più debole di te e striscia davanti a chi di te è più forte. La legge più antica del mondo. (Si interrompe per un altro accesso di tosse. Riprende il fiato.) Mio figlio portava un berretto militare con una piccola stella rossa, una budënovka.27 Quand’era piccolo era stato il più bel regalo di compleanno che avesse mai ricevuto. Non vado nei negozi da parecchio. Ci vendono ancora le budënovki? Si sono viste per molto tempo. Anche ai tempi di Chruščëv… Adesso qual è la moda? (Cerca di sorridere.) Sono rimasto indietro… è evidente… Sono un vecchio decrepito… Il mio unico figlio… è morto… Mi restano solo la nuora e i nipoti. Mio figlio era uno storico e un comunista convinto. I nipoti, invece… (In tono ironico.) I nipoti leggono il Dalai Lama. Invece del Capitale il Mahabharata,28 la Cabala… Oggi c’è una gran varietà di fedi e credenze… L’uomo ha comunque bisogno di credere in qualcosa. Se non in Dio nel progresso tecnico. Nella chimica, nei polimeri, in un’intelligenza cosmica. Adesso – nel mercato. Be’, mettiamo che si riesca a mangiare a sazietà, e con questo? Nella camera dei miei nipoti non c’è un oggetto che non venga dall’estero: le camicie, i jeans, i libri, la musica, perfino lo spazzolino da denti non è nostro. Sui ripiani sono allineate lattine di Pepsi e Coca-Cola. Sono dei selvaggi! I loro musei sono i supermercati. I compleanni li festeggiano nei McDonald’s: ganzo! dicono. ‘Nonno, siamo andati al Pizza-Hut!’ Come alla Mecca! Mi chiedono: ‘Davvero credevi al comunismo, e perché già che c’eri non agli extraterrestri?’ Il mio sogno era la pace nelle baracche e la guerra nei palazzi. Questi invece vogliono diventare milionari. Sento i discorsi che fanno coi loro amici: ‘Preferisco vivere in una nazione debole ma dove non manchi lo yogurt e la buona birra’, ‘Il comunismo è stagnazione!’, ‘La via della Russia è la monarchia. Dio protegga lo zar!’ Mettono su una canzone: ‘Andrà a meraviglia, tenenteGolicyn / E i commissari pagheranno salato / per tutto il male che hanno fatto…’29 E io sono vivo… sono ancora qui. La testa mi funziona… (Guarda il nipote che resta in silenzio.) I negozi sono pieni di salumi ma di gente felice non ne vedo. Non vedo gente con quell’ardore negli occhi.”

Dalle storielle raccontate dal nipote

“Una seduta spiritica. Un professore discute con un vecchio bolscevico.30 Il professore: ‘Fin dall’inizio nell’idea comunista si è insinuato un errore. Ricorda la canzone: «Vola, locomotiva nostra, / la Comune è la prossima sosta…»’ Il vecchio bolscevico: ‘L’ho presente, certo, ma l’errore dov’è?’ Il professore: ‘Le locomotive non volano.’”

“Prima hanno arrestato mia moglie. Era uscita per andare a teatro e non è mai tornata. Rientro dal lavoro e trovo mio figlio disteso sul tappetino nell’ingresso insieme al gatto. Aveva aspettato e aspettato mamma che non arrivava, finché non si era addormentato. Mia moglie lavorava come ingegnere-tecnologo in un calzaturificio. ‘Sta succedendo qualcosa di strano,’ mi aveva detto qualche giorno prima ‘stanno arrestando tutti i miei amici, c’è aria di tradimento…’ – ‘Tu e io non siamo colpevoli di nulla e infatti non ci toccano.’ Ne ero convinto. Assolutamente, sinceramente convinto! Sono stato prima leninista e poi stalinista. Lo sono stato fino al 1937. Credevo a tutto ciò che diceva e faceva Stalin. Sì, la Guida più grande, più geniale di tutti i tempi e di tutti i paesi. Perfino quando hanno dichiarato che Bucharin, Tuchačevskij e Bljucher31 erano in realtà dei nemici del popolo, perfino allora ho continuato a credere in lui… Mi aggrappavo all’idea… stupida, certo… che qualche traditore si fosse introdotto lassù in alto e ingannasse lo stesso Stalin. Ma non poteva durare e il partito avrebbe provveduto. Ed ecco che arrestavano mia moglie, un’onesta militante devota al partito.

Di lì a tre giorni sono venuti a prendere me… Come prima cosa hanno annusato nella stufa per controllare se ci fosse odore di fumo e se avessi bruciato delle carte. Erano in tre. Uno di loro si guardava in giro e sceglieva qualche oggetto per sé: ‘Di questo non avrà più bisogno.’ E stacca l’orologio a muro… Ci sono rimasto di sasso… non me l’aspettavo… E al tempo stesso c’era in quella ruberia qualcosa di umano, che autorizzava qualche speranza. Certe bassezze… Voleva dire che perlomeno appartenevano alla razza umana. La perquisizione è durata dalle due di notte all’alba. In casa c’erano molti libri e li hanno sfogliati uno a uno. Hanno tastato tutti gli indumenti e scucito e svuotato i cuscini… Ho avuto tutto il tempo per riflettere. Cercavo febbrilmente di ricordare qualcosa che aveva potuto… mi spremevo il cervello… Gli arresti erano già massicci. Ogni giorno portavano via qualcuno e l’atmosfera si faceva sempre più opprimente. Nessuno però fiatava. Chiedere spiegazioni era inutile. Io le avrei avute dall’inquirente al primo interrogatorio – già in prigione –: ‘Lei è colpevole anche solo per il fatto di non aver denunciato sua moglie.’ Tornando alla perquisizione, dalla mia ricerca affannosa su quale potesse essere il motivo di quello che mi stava succedendo, ero riuscito a individuare una sola possibilità… All’ultima riunione cittadina del partito, quando avevamo scandito le felicitazioni al compagno Stalin, tutta la sala si era alzata in piedi. C’era stata una buriana di ovazioni. ‘Gloria al compagno Stalin, organizzatore e ispiratore delle nostre vittorie! Gloria a Stalin! Gloria alla nostra Guida!’ La cosa è andata avanti quindici minuti… mezz’ora… Tutti si guardavano, si voltavano, ma nessuno osava sedersi per primo. Tutti in piedi. E io, non so perché, mi sono seduto. Senza pensarci. Subito mi si sono avvicinati due tizi in abiti civili: ‘Compagno, perché se ne sta seduto?’ Sono saltato in piedi come una molla. Come se mi avessero scottato. Durante la pausa dei lavori continuavo a guardarmi attorno. Mi aspettavo di essere arrestato da un momento all’altro… (Tace.)

Come le ho detto, la perquisizione è durata fino alle prime luci del mattino. Uno del drappello: ‘Raccolga le sue cose.’ La tata ha svegliato mio figlio… Prima di andarmene sono riuscito a sussurrargli: ‘Non dire a nessuno di papà e mamma.’ Così ha fatto, e si è salvato. (Sposta verso di sé il magnetofono.) Registri, finché sono ancora vivo… ‘A.V.’… è quello che scrivo sulle mie cartoline di auguri… è anche vero che ormai non ho più nessuno a cui mandarle… Mi chiedono spesso: ‘Ma come mai nessuno diceva niente?’ A quei tempi era così. Io ero convinto che colpevoli di tutto fossero i traditori Jagoda, Ežov,32 ma non il partito. A distanza di cinquant’anni si fa presto a giudicare. A ridere… di quei vecchi imbecilli… Ma allora marciavo allo stesso passo, insieme agli altri, che adesso non ci sono più…

… m’han tenuto un mese in una cella d’isolamento, una specie di bara di pietra, più larga dalla parte della testa e che si restringeva verso il basso. Avevo ammaestrato un corvo che si appollaiava sulla finestrella, lo nutrivo con qualche chicco della mia sbobba. Da allora i corvi sono i miei uccelli preferiti. In guerra… dopo la battaglia. Regna il silenzio. Hanno raccolto i feriti, restano i morti. E nessun’anima viva, solo i corvi.

… mi hanno interrogato solo dopo due settimane. Sapevo che mia moglie aveva una sorella all’estero? ‘Mia moglie è una comunista leale!’ Sul tavolo dell’inquirente c’era una denuncia firmata – non ci volevo credere! – dal nostro vicino. Ho riconosciuto la scrittura. La firma. Eravamo compagni, si può dire, fin dalla guerra civile. Un militare di carriera… di grado elevato… Era perfino un po’ innamorato di mia moglie, e io ero geloso. Proprio così, ero geloso… Amavo moltissimo la mia prima moglie… L’inquirente mi ha ripetuto le nostre conversazioni nei particolari… e ho capito di non essermi sbagliato. Era proprio il mio vicino, solo lui poteva essere presente… Mia moglie era bielorussa, originaria della regione di Minsk. Nel corso delle vicende seguite alla pace di Brest-Litovsk una parte del territorio della Bielorussia era andata alla Polonia. E lì erano rimasti i genitori e anche la sorella. Ben presto i genitori erano morti e la sorella ci scriveva: ‘Preferisco andare in Siberia piuttosto che continuare a vivere in Polonia.’ Voleva vivere in Unione Sovietica. Allora il comunismo era popolare in Europa. In tutto il mondo. Erano molti quelli che ci credevano. Non solo gente semplice, ma anche l’élite occidentale. Scrittori come Aragon. Barbusse… La Rivoluzione d’Ottobre era ‘l’oppio degli intellettuali’.33 L’ho letto da qualche parte… adesso leggo molto. (Riprende il fiato.) Dunque, se mia moglie era ‘una nemica’ doveva essere implicata in un’‘attività controrivoluzionaria’ e dove avrebbe potuto svilupparla al meglio? Ovvio, in un’organizzazione clandestina di tipo terroristico. E si erano dedicati a montare il tutto. ‘Con chi si incontrava sua moglie? A chi trasmetteva i piani?’ Quali piani? Negavo tutto. E loro mi pestavano. Quand’ero a terra mi calpestavano con gli stivali. Ed eravamo tutti dalla stessa parte. Io avevo la tessera del partito e anche loro l’avevano. E anche mia moglie…

… ho lasciato la cella d’isolamento per una cella comune dove eravamo in cinquanta. Ci portavano a fare i bisogni due volte al giorno. E il resto del tempo? Come spiegarlo a una signora? Vicino all’ingresso c’era un’enorme tinozza… (Con rabbia.) Se l’immagina come ci si sente a doversi accucciare e cacare davanti a tutti? Ci davano da mangiare aringhe e non ci davano l’acqua da bere. Cinquanta detenuti… spie inglesi… giapponesi… un vecchio contadino analfabeta… Era accusato di avere incendiato una scuderia. Uno studente era invece finito in galera per una barzelletta: ‘Sulla parete è appeso un ritratto di Stalin. Il relatore legge una dissertazione su Stalin, un coro canta una canzone su Stalin, un attore declama una poesia su Stalin. Dove ci troviamo? A una serata commemorativa dedicata al centenario dalla morte di Puškin.’ (Io rido, ma lui resta serio.) Lo studente si era poi beccato dieci anni di lager senza diritto alla corrispondenza.34 C’era poi un autista arrestato perché assomigliava a Stalin. E devo dire che la somiglianza c’era. Il gestore di una tintoria, un parrucchiere senza-partito,35 un operaio rettificatore… Prevalentemente gente semplice. Ma c’era anche uno studioso del folclore che di notte ci raccontava delle fiabe… fiabe per bambini… E le ascoltavamo tutti… A denunciare il folclorista era stata sua madre, una vecchia bolscevica. Solo una volta gli aveva fatto arrivare delle sigarette prima della partenza per il campo di prigionia… S-ì-ì-ì… C’era un vecchio socialrivoluzionario,36 il quale non faceva mistero della sua intima soddisfazione: ‘Sapeste come sono felice che anche voi comunisti siate chiusi qua dentro senza sapere perché, proprio come me.’ Un controrivoluzionario, altro che! Mi ero ormai convinto che il potere sovietico non esistesse più. E neanche Stalin.”

Dalle storielle raccontate dal nipote

“Alla stazione… Centinaia di persone. Un uomo con un giubbotto di cuoio cerca affannosamente qualcuno. Finalmente lo trova! Si avvicina a un uomo che indossa un giubbotto come il suo: ‘Compagno, sei membro del partito?’ – ‘Sì.’ – ‘Allora potresti dirmi dove sono i gabinetti?’”

“Ci avevano requisito tutto: cintura, sciarpa, lacci delle scarpe, ma restavano comunque altri modi per ammazzarsi. Ci ho pensato. Sì, ci ho pensato. Strangolarsi con i pantaloni, o l’elastico delle mutande. Mi picchiavano sulla pancia con un sacchetto pieno di sabbia. Spargevo in giro quello che avevo nelle viscere, come un lombrico. Mi appendevano a un gancio, roba da medioevo! Ti cola fuori di tutto, dappertutto, non sei più in condizioni di controllare il tuo organismo… Sopportare quella sofferenza… Quella vergogna!… È più semplice morire… (Riprende il fiato.) In prigione ho incontrato un mio vecchio compagno, Nikolaj Verchovcev, membro del partito dal 1924. Insegnava in una facoltà operaia. Ci si conosceva tutti, si era in confidenza… Qualcuno aveva letto a voce alta una notizia apparsa sulla Pravda: all’ufficio politico del Comitato centrale era stata sottoposta la questione della fecondazione delle giumente. Cosa gli era saltato in mente di scherzarci sopra! Aveva detto che il Comitato centrale non doveva avere molti impegni se trovava il tempo di occuparsi della fecondazione delle giumente. L’ha detto di giorno e la notte stessa l’hanno prelevato. Gli hanno chiuso la mano dentro una porta, spezzandogli tutte le dita, come matite. L’hanno tenuto per giorni interi con una maschera antigas infilata sulla faccia. (Tace.) Mi riesce difficile raccontare cose del genere… Una barbarie, non ci sono altre parole. Un’umiliazione infinita… Sei un pezzo di carne… a bagno nel tuo piscio… Verchovcev era capitato nelle mani di un inquirente sadico. Non che fossero tutti così. Ma tutti si vedevano calare dall’alto delle quote prefissate – mensili e annuali – di nemici del popolo da ‘lavorare’,37 e loro dovevano rispettare il piano di arresti e istruttorie. Lo facevano alternandosi, con soste per il tè, telefonate a casa, galanterie al personale medico femminile convocato per far rinvenire chi sveniva sotto le torture. Per loro era tran-tran lavorativo, con orari e turni di guardia. Ma per te, era tutta la tua vita che se ne andava in malora. Potrei raccontarne di cose… L’inquirente che ha istruito il mio caso mi ha spiegato: ‘Non sia così ingenuo! Non ne uscirà vivo e noi scriveremo nel verbale: rimasto ucciso durante un tentativo di fuga. Saprà di sicuro quel che ha detto Gor’kij: se il nemico non si arrende, lo si annienta!’38 – ‘Ma io non sono un nemico!’ – ‘Cerchi di capire: le uniche persone dalle quali non abbiamo più niente da temere sono quelle che hanno confessato pentendosi, che sono crollate.’ Con lui ne abbiamo anche discusso… Il mio secondo inquirente è stato un ufficiale di carriera. Era sempre chino sul tavolo a scrivere qualcosa. Si capiva che ne aveva piene le scatole di compilare tutte quelle carte. Una volta mi ha dato una sigaretta. La gente rimaneva a lungo in prigione, per mesi interi. Tra i carnefici e le vittime nascevano così dei rapporti… non li definirei umani… ma insomma dei rapporti. I carnefici si tenevano comunque le mani libere… ‘Firmi qua.’ Leggo il verbale: ‘Io questo non l’ho detto.’ Mi picchiano. Con impegno. Poi sarebbero stati tutti fucilati o spediti ai lavori forzati a loro volta.

Una mattina… Si apre la porta della cella. L’ordine: ‘Fuori!’ Sono in camicia, faccio l’atto di vestirmi… ‘No!’ Mi portano in un sotterraneo… dove già mi aspetta l’inquirente che mi porge un documento. ‘Lo firma – sì o no?’ Mi rifiuto. ‘Allora schiena al muro!’ Bang! Lo sparo mi sfiora la testa. ‘Be’, allora si decide?’ Bang! E così tre volte. Per riportarmi in cella mi fanno percorrere certi labirinti… È incredibile quanti corridoi possano esserci in una prigione! Non l’avrei mai sospettato. Le guardie facevano in modo che un detenuto non ne incrociasse mai un altro, riconoscendolo. Eventualmente capitasse, il guardiano ci faceva voltare con la faccia contro il muro. Ma mi ero fatto una certa esperienza. E riuscivo a sbirciare. Così ho potuto vedere quello che era stato il mio capo ai corsi per i comandanti rossi. E un mio ex professore alla scuola di partito… (Tace.) Con Verchovcev parlavamo con franchezza: ‘Sono dei criminali! Stanno distruggendo il potere sovietico. Un giorno saranno chiamati a risponderne.’ Era stato interrogato alcune volte da una inquirente donna: ‘Quando mi torturano lei diventa bella. Capisci? Questo la imbellisce!’ Era un uomo sensibile. L’ho saputo da lui che Stalin quand’era giovane scriveva poesie…39 (Chiude gli occhi.) Ancora adesso mi capita di risvegliarmi coi sudori freddi… Anche a me avrebbero potuto proporre di lavorare nella NKVD. E avrei accettato. Avevo la tessera del partito in tasca. Il mio libretto rosso.

(Suonano alla porta. È un’infermiera. Gli misura la pressione, gli fa una puntura. Il suo discorso diventa più frammentario, ma non si interrompe.)

Sa, qualche volta penso al fatto che il socialismo non risolve il problema della morte. Della vecchiaia. Del senso metafisico della vita. Semplicemente lo ignora. Solo nella religione si trova qualche risposta. Già… Avessi detto una cosa del genere nel 1937, sai cosa mi sarebbe…

… L’ha letto il libro L’uomo anfibio di Aleksandr Beljaev?40 Racconta di un geniale scienziato che per rendere felice il figlio lo trasforma in un uomo anfibio. Ma ben presto il figlio si annoia a starsene tutto solo nell’oceano. Vuole essere come gli altri: vivere sulla terraferma, amare una ragazza. Ma questo non è più possibile. Ed egli ne muore. Il padre si era illuso di aver penetrato il mistero della vita… Di essere diventato come Dio! Eccola la risposta a tutti i grandi utopisti!

… l’idea era magnifica! Quanto ad applicarla all’uomo… L’uomo non è cambiato dai tempi dell’antica Roma…

(L’infermiera se ne è andata. Lui chiude gli occhi.)

Aspetti… vorrei finire… Penso di avere abbastanza forze per un’oretta ancora… Continuiamo… Ho passato poco meno di un anno in prigione. Mi preparavo al processo. Al trasferimento in un lager. Mi chiedevo perché tirassero tanto per le lunghe. Adesso mi rendo conto che in questo non c’era alcuna logica. Migliaia di pratiche… il caos… Trascorso quell’anno, sono stato convocato davanti a un altro inquirente. Il mio caso era stato riesaminato. E mi liberano, lasciano cadere tutte le accuse. Un errore, dunque. Il partito ha di nuovo fiducia in me! Stalin era il grande regista. Proprio allora si era sbarazzato del commissario del popolo Ežov, detto ‘il nano sanguinario’. L’avevano condannato e giustiziato. C’erano state delle riabilitazioni. La gente aveva tirato un sospiro di sollievo, la verità era dunque giunta alle orecchie di Stalin! In realtà era soltanto una breve tregua prima di nuovi massacri… Un gioco crudele! Ma tutti ci hanno creduto. E anch’io. Mi congedo da Verchovcev… Lui mi mostra le sue dita mutilate: ‘Sono qui da diciannove mesi e sette giorni. Non mi lasceranno mai uscire. Per queste.’ Nikolaj Verchovcev, membro del partito dal 1924, fucilato nel 1941 mentre i tedeschi si stavano avvicinando alla città. Quelli della NKVD fucilavano tutti i detenuti che non facevano in tempo a evacuare. Avevano rilasciato i criminali, la canaglia colpevole di reati comuni, mentre tutti i ‘politici’ meritavano di essere liquidati come traditori. Quando i tedeschi sono entrati in città e hanno aperto il portone della prigione hanno trovato una montagna di cadaveri. Prima che iniziassero a decomporsi, hanno fatto sfilare molti abitanti della città davanti al carnaio: guardatelo bene il vostro potere sovietico.41

Ho ritrovato mio figlio presso degli estranei, la tata l’aveva portato in campagna. Tartagliava, aveva paura del buio. Abbiamo cominciato una vita a due. Io cercavo di avere qualche informazione su mia moglie. E anche di essere reintegrato nel partito e riavere la tessera. L’Anno Nuovo… abbiamo addobbato l’abete. Con mio figlio aspetto l’arrivo degli ospiti. Suonano alla porta. Apro. Sulla soglia una donna malvestita: ‘Sono venuta a portarle i saluti di sua moglie.’ – ‘Dunque è viva!’ – ‘Un anno fa lo era. Lavoravamo insieme in una porcilaia. Rubavamo ai maiali le patate mezze marce e solo in questo modo non siamo crepate. Ma non so se sia ancora viva adesso.’ Se ne è subito andata. Io non l’ho trattenuta… Stavano arrivando gli ospiti… (Tace.) Quando è suonata la mezzanotte abbiamo stappato lo spumante. E il primo brindisi è stato ‘A Stalin!’ S-ì-ì-ì…

L’anno Quarantuno…

Tutti piangevano… Ma io ero pazzo di gioia: la guerra! Andrò a combattere! Almeno questo non me lo negheranno. Mi ci manderanno senz’altro. Ho fatto domanda di essere inviato al fronte. Per molto tempo non mi hanno voluto. Conoscevo il commissario di leva: ‘Non posso’ mi ha detto. ‘Ho esplicite disposizioni che mi vietano di arruolare i «nemici»’ – ‘I «nemici»? e io sarei un nemico!’ – ‘Tua moglie sta scontando in un campo di lavoro correzionale, una condanna in base all’articolo 5842 che punisce l’attività controrivoluzionaria.’ Kiev è stata presa dai tedeschi… si combatte sotto Stalingrado… Invidiavo chiunque portasse un’uniforme – difendeva la Patria! Anche le ragazze partivano per il fronte… E io? Scrivo una lettera al comitato regionale del partito: o mi fucilate o mi mandate al fronte! Due giorni dopo mi consegnano la cartolina-precetto: presentarsi entro le ventiquattr’ore al punto di raccolta tale. La guerra era la mia salvezza… l’unica possibilità di riavere l’onore perduto. Ero felice…

… la rivoluzione l’ho ben presente. Di quel che è successo poi, mi scuserà, ho ricordi meno precisi. Perfino della guerra, anche se è più vicina nel tempo, ho adesso solo qualche ricordo frammentario. Posso dire che in generale le condizioni in cui si combatteva erano quelle di sempre. Solo le armi verso la fine della guerra erano cambiate: i lanciarazzi katjuši43 invece di sciabole e fucili. Ma la vita del soldato? Quella non era cambiata, potevamo mangiare per anni zuppa d’orzo e pappa di cereali… Indossare per mesi la stessa biancheria sporca. Non lavarsi. Dormire sulla nuda terra. Ma se non fossimo stati così, quando mai avremmo vinto la guerra?

… ingaggiamo battaglia… Sotto il fuoco delle mitragliatrici! Tutti si buttano a terra. Al mitragliamento s’è unito un mortaio, a ogni colpo ognuno dei nostri vola in pezzi. Si rimpiatta accanto a me, cercando riparo, il commissario: ‘Cosa ci fai disteso qui, razza di controrivoluzionario! Avanti! O ti impiombo!’

… nei pressi di Kursk mi sono imbattuto nel mio primo inquirente. Ho pensato: ‘Adesso, carogna, sono io a tenerti in pugno. Durante un attacco ti becchi una pallottola da chissà dove’, era quello che intendevo fare… Ma non ne ho avuto il tempo. C’è stata comunque l’occasione di scambiare quattro chiacchiere. ‘Abbiamo la stessa Patria’, così ha detto. Era un tipo coraggioso. Eroico. È caduto sotto Königsberg. Che dire… Per essere sincero ho pensato… che Dio aveva fatto il lavoro al posto mio…

Sono tornato a casa con due ferite. E tre decorazioni. Sono stato convocato al comitato regionale del partito: ‘Purtroppo non possiamo restituirle sua moglie. È morta. Ma le possiamo restituire l’onore…’ Mi hanno riconsegnato la tessera del partito. Ed ero felice! Ero felice!…”

Gli dico che un atteggiamento del genere mi resta comunque incomprensibile. Si infuria.

“Non ci potete giudicare coi criteri della logica. Del calcolo computistico. Cerchi di capirci! Possiamo essere giudicati unicamente secondo le leggi della religione. Della fede! Finirete con l’invidiarci, glielo dico io! Cosa avete voi di grande, di elevato? Niente. Solo il comfort. Tutto per la pancia… per i dodici metri di intestini… Per rimpinzarsi e circondarsi di cianfrusaglie. Mentre io… la mia generazione… Tutto quello che avete l’abbiamo costruito noi. Fabbriche, dighe, centrali idroelettriche… E voi cosa avete da mostrare? E abbiamo sconfitto Hitler. Dopo la guerra… ogni nascita di un bambino era una tale gioia! Non la stessa di prima della guerra, no, qualcosa di ancora più intenso. Capace di farmi piangere. (Chiude gli occhi. È stanco.) A-a-a-ah! Noi ci credevamo… E adesso hanno emesso la condanna: ciò in cui credevate era un’utopia. E con ciò? Il mio romanzo preferito è Che fare? di Černyševskij… Adesso non lo leggono più, dicono che è noioso. Non vanno oltre il titolo: l’eterno dilemma russo, appunto il ‘che fare?’ Ma per noi era il catechismo… Il manuale della rivoluzione. Ne imparavamo intere pagine a memoria. Il quarto sogno di Vera Pavlovna…44 (Declama come fosse una poesia.) ‘Edifici di cristallo e alluminio… palazzi di cristallo… Giardini di limoni e aranci nel centro delle città. Quasi non si vedono anziani, la gente invecchia molto tardi perché la loro vita è meravigliosa. Fanno tutto le macchine, e gli uomini si limitano a dirigerle… le macchine mietono, legano i covoni… i campi di biade sono fertili e folti. I fiori sono grandi come alberi. Tutti sono felici. Gioiosi. Tutti, uomini e donne, portano dei bei vestiti. Conducono una vita libera, una vita di lavoro e di piaceri. C’è spazio e lavoro per tutti. Possibile che siamo veramente noi, la nostra Terra? E tutti vivranno in questo modo? Un avvenire magnifico e radioso…’ Ecco… (Accenna col capo verso il nipote.) Lui se la ride… Mi considera uno scimunito. Così vanno le cose.”

In Dostoevskij c’è la replica di un suo personaggio45 a Černyševskij, che si può rendere pressappoco così: ‘Costruite, costruite il vostro palazzo di cristallo e io raccatterò da terra un sasso e lo lancerò contro di esso… Non perché sono affamato e vivo nel sottosuolo, ma così, perché mi gira…’

(Si inalbera.)

“Anche lei crede che il comunismo, la peste del comunismo, come scrivono adesso i giornali, ci sia arrivato in un vagone piombato dalla Germania?46 Che fesseria! È stata una sollevazione di tutto il popolo! Non è mai esistita un’‘età dell’oro’ ai tempi degli zar, come hanno cominciato a raccontarci. Sono favole! E anche il fatto che sfamavamo l’America col nostro grano e che abbiamo deciso noi i destini dell’Europa. Però è vero che il soldato russo moriva per tutti! Ma come si viveva noi? Nella mia famiglia c’era un solo paio di stivali per cinque bambini. Mangiavamo patate e pane, e in inverno non c’era il pane. Solo patate… E le pare sia il caso di chiedersi da dove sono saltati fuori questi comunisti?

Ne ricordo di cose… Ma a che pro? A chi servono, eh? Che cosa me ne faccio, ormai? Amavamo l’avvenire. Amavamo le persone che l’avrebbero visto. Ragionavamo sui possibili tempi: quando si sarebbe realizzato? Fra cent’anni era sicuro. Ma ci sembrava troppo lontano… (Si ferma per riprendere il fiato. Io spengo il magnetofono.)

Ah, senza registrazione… Bene… C’è una cosa che devo assolutamente raccontare a qualcuno. Al villaggio abbiamo visto arrivare dei soldati dell’Armata Rossa. A cavallo. Ubriachi. Un reparto di approvvigionamento. Hanno dormito tutto il giorno e la sera hanno riunito tutti i komsomoliani. Il loro comandante ha tenuto un discorso: ‘L’Armata Rossa è alla fame. Lenin è alla fame. E i kulaki nascondono il loro frumento. Lo bruciano.’ Io sapevo che zio Semën, il fratello di mamma, aveva portato dei sacchi di cereali nella foresta e li aveva nascosti sotterrandoli. Io ero un komsomoliano. Avevo prestato giuramento. Così, durante la notte sono andato dai soldati e li ho condotti sul posto. Hanno riempito un intero carro. Il comandante mi ha stretto la mano: ‘Cresci in fretta, fratello!’ La mattina dopo sono stato svegliato dalle grida di mamma: ‘La casa di Semën sta bruciando!’ Lui l’hanno trovato nella foresta, fatto a pezzi dalle sciabole dei soldati… Io avevo quindici anni… l’Armata Rossa è alla fame… e anche Lenin… Avevo paura a uscire di casa. Restavo nella nostra chata a piangere. Mamma aveva capito tutto. La notte successiva mi ha messo in mano un piccolo involto: ‘Vai, povero figlio! E che Dio ti possa perdonare.’ (Si nasconde gli occhi, ma vedo che sta piangendo.)

Voglio morire comunista. È il mio ultimo desiderio…”

Negli anni Novanta avevo pubblicato solo una parte di questa confessione. Il mio eroe aveva fatto leggere il testo a qualcuno, aveva chiesto un parere a qualcun altro, e si era lasciato convincere che la pubblicazione integrale della sua testimonianza avrebbe gettato “un’ombra sul partito”. Ed era proprio ciò che temeva maggiormente. Dopo la sua morte era stato trovato un testamento col quale lasciava in eredità il proprio appartamento di tre locali nel centro cittadino non ai nipoti, bensì “al caro partito comunista al quale devo tutto”. Era anche apparso un articolo sul locale giornale della sera. Un gesto del genere appariva ormai incomprensibile. Tutti avevano riso di quel vecchio pazzo e nessuno si era preoccupato di mettere una lapide sulla sua tomba.

Adesso ho deciso di pubblicare il racconto nella sua interezza. Tutto ciò di cui narra appartiene ormai più a un’epoca che a una singola persona.

Tempo di seconda mano: La vita in Russia dopo il crollo del comunismo
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