NEGLI APPARTAMENTI RUSSI
“Ci invadono… È questa l’anima russa, siamo troppo buoni…”
“Il popolo russo non è affatto buono. Si tratta di un profondo malinteso. È compassionevole, sentimentale, ma nient’affatto buono. Quando hanno sgozzato un cane randagio e hanno filmato tutto in un video, tutta la rete è insorta. La gente era pronta a organizzare un linciaggio. Ma quando diciassette lavoratori immigrati sono bruciati vivi in un mercato – il loro padrone li aveva chiusi a chiave in un container di metallo insieme alla merce – i difensori dei diritti umani sono stati i soli a reagire. Il sentire comune era: questi sono morti, ma ne arriveranno altri. Senza un volto, senza una lingua… stranieri…”
“Sono schiavi. Sono gli schiavi contemporanei. Tutto ciò che possiedono è il loro c… e un paio di scarpe da ginnastica. Nella loro patria stanno anche peggio che nella più fetida cantina di Mosca.”
“Un orso è venuto per caso a svernare a Mosca e si è nutrito di lavoratori immigrati. Chi ha contato quanti erano… ah-ah-ah…”
“Prima della dissoluzione dell’URSS si viveva uniti, come in un’unica famiglia… così ci insegnavano alle lezioni di istruzione politica.
… All’epoca li consideravamo ‘ospiti della capitale,’ ora sono diventati i ‘musi neri’ e i ‘culi neri’.”
“Mio nonno mi raccontava di aver combattuto insieme agli uzbeki alle porte di Stalingrado. Erano convinti che sarebbero rimasti fratelli in eterno!”
“Lei mi stupisce… Sono stati loro a volersi separare. Hanno voluto la libertà. L’ha forse dimenticato? Si ricorda quando nel Novantuno accoltellavano i russi? E saccheggiavano e violentavano? Li cacciavano da tutti gli angoli. Si sentiva bussare alla porta nel cuore della notte e facevano irruzione: chi con i coltelli, chi con i mitra. ‘Andatevene dalla nostra terra, russi! Avete cinque minuti per fare i bagagli… E un passaggio gratis fino alla stazione più vicina.’ La gente si precipitava fuori dai propri appartamenti in ciabatte… Ecco che cosa succedeva…”
“Ci ricordiamo le umiliazioni patite dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle! Morte ai ‘musi neri’! È difficile risvegliare l’Orso russo, ma quando si sveglia diventa sanguinario, compie delle carneficine.”
“I russi hanno spaccato il muso al Caucaso col calcio del fucile. Ora chi sarà il prossimo?”
“Odio le teste rasate! Sono capaci solo di massacrare di botte o ammazzare a martellate un portinaio tagiko che non gli ha fatto nulla. Alle manifestazioni gridano: ‘La Russia ai russi, Mosca ai moscoviti!’ Mamma è ucraina, papà moldavo, mia nonna materna russa. E io, che cosa sono io? In base a quale principio vogliono ‘ripulire’ la Russia dai non russi?”
“Tre tagiki insieme fanno un caterpillar… Ah-ah-ah…”
“Ho nostalgia di Dušanbe, sono cresciuta lì. Ho studiato il farsi, la lingua dei poeti.”
“Non conviene girare per la città con un cartello con la scritta ‘Amo i tagiki’. Tempo un attimo e ti ritrovi col muso fracassato.”
“Vicino a noi c’è un cantiere. È pieno di ‘culi neri’ che scavano come topi. A causa loro andare al negozio di sera è pericoloso. Per un telefonino da niente possono anche ammazzarti…”
“Lo dici tu! Sono stato rapinato due volte, ed erano dei russi. Erano russi quelli che per poco non mi hanno ammazzato nell’ingresso di casa mia. Ne ho piene le scatole di questo popolo eletto da Dio.”
“Ma a lei piacerebbe che sua figlia sposasse un immigrato?”
“Questa è la mia amata città. La mia capitale. E loro sono venuti qui con la loro shariah. Per il loro Aid-el-Kébir, la Grande Festa, sgozzano dei montoni proprio sotto le mie finestre. Perché non sulla Piazza Rossa? Le grida di quelle povere bestie inondano il cortile, il sangue zampilla dappertutto… Se vai fuori città trovi l’asfalto pieno di chiazze rosse. Quando camminiamo insieme il mio bambino mi chiede: ‘Mamma, che cos’è?’ Quel giorno tutta la città ‘si tinge di nero’. Non è più la nostra città. Escono fuori a centinaia di migliaia dalle cantine… I poliziotti si stringono contro i muri dalla paura…”
‘Ho stretto amicizia con un tagiko. Il suo nome è Said. È bello come un dio! A casa sua faceva il medico, qui lavora in un cantiere. Sono cotta di lui. Che cosa possiamo fare? Quando ci incontriamo, passeggiamo insieme nei parchi o andiamo da qualche parte fuori città per non incontrare nessuno dei miei conoscenti. Ho paura dei miei genitori. Mio padre mi ha avvertito: ‘Se ti vedo con un «muso nero» sparo a tutti e due.’ Che lavoro fa mio padre? È musicista. Si è diplomato al conservatorio…”
“Se un ‘muso nero’ va con una delle nostre ragazze, bisogna castrarlo.”
“Per che cosa li odiano? Per i loro occhi scuri, per la forma del naso. Li odiano così senza ragione. Da noi devono per forza odiare qualcuno: i vicini, gli sbirri, gli oligarchi… gli stupidi yankees… Non importa chi! Chiunque! C’è molto odio in giro… Bisogna fare attenzione a non sfiorare qualcuno…”