LA MADRE
“Sono cresciuta in un’epoca profondamente sovietica. Tutto ciò che esiste di più sovietico. Sono nata in URSS. E la nuova Russia… Ancora non riesco a capirla. Non saprei dire che cosa è peggio, se ciò che abbiamo ora, o la storia del PCUS… In testa ho l’immagine sovietica, è quella la mia matrice, ho trascorso metà della mia vita sotto il socialismo. È incrostato dentro di me. Non lo si può sradicare. E non so se vorrei separarmene davvero. A quei tempi si viveva male, ora la vita è terribile. Il mattino corriamo uno da una parte e l’altro dall’altra: noi andiamo al lavoro, le ragazze a scuola e ci telefoniamo di continuo: ‘Come vanno le cose da te? A che ora torni? Con che mezzo?’ Ci ritroviamo tutti a casa di sera e solo allora provo un po’ di sollievo o perlomeno tiro un po’ il fiato. Ho paura di tutto. Tremo. Le ragazze mi rimproverano: ‘Esageri sempre, mamma…’ Sono una persona normale, ma ho bisogno di sentirmi protetta e questo guscio è la mia casa. Mio padre è venuto a mancare presto, forse è per questo che sono così vulnerabile, tanto più che papà mi amava profondamente. (Tace.) Il nostro babbo era stato in guerra, per due volte il suo carro armato si era incendiato… Era riuscito a scampare alla guerra, era rimasto incolume. Quando è tornato a casa l’hanno ucciso. In un androne.
Ho studiato sui libri di testo sovietici, ci hanno insegnato cose completamente diverse. Tanto per fare un confronto… In questi libri i primi terroristi russi erano visti come degli eroi. Dei martiri. Sof’ja Perovskaja, Kibal’čič…1 Morivano per il popolo, per una causa sacra. Lanciavano la bomba contro lo zar. Questi giovani spesso provenivano dall’aristocrazia, da ottime famiglie… Perché dovremmo stupirci che esistano oggi persone simili? (Tace.) Alle lezioni di storia quando studiavamo la Seconda guerra mondiale, l’insegnante ci raccontava dell’impresa della partigiana bielorussa Elena Mazanik,2 che aveva ucciso Kube, il Gauleiter della Bielorussia, piazzando una bomba sotto il letto dove dormiva con la moglie incinta. Stalin l’aveva personalmente insignita della Stella d’Eroe. Fino alla fine della sua vita andava nelle scuole e ai ‘corsi di coraggio’3 per ricordare la sua impresa. Nessuno ci disse mai che di là dal muro dormivano i bambini… La Mazanik era la tata di quei bambini… (Tace.) Dopo la guerra le persone che avevano una coscienza si vergognavano a ricordare ciò che avevano dovuto fare durante la guerra. Nostro padre aveva sofferto…
Nella stazione della metropolitana Avtozavodskaja un ragazzo è saltato in aria, un kamikaze. Un ceceno. Dai suoi genitori abbiamo appreso che leggeva molto. Che amava Tolstoj. Era cresciuto durante la guerra: sotto i bombardamenti, i cannoneggiamenti dell’artiglieria… Aveva visto morire i suoi cugini e a quattordici anni era scappato per unirsi a quelli di Chattab in montagna.4 sulle montagne. Voleva vendicarsi. Forse questo ragazzo pulito, dal cuore ardente… veniva deriso: ah-ah… uno stupidello minorenne… E aveva imparato a sparare meglio di tutti gli altri e a lanciare le granate. La madre l’aveva trovato e riportato indietro al villaggio; lei voleva che finisse la scuola per diventare piastrellista. Ma un anno dopo era di nuovo sparito sulle montagne. Gli avevano insegnato a farsi esplodere ed è venuto a Mosca… (Tace.) Se avesse ucciso per denaro, sarebbe stato comprensibile, ma lui non ha ucciso per denaro. Questo ragazzo avrebbe potuto buttarsi sotto un carro armato o far saltare in aria un reparto di maternità…
Chi sono io? Solo una della folla… sempre perduta nella folla… La nostra vita è scialba, insignificante, anche se noi ci sforziamo di vivere. Amiamo, soffriamo. Solo che a nessuno interessa questo, su di noi non si scrivono libri. La folla… la massa. Nessuno mi ha mai fatto domande sulla mia vita, per questo ho parlato così tanto con lei. ‘Mamma, nascondi la tua anima,’ mi dicono le mie figlie. Non fanno che educarmi. I giovani vivono in un mondo più crudele di quello sovietico… (Tace.) La sensazione è che la vita non faccia più per noi, per quelli come noi, che se ne sia andata da qualche parte… Sta accadendo qualcosa, ma non a noi… Non frequento negozi costosi, mi sento a disagio: ci sono le guardie di sicurezza che mi fissano con disprezzo perché mi vesto al mercato. Nei negozi di paccottiglia cinese. Vado in metrò, ho una paura da morire, ma vado. Chi è più ricco, il metrò non lo usa. Il metrò è per i poveri, non è per tutti, da noi sono ritornati i principi e i nobili e il popolo oppresso. Ho già dimenticato quando è stata l’ultima volta che mi sono seduta in un caffè, è da un pezzo che non posso permettermelo. E anche il teatro è un lusso, mentre una volta non saltavo mai una prima. Com’è avvilente… molto avvilente… Si vive nel grigiore quotidiano perché non si è ammessi in questo nuovo mondo. Mio marito porta borse piene di libri dalla biblioteca, è l’unica cosa che possiamo ancora permetterci. Possiamo anche andare a zonzo per la vecchia Mosca, nei nostri luoghi preferiti: Jakimanka, Kitaj-gorod, Varvarka. È il nostro guscio, ora ciascuno si crea un proprio guscio. (Tace.) Ce l’hanno insegnato… Marx ha scritto: ‘Il capitale è un furto.’ E io concordo con lui.
Conoscevo l’amore… Lo sento sempre se amo o no un uomo, e con le persone che amo ho un legame intuitivo. Senza parole. Ora mi sono rammentata del mio primo marito… L’amavo? Sì. Profondamente? Follemente. Avevo vent’anni. In testa avevo solo sogni. Vivevamo con la sua bella mamma, che era gelosa di me: ‘Sei bella come me da giovane.’ I fiori che lui mi regalava, li portava nella sua stanza. Poi l’ho capita, forse solo ora l’ho capita, ora che so quanto amo le mie figlie e come può essere forte il legame che ti unisce al tuo bambino. Lo psicologo voleva convincermi: ‘Lei ha un amore ipertrofico per i figli. Non si deve amare così.’ Ma il mio amore è normale… L’amore! La mia vita… ecco proprio la mia… Nessuno ne conosce la ricetta… (Tace.) Mio marito mi amava, ma aveva la sua filosofia: non si può vivere con una sola donna, bisogna conoscerne altre. Io riflettevo molto… piangevo… Alla fine ci sono riuscita e l’ho lasciato andar via. Sono rimasta da sola con la piccola Ksjuša. Il mio secondo marito… Era per me come un fratello, avevo sempre sognato di avere un fratello maggiore. Ero scombussolata. Non sapevo come avremmo vissuto insieme, quando ha chiesto la mia mano. Per mettere al mondo dei figli, ci vuole amore in una famiglia. Aveva portato me e Ksjuša a casa sua: ‘Su, proviamo. Se non funziona, vi riporterò indietro.’ Ma le cose andavano bene. Ci sono vari tipi di amore: l’amore folle e quello che è simile all’amicizia. A un sodalizio tra amici. Mi piace pensarla così perché mio marito è un uomo molto buono. Anche se io non ho avuto una vita facile…
Ho dato alla luce Dašen’ka… Non ci siamo mai separati dalle nostre figlie, d’estate andavamo insieme in campagna dalla nonna nella provincia di Kaluga. C’erano il fiume, i prati e il bosco. La nonna preparava le torte con le ciliegie, le bambine se le ricordano ancora. Non siamo mai stati al mare, era il nostro sogno. Come si sa, non è lavorando onestamente che ti arricchisci: io sono infermiera, mio marito è un ricercatore dell’istituto di radiologia. Ma le ragazze sapevano che le amavamo.
Molti hanno un’adorazione per la perestrojka… Tutti coltivavano delle speranze. Io non riuscivo proprio ad amare Gorbačëv. Ricordo i nostri discorsi nella sala di riposo: ‘Il socialismo finirà e poi che ci sarà dopo?’ ‘Finirà il cattivo socialismo e ci sarà quello buono.’ Aspettavamo… Leggevamo i giornali… presto mio marito ha perduto il lavoro, il loro istituto era stato chiuso. C’erano un’infinità di disoccupati, tutti con un’istruzione superiore. Prima sono comparsi i chioschi, poi i supermercati dove si trovava di tutto come nelle fiabe, ma non si poteva comprare nulla. Entri e subito esci. Avevo comprato due mele e un’arancia quando le bambine si erano ammalate. Come rassegnarsi a tutto questo? Come accettare che sarà per sempre così? Sto in fila davanti alla cassa, davanti a me c’è un uomo con il carrello, dentro ci sono ananas e banane… È così umiliante per l’amor proprio. Per questo oggi tutti sembrano così esausti. Dio ti scampi dal nascere in Unione Sovietica, e poi dal vivere in Russia. (Tace.) In vita mia non ho mai realizzato neppure un sogno…”
Quando la figlia esce dalla stanza mi dice quasi in un sussurro:
“Quanti anni sono passati dall’attentato? Tre… No, di più… Il mio segreto… Non posso immaginare di stare a letto con mio marito e che la sua mano maschile mi sfiori. Con mio marito non ho avuto più rapporti in tutti questi anni, sono sua moglie e non lo sono, lui cerca di convincermi: ‘Vedrai, ti farà sentire meglio.’ Anche la mia amica, che è al corrente di tutto, non riesce a capirmi: ‘Sei fuori di testa, tu sei una donna sensuale. Guardati allo specchio, guarda come sei bella. Che bei capelli hai…’ Ho questi capelli da quando sono nata, quanto alla bellezza, me la sono dimenticata. Quando una persona annega, s’impregna completamente d’acqua e io mi sono impregnata tutta di dolore. Come se mi fossi separata dal corpo e fosse rimasta solo l’anima…”