DA VOCI DI STRADA E CONVERSAZIONI IN CUCINA
(2002-2012)

IL PASSATO

“Gli anni Novanta di El’cin… Come ce li ricordiamo? Come un’epoca felice… Un decennio folle… Anni terribili… Il tempo del sogno democratico… I fatali anni Novanta… Un periodo semplicemente favoloso… Il tempo del disinganno… Infimi anni volgari… Un’epoca brillante… aggressiva… tumultuosa… La mia epoca…

Ma nient’affatto mia…”

“Siamo stati noi a dissiparli gli anni Novanta! Le chance che avevamo avuto allora, non le riavremo più tanto presto. E che bell’inizio era stato quello del ’91! Non dimenticherò mai i volti della gente che stava con me davanti alla Casa Bianca. Ci inebriavamo della libertà. Ma ora… ora io la penso in modo del tutto diverso… Com’eravamo disgustosamente ingenui! Coraggiosi, audaci, onesti e ingenui. Pensavamo che salame fosse sinonimo di libertà. Per tutto ciò che è seguito, siamo noi i colpevoli… Certo, El’cin ha le sue responsabilità, ma anche noi…

Penso che tutto sia cominciato in ottobre. Nell’ottobre del ’93… Con l’‘ottobre di sangue’, l’‘ottobre nero’, il ‘Comitato per lo stato d’emergenza’… Così lo chiamano… Mezza Russia ha fatto un balzo in avanti, e l’altra mezza uno indietro. Nella grigia palude socialista. Nel maledetto ‘sovieticume’. Il potere sovietico non si arrendeva. Il parlamento ‘rosso’ rifiutava di sottomettersi al presidente. Così almeno la vedevo io allora… La nostra portinaia, che era appena arrivata dalla provincia di Tver’ e che io e mia moglie avevamo aiutato economicamente più di una volta, regalandole tutta la nostra mobilia quando avevamo ristrutturato l’appartamento, quel mattino in cui tutto cominciò, scorgendo il mio distintivo con la scritta El’cin, anziché augurarmi ‘Buon giorno!’, mi aveva detto malignamente: ‘Voi borghesi avete le ore contate’ e si era girata dall’altra parte. Non mi aspettavo tanto odio da parte sua. E per che cosa poi? La stessa situazione del ’91… In televisione avevo visto che la Casa Bianca era in fiamme, dai carri armati si sparava… I traccianti nel cielo… La stazione televisiva di Ostankino era stata assaltata… Il generale Makašov in berretto nero urlava: ‘Non ci saranno più né sindaci, né lord, né coglioni.’ E quanto odio… quanto odio… C’era aria di guerra civile. E di sangue. Dalla Casa Bianca il generale Ruckoj1 incitava alla guerra: ‘Aviatori! Fratelli! Decollate sui vostri aerei! Bombardate il Cremlino! E la sua banda!’ Di colpo la città si era riempita di armi da guerra. Di oscuri individui in tuta mimetica. E allora Egor Gajdar si era rivolto ‘ai moscoviti, a tutti i russi che avevano a cuore la democrazia e la libertà’… Tutto daccapo come nel ’91… Siamo arrivati… Sono arrivato… C’erano migliaia di persone… Ricordo che a un tratto mi sono messo a correre insieme a tutti.

Ho perso l’equilibrio e sono caduto su un cartello: ‘Via i borghesi dalla Russia!’ Subito mi sono immaginato che cosa sarebbe accaduto se il generale Makašov avesse vinto… Ho scorto un ragazzo ferito, che non riusciva a camminare, l’ho trascinato… ‘Tu da che parte stai? Dalla parte di El’cin o di Makašov?’ mi ha chiesto. Lui stava dalla parte di Makašov… Del nemico, quindi. ‘Ma vaffa’…’ ho inveito. Che dovevo fare? Di colpo ci eravamo divisi di nuovo in ‘bianchi’ e ‘rossi’. Accanto alle ambulanze giacevano decine di feriti. Tutti, chissà perché, lo ricordo chiaramente, portavano delle scarpe scalcagnate. Era gente semplice. Povera gente. Un altro mi ha domandato ancora: ‘Chi stai trascinando? È uno dei nostri o dei loro?’ Quelli che non erano ‘dei nostri’ li caricavano per ultimi, lasciandoli sull’asfalto a sanguinare… ‘Che fate? Siete impazziti?’ ‘Ma sono nostri nemici…’ Qualcosa era successo in quei due giorni tra la gente… Nell’aria qualcosa era cambiato… Accanto a me c’erano persone completamente diverse, che non c’entravano nulla con quelle che mi stavano allora vicino davanti alla Casa Bianca due anni prima. In mano avevano delle spranghe… dei mitra veri venivano distribuiti da un camion… Era la guerra! Facevano sul serio. Accanto a una cabina telefonica sistemavano i cadaveri… E anche loro avevano scarpe scalcagnate… Non lontano dalla Casa Bianca i caffè erano aperti, e come di consueto, c’era gente che beveva birra. I curiosi si sporgevano dai balconi per guardare ciò che avveniva, come a teatro. E in quel momento… Sotto i miei occhi, due uomini uscivano dalla Casa Bianca con un televisore in mano, dalle giacche dei loro giubbotti penzolavano delle cornette del telefono… dall’alto qualche sciacallo sparava allegramente. Forse dei cecchini. Puntavano agli uomini, o al televisore… Nelle strade non cessavano gli spari… (S’interrompe). Quando tutto è finito e me ne sono tornato a casa ho appreso che avevano ucciso il figlio della nostra vicina. Un ragazzo di vent’anni. Lui stava dall’altra parte della barricata… Una cosa era discutere con lui in cucina, un’altra finire ammazzato… Com’era potuto accadere? Non era questo che volevo… La folla… La folla fa paura, ha in sé qualcosa di spaventoso. Un uomo nella folla non è più lo stesso uomo con il quale stavi seduto a conversare in cucina. A bere vodka e tè. Non andrò più da nessuna parte e impedirò anche ai miei figli di farlo… (Tace.) Non so che cosa sia accaduto: stavamo difendendo la libertà o partecipavamo a un putsch militare? Ora ho dei dubbi… Centinaia di persone sono morte… E nessuno se le ricorda più, a parte i loro cari. ‘Guai a chi costruisce sul sangue.’2 (Tace.) E se avesse vinto il generale Makašov? Si sarebbe sparso ancora più sangue. La Russia sarebbe finita in rovina. Non ho risposte… Ho creduto in El’cin fino al ’93…

Allora i miei figli erano ancora piccoli, ora invece sono cresciuti. Uno è persino sposato. Qualche volta… sì… ci ho anche provato… Volevo raccontargli del ’91… del ’93… Ma ormai a loro non interessa più. Ti fissano con lo sguardo spento. L’unica domanda che ripetono è sempre la stessa: ‘Papà, come mai non hai fatto i soldi negli anni Novanta, quand’era facile?’ Dicono: Solo gli invalidi e gli stupidi allora non si sono arricchiti. Una razza di incapaci i nostri padri… di impotenti smidollati… Correvano da una manifestazione all’altra. Assaporavano la libertà, mentre la gente in gamba si spartiva il petrolio e il gas…”

“I russi sono vittime delle loro infatuazioni. Una volta si sono infatuati dell’ideologia comunista e si sono accaniti con fanatismo religioso a tradurla in realtà, poi si sono stancati e disillusi e hanno chiuso col vecchio mondo, scuotendosi di dosso la cenere. È così tipico dei russi fare tabula rasa. E daccapo ci stordiscono con quelle che a noi sembrano delle nuove idee. Avanti, fino alla vittoria del capitalismo! Presto vivremo come in Occidente! Sogni tinti di rosa…”

“Vivere ora è meglio!”

“Ma per alcuni è mille volte meglio.”

“Ho cinquant’anni… Cerco di non comportarmi da sovok, ma non mi riesce. Lavoro per un imprenditore privato e lo detesto. Sono contraria alla spartizione della torta sovietica, alla ‘privatizzazione da rapina’. Non mi piacciono i ricchi che vanno a vantarsi in televisione dei loro palazzi, delle loro cantine piene di vini… Se ne stiano pure ammollo nelle loro vasche colme di latte materno nei loro bagni d’oro. Ma perché devono mostrarceli? Non so vivere accanto a loro. È mortificante. Ormai non cambierò più. Ho vissuto troppo a lungo sotto il socialismo. Forse la vita oggi è migliore, ma è senz’altro più disgustosa.”

“Mi stupisco di quanti ancora si sentono martiri del potere sovietico.”

“Ma perché perdere tempo a discutere con i filosovietici? Basta aspettare che crepino e poi faremo tutto a modo nostro. Per prima cosa ci sbarazzeremo della mummia di Lenin e del mausoleo. Che cos’è questo asiaticume! Quella mummia che giace lì è come una maledizione che incombe su di noi… Come un malocchio…”

“Calma, compagno. Ora, lo sa, in giro si parla molto meglio dell’URSS rispetto a vent’anni fa. Sono stato da poco sulla tomba di Stalin e c’erano montagne di fiori. Di garofani rossi.”

“Hanno ammazzato un’infinità di persone, ma è stata una grande epoca.”

“Non mi piace quello che accade adesso, non mi entusiasma. Ma non voglio diventare un sovok. Non ho nostalgia del passato. Purtroppo, non mi ricordo niente di buono.”

“Io vorrei tornare indietro. Non ho bisogno del salame sovietico, ho bisogno di un paese dove un uomo sia un uomo. Prima si diceva la ‘gente semplice’ e ora il ‘popolino’. Avverte la differenza?”

“Sono cresciuto in una famiglia di dissidenti… In una cucina di dissidenti… I miei genitori conoscevano Sacharov, diffondevano i samizdat. Insieme abbiamo letto Grossman,3 Evgenija Ginzburg,4 Dovlatov… Ascoltavo ‘Radio Liberty’. E nel ’91, naturalmente, ero nella catena umana attorno alla Casa Bianca, pronto a sacrificare la vita purché non tornasse il comunismo. Tra i miei amici non c’erano comunisti. Il comunismo da noi era sinonimo di Terrore, di gulag. Di prigione. Pensavamo che fosse morto. Morto per sempre. Sono trascorsi vent’anni… Passo dalla stanza di mio figlio e scorgo sulla sua scrivania Il capitale di Marx, sulla libreria c’è La mia vita di Trockij… Non credo ai miei occhi! Che Marx stia tornando? È forse un incubo? Sto forse sognando? Mio figlio studia all’università, ha molti amici, ho orecchiato i loro discorsi. Bevono il tè in cucina e discutono del Manifesto del partito comunista… Il marxismo è di nuovo legittimato, è diventato un trend, un brand. Portano delle magliette coi ritratti di Che Guevara e di Lenin. (Con disperazione.) È come se non fosse accaduto mai niente. Tutto è stato vano.”

“Per rilassarci, vi racconto una barzelletta… C’è la rivoluzione. Nell’angolo di una chiesa le guardie rosse bevono e gozzovigliano, e nell’altro i loro cavalli brucano dell’avena e urinano. Il diacono corre dal parroco: ‘Padre, vede che cosa combinano nel sacro tempio?’ ‘Nessun problema. Si tratterranno un po’ e poi se ne andranno. Quando i loro figli cresceranno, allora sì che sarà un problema.’ Ed ecco che ora sono cresciuti…”

“Abbiamo un’unica via d’uscita: tornare al socialismo, ma a un socialismo di tipo ortodosso. La Russia non può vivere senza Cristo. Per i russi la felicità non coincide con il possedere tanto denaro. È ciò che distingue l’‘idea russa’ dal ‘sogno americano’.”

“La Russia non ha bisogno di una democrazia, ma di una monarchia. Di uno zar forte e giusto. Il primo pretendente al trono è la titolare della casa imperiale russa, la granduchessa Marija Vladimirovna, e poi i suoi eredi.”

“Berezovskij aveva proposto il principe Harry…”

“La monarchia è un delirio! Un decrepito rottame!”

“Un cuore che non crede è debole e vulnerabile dinanzi al peccato. Il popolo russo rinascerà nella ricerca della verità di Dio.”

“La perestrojka mi piaceva solo all’inizio. Se ci avessero detto che come presidente del paese avremmo avuto un tenente colonnello del KGB…”

“Non eravamo pronti per la libertà…”

“Libertà, fraternità, uguaglianza… Quei vampiri succhia sangue si sono nutriti di queste parole, di un oceano di parole.”

“Democrazia! Una parola contaminata in Russia. Il Putin democratico è la più folgorante delle barzellette.”

“In questi vent’anni abbiamo scoperto e imparato tanto su di noi. Abbiamo appreso che Stalin è il nostro eroe segreto. Metà paese continua a sognare Stalin… Se metà paese sogna ancora Stalin, Stalin ritornerà, non c’è dubbio. Hanno esumato dall’inferno tutti i malvagi: Berija, Ežov… Di Berija hanno cominciato a scrivere che è stato un brillante amministratore, vogliono riabilitarlo perché sotto la sua guida è stata creata la bomba atomica…”

“Abbasso i cekisti!”

“Chi sarà il nuovo Gorbačëv o il nuovo Stalin? Ricomincerà l’era della svastica? ‘Sieg Heil!’ La Russia è in ginocchio. È un momento pericoloso, la Russia non può essere umiliata tanto a lungo.”

Tempo di seconda mano: La vita in Russia dopo il crollo del comunismo
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