A PROPOSITO DI COME UNA SOLITUDINE POSSA SOMIGLIARE MOLTO ALLA FELICITÀ

Alisa Z., manager pubblicitaria, 35 anni

Ero andata a Pietroburgo inseguendo un’altra storia e sono tornata con questa. Una lunga conversazione in treno tra compagne di viaggio…

“Una mia amica si è suicidata. Era una donna forte, di successo. Aveva molti ammiratori, molti amici. Ma cos’è il suicidio? Un gesto di vigliaccheria o un atto di forza? Un progetto estremo, un grido d’aiuto o un sacrificio? Una via d’uscita… una trappola… un’esecuzione… Voglio… Posso spiegarle perché non lo commetterò mai…

Suicidarsi per amore? Questa possibilità non la prendo neppure in considerazione… Non sono contraria a tutte queste brillanti formule retoriche che suonano bene, ma lei è forse la prima persona in dieci anni a pronunciare davanti a me questa parola. Il XXI secolo: denaro, sesso e un paio di pistole, e lei mi parla di sentimenti… Tutti hanno cominciato a buttarsi sul denaro per la prima volta… Non ho mai sentito il desiderio di sposarmi, di mettere al mondo dei figli, ho sempre voluto fare carriera, la carriera veniva al primo posto. Ho stima di me stessa, apprezzo il mio tempo e la mia vita. E come le è venuta l’idea che gli uomini sono alla ricerca dell’amore? L’amore… Gli uomini considerano la donna una preda, un trofeo di caccia, una vittima e se stessi dei cacciatori. Sono regole assimilate da secoli. Quanto alle donne, sono in cerca di un principe affascinante, non sopra a un bianco destriero, ma sopra a un sacco d’oro. Un principe di età indefinita… Anche se potrebbe essere loro padre… Che importa? È la grana che fa girare il mondo! Non sono una vittima, sono io stessa una cacciatrice…

Ero frenetica, mi davo da fare, dicevo a me stessa: ‘Sei nata per essere felice, solo i deboli soffrono, la modestia è l’ornamento dei deboli.’ Sono venuta da Rostov… I miei genitori insegnano a scuola: papà è un chimico e mia madre insegna lingua e letteratura russa. Si sono sposati che erano ancora studenti, papà aveva un unico vestito decoroso, ma in compenso era pieno di idee e allora questo era sufficiente a far girare la testa a una ragazza. Amano rammentare che per tanto tempo hanno vissuto con un solo completo di lenzuola, un guanciale e un paio di pantofole. Si recitavano versi di Pasternak per notti intere. Conoscevano le sue poesie a memoria! Quando si ama, si è in paradiso, anche in un tugurio! ‘Fino a quando non congelavate’ dicevo io, ridendo. ‘Non hai neppure un po’ di fantasia’ si risentiva la mamma. Eravamo una tipica famiglia sovietica: il mattino kaša di farina d’avena o pasta condita col burro, e le arance una volta l’anno, a Capodanno. Ricordo persino il loro profumo. Quello di allora, non di adesso… Era il profumo di una vita diversa… più bella… D’estate trascorrevamo le vacanze sul Mar Nero. Andavamo a Soči, vivevamo come dei ‘selvaggi’, tutti insieme in una stanza di nove metri. Ma per qualche ragione ci si sentiva fieri… Fieri dei nostri libri preferiti che ci procuravamo sottobanco, attraverso conoscenze importanti e un’altra fonte di gioia erano i biglietti omaggio per le prime (un’amica della mamma lavorava in un teatro). Il teatro! L’eterno tema di tutte le conversazioni in compagnia di persone rispettabili… Ora parlano di lager sovietico, di ghetto comunista. Di mondo cannibalesco. Ma non ricordo niente di spaventoso… Ricordo solo che era un mondo ingenuo, molto ingenuo e goffo. Io l’ho sempre saputo che non avrei mai vissuto così! Che non volevo!!! Per questo per poco non rischiavo di essere espulsa dalla scuola. Ahi-ahi, per chi era nato in Unione Sovietica questo equivaleva a una diagnosi… A un marchio! Facevamo lezione di economia domestica, i ragazzi chissà perché imparavano a guidare l’auto, mentre le ragazze imparavano a friggere le polpette e quelle maledette polpette mi riuscivano sempre bruciacchiate. L’insegnante, una che ci teneva molto, si era messa a redarguirmi: ‘Non sai fare niente! Quando ti sposerai, come farai a cucinare per tuo marito?’ Io avevo reagito all’istante: ‘Non ho intenzione di friggere le polpette. Avrò una cameriera.’ Era il 1987 e avevo tredici anni… Altro che capitalismo, altro che cameriere! Eravamo ancora in pieno socialismo! Il direttore aveva convocato a scuola i miei genitori. Mi hanno biasimato davanti a tutta la classe e anche al consiglio dell’associazione scolastica. Volevano anche espellermi dai pionieri. I pionieri, il Komsomol allora erano cose serie. Ero scoppiata persino a piangere… Anche se allora non avevo canzonette per la testa, ma solo formule… Quando restavo da sola in casa, indossavo il vestito della mamma, le sue scarpe e me ne stavo seduta sul divano a leggere Anna Karenina. I balli di società, la servitù, le uniformi di parata… gli incontri amorosi… Mi piaceva tutto fino a quando Anna non si gettava sotto il treno: perché? Era bella, ricca… Per amore? Persino Tolstoj non mi convinceva… I romanzi occidentali mi piacevano di più, lì mi piacevano le megere, le affascinanti megere per cui gli uomini si sparavano, si tormentavano. Ai cui piedi si gettavano. A diciassette anni ho pianto per l’ultima volta per un amore non corrisposto: tutta la notte nel bagno con il rubinetto aperto. La mamma mi consolava con i versi di Pasternak… Li ricordo ancora: ‘Essere donna è un gran passo, / fare impazzire è un’eroica impresa.’1 Non amo la mia infanzia, né la mia adolescenza, non vedevo l’ora che passassero. Ho sgobbato come una pazza, mi allenavo in palestra. Dovevo diventare più veloce, più forte di tutti, superare tutti! A casa si ascoltavano le cassette con le canzoni di Okudžava: ‘Prendiamoci per mano, amici…’2 No! Non era questo il mio ideale!

A Mosca… Mosca! Avevo sempre percepito questa città come una rivale, fin dal primo istante aveva suscitato in me un senso di competizione. La mia città! Il suo ritmo frenetico, uno sballo! Uno slancio alle mie ali! In tasca avevo duecento dollari e qualche soldo sovietico. Niente di più! I temerari anni Novanta… Ai miei genitori non pagavano da un pezzo lo stipendio. La povertà! Papà ogni giorno cercava di persuadere me e la mamma: ‘Bisogna aver pazienza. Aspettare. Ho fiducia in Gajdar.’ Le persone come i miei genitori ancora non si rendevano conto che era cominciato il capitalismo. Il capitalismo russo… Giovane e dalla pelle dura, lo stesso che era crollato nel 1917… (Si fa pensierosa.) E ora lo capiscono? È difficile rispondere… Di una cosa sono sicura: il capitalismo i miei genitori non l’avevano chiesto. Non c’erano dubbi. Eravamo stati noi, io e quelli come me che non volevano più vivere in una gabbia, a reclamarlo. Persone giovani, forti come me. Per noi il capitalismo era come un’avventura eccitante, interessante, una sfida… Non era soltanto denaro. L’onnipotente dollaro! Ora le rivelerò un segreto! Preferisco leggere libri sul capitalismo, il capitalismo di oggi, piuttosto che i romanzi di Dreiser o i libri sul gulag o sulla penuria sovietica. O sui delatori. Ahi-ahi, ho toccato un tasto delicato. Con i miei genitori, si figuri, non posso neppure sfiorare l’argomento. Non posso dire una parola. Papà è rimasto un sovietico romantico. Nell’agosto del Novantuno… Durante il putsch… la televisione il mattino mandava in onda il Lago dei cigni e intanto a Mosca c’erano i carri armati, come in Africa… E papà, con sei o sette persone, tutti amici suoi, appena usciti dal lavoro, si è precipitato a Mosca… Ad appoggiare la rivoluzione! Io stavo seduta davanti al televisore… Ricordo El’cin sul carro armato. L’impero crollava… Crollasse pure… Aspettavamo il ritorno di papà come se fosse partito per la guerra, era tornato da eroe! Penso che tuttora viva di questo ricordo. Alla fine di questi anni, capisco che quello è stato l’avvenimento più importante della sua vita. Come per il nonno… che per tutta la sua esistenza aveva continuato a raccontare come avevano battuto i tedeschi a Stalingrado. Dopo la fine dell’impero la vita di papà è diventata noiosa, poco interessante, non ha niente per cui vivere. In generale, si sentono delusi… Lui e quelli della sua generazione… Vivono un doppio fallimento: è la stessa idea comunista a essere finita in pezzi, e ciò che è seguito dopo, è qualcosa di incomprensibile per loro, non l’accettano. Volevano qualcosa di diverso, e se proprio doveva essere capitalismo, almeno un capitalismo dal volto umano e dal sorriso attraente. Questo mondo non è il loro. Gli è estraneo. Ma questo è il mio mondo! Il mio! Sono contenta di vedere dei sovietici solo il Nove maggio, il Giorno della Vittoria. (Tace.)

Avevo raggiunto la capitale in autostop, era più economico. E più guardavo dal finestrino, più sentivo la rabbia montare, sapevo che non sarei mai più tornata da Mosca. Per nulla al mondo! Sui due lati della carreggiata era un vero bazar… Vendevano servizi da tè, chiodi, bambole, le persone venivano pagate in natura. Ferri da stiro e padelle venivano barattati con salame (nelle aziende di insaccati pagavano in salumi), cioccolatini e zucchero. Accanto a una pensilina dell’autobus sedeva una donna grassa tutta coperta di giocattoli come un albero di Natale. Sembrava il personaggio di un cartone animato! A Mosca diluviava, ma io ho raggiunto lo stesso la Piazza Rossa per vedere le cupole di San Basilio e le mura del Cremlino. Che potenza, che forza! E io ero qui! Proprio nel cuore del paese! Camminavo, zoppicando, prima della partenza in palestra mi ero rotta un dito del piede, ma avevo i tacchi e indossavo il mio abito più bello. Certo, il destino lo si costruisce con la fortuna, pescando la carta giusta, ma io ho fiuto e so che cosa voglio. L’universo non ti dà niente gratis… Ecco, prendi, è per te! È tuo! Bisogna volerlo davvero. E io lo volevo! La mamma si limitava a portarmi le frittelle fatte in casa e mi raccontava che lei e papà andavano alle manifestazioni dei democratici. E con le tessere davano mensilmente due chili di farina, un chilo di carne a testa e duecento grammi di burro. C’erano code, code dappertutto e distribuivano i numeri per le attese. Non mi piace la parola sovok!! I miei genitori non sono dei sovki, sono dei romantici! Degli scolaretti nella vita di tutti i giorni. Io non li capisco, ma gli voglio bene! Mi sono aperta la mia strada da sola… non sono vissuta nella bambagia… Ne ho di ragioni per amare me stessa! Senza lezioni private, senza soldi, né protezioni sono riuscita a entrare alla MGU. Alla facoltà di giornalismo… Al primo anno un mio compagno di corso, che si era innamorato di me, mi aveva chiesto: ‘E tu, sei innamorata?’ E io in risposta: ‘Sì, sono innamorata di me stessa.’ Tutto ciò che ho l’ho conquistato da sola. Da sola! Stare con i compagni non era interessante, a lezione mi annoiavo. A insegnare erano docenti sovietici che usavano manuali sovietici. Mentre intorno ferveva una vita che ormai non era più sovietica, una vita selvaggia, folle! Erano comparse le prime auto straniere a quattro porte: era entusiasmante! Il primo McDonald’s sulla Piazza Puškinskaja… I cosmetici polacchi… e le voci spaventose che circolavano secondo le quali sarebbero stati utilizzati per i defunti… La prima pubblicità in televisione, la pubblicità di un tè turco. Prima era tutto grigio, ma ora all’improvviso tutto aveva colori brillanti, erano comparse insegne sgargianti. Si voleva ogni cosa! Si poteva avere tutto! Potevi diventare ciò che volevi: brocker, killer o gay… Gli anni Novanta… per me benedetti… indimenticabili… L’epoca dei teorici paracadutati nella politica… dei banditi e degli avventurieri! Di sovietico restavano solo le merci, ma le persone avevano già altri programmi in mente… Purché ti dia da fare avrai tutto. Macché Lenin! Macché Stalin! Ormai erano alle spalle, davanti a te si spalancava un cammino fantastico: puoi vedere il mondo, vivere in un meraviglioso appartamento, scorrazzare su un’auto di lusso, mangiare a pranzo carne d’elefante… Per la Russia c’era solo l’imbarazzo della scelta… Si imparava di più e più in fretta nella strada e nelle serate d’incontri. Mi sono iscritta a dei corsi per corrispondenza e ho trovato lavoro in un giornale. La vita mi piaceva fin dal primo mattino.

Puntavo in alto… Ai gradini più alti nella scala della vita… Non sognavo di essere scopata in un androne o in una sauna e di essere portata per questo in ristoranti costosi. Avevo molti ammiratori… I miei coetanei non li degnavo di attenzione, con loro potevo socializzare, andare in biblioteca. Senza impegnarmi in legami seri e rischiosi. E mi piacevano gli uomini più vecchi, di successo, che si erano già fatti una posizione. Stare con loro era interessante, divertente e utile. E su di me… (Ride.) E su di me è rimasto impresso a lungo il marchio di ragazza di buona famiglia, che proveniva da una casa dove c’erano tanti libri; la cosa più importante da noi era la libreria e io attiravo l’attenzione di scrittori e artisti. Geni incompresi. Ma io non avevo alcuna intenzione di consacrare la mia vita a un genio che avrebbe ottenuto riconoscimenti dopo la morte e che gli eredi avrebbero amato teneramente. E poi tutte quelle discussioni mi annoiavano già quando vivevo a casa: il comunismo, il senso della vita, la felicità altrui… Solženicyn e Sacharov… No, questi non erano gli eroi del mio romanzo, ma di quello di mia madre. Quelli che leggevano e sognavano di volare, come il gabbiano di Čechov, erano stati sostituiti da quelli che non leggevano, ma riuscivano a volare. Tutta la serie di persone perbene del passato non valeva più nulla: samizdat, i discorsi bisbigliati in cucina. Che vergogna i nostri carri armati a Praga! Ma ci sono ormai stati anche a Mosca! Chi potrebbe stupirsene ancora? Anziché le liriche in samizdat, anelli con brillanti e abiti di grandi stilisti… Una rivoluzione dei desideri! Dei capricci!! Mi piacevano… Amo i funzionari e gli uomini d’affari… Il loro vocabolario m’ispirava: offshore, rollback. Network marketing, approccio creativo… Alle riunioni di redazione il redattore diceva: ‘C’è bisogno di capitalisti. Aiutiamo il governo di El’cin e Gajdar a creare i capitalisti. È urgente!’ Ero giovane… bella… Mi avevano mandato a intervistare questi capitalisti: com’erano diventati ricchi? Come avevano guadagnato il primo milione? Come mai da socialisti si erano trasformati in capitalisti? Bisognava raccontare questo… Chissà perché proprio il milione accendeva l’immaginazione collettiva. Guadagnare un milione! Eravamo abituati a sapere che un russo non desidera in teoria diventare ricco, anzi che lo teme. Ma che cosa desidera allora? Desidera sempre la stessa cosa: che nemmeno nessun altro diventi ricco. Più ricco di lui. Pigiami color lampone, catene d’oro… Questo è ciò che si vede al cinema… o nei serial televisivi… Quelli che ho incontrato io avevano una logica d’acciaio e un pugno d’acciaio. Il pensiero sistemico. Tutti avevano studiato l’inglese. Management. Gli accademici e i dottorandi emigravano all’estero… I fisici e i lirici… Ma questi… nuovi eroi… non volevano espatriare, a loro piaceva vivere in Russia. Era la loro ora! La loro opportunità! Volevano diventare ricchi, volevano tutto. Tutto!

E a questo punto l’ho incontrato… Credo di aver amato quest’uomo. Suona come una rivelazione, vero? (Ride.) Era più vecchio di me di vent’anni, aveva famiglia e due figli. Una moglie gelosa. Una vita passata al setaccio… Ma eravamo pazzi l’uno dell’altro, un vortice, un’incredibile ebbrezza e lui confessava di prendere due compresse di Tazepam il mattino per non scoppiare a piangere al lavoro. Anch’io compivo delle azioni folli, mi mancava solo di lanciarmi col paracadute. Accadeva tutto questo… è così che accade… Un periodo di fiori e cioccolatini… Non importa chi dei due inganna l’altro, chi dei due dà la caccia all’altro e che cosa si vuole. Ero piccola, avevo ventidue anni… Ero innamorata… innamorata… Ora capisco che l’amore è una sorta di business, in cui ciascuno si assume il proprio rischio. Sii pronta a nuove combinazioni… Sempre! Ora è raro che qualcuno si strugga per amore. Tutte le energie sono concentrate nel salto! Nella carriera! Da noi nella sala dove si fuma le ragazze blaterano, e quando qualcuna prova un sentimento vero la compiangono: che stupida, le dicono, si è fottuta. (Ride.) Stupida! Io sono stata una stupida, ma così felice! Lasciava libero l’autista, prendeva un’auto e scorrazzavamo in giro per la città notturna su una Moskvič che puzzava di benzina. Ci baciavamo senza sosta. ‘Ti ringrazio,’ mi diceva lui ‘mi hai riportato indietro di un secolo.’ Dei flash… Ero sconvolta dai suoi ritmi… dalla determinazione… La sera arrivava una telefonata: ‘Domattina voliamo a Parigi.’ oppure ‘Facciamo un salto alle Canarie. Ho tre giorni liberi.’ In aereo viaggiavamo in prima classe, sceglievamo gli alberghi più cari: sotto i nostri piedi c’era un pavimento di vetro in cui nuotavano pesci veri. E uno squalo vivo! Ma ciò che rammenterò per tutta la vita… è la Moskvič invasa dalla puzza di benzina. E ci baciavamo… come folli… prendeva per me la luna dal pozzo… Ero innamorata… (Tace.) Rendeva la vita una festa. A se stesso… a me: sì! Quando raggiungerò i quaranta, forse lo capirò… un giorno o l’altro capirò… Ecco, per esempio lui non amava gli orologi quando funzionavano, solo quando si fermavano. Aveva un suo rapporto speciale col tempo… Ecco! Sììì… Adoro i gatti. Amo i gatti perché non piangono, nessuno ha mai visto le loro lacrime. Se qualcuno dovesse incontrarmi per strada, penserebbe è ricca, felice! Ho tutto: una grande casa, un’auto costosa, dei mobili italiani. E una figlia di cui sono entusiasta. Ho una cameriera, non sono io a cuocere le polpette, posso comprare tutto ciò che voglio… montagne di cose futili… ma vivo da sola. Voglio vivere da sola! Non sto bene con nessun altro eccetto che con me stessa, amo parlare con me stessa… innanzi tutto di me stessa… Una compagnia perfetta! Ciò che penso… ciò che sento… Come vedevo le cose ieri e come le vedo oggi… Prima mi piaceva il blu e ora preferisco il lilla… In ciascuno di noi avvengono talmente tante cose. Dentro di noi c’è un universo intero, ma noi non gli prestiamo quasi attenzione. Siamo assorbiti dalle cose superficiali, esteriori… (Ride.) La solitudine è libertà… Oggi mi rallegro ogni giorno di essere libera: telefonerà, non telefonerà, verrà, non verrà? Mi lascerà, non mi lascerà? Non sono più problemi miei! No… non temo la solitudine… Ho paura… Di chi ho paura? Del dentista… (Sbotta all’improvviso.) Le persone mentono sempre quando parlano dell’amore… del denaro… mentono sempre per i motivi più vari. Io non ho voglia di mentire… Non ne ho voglia! (Si placa.) Mi scusi… Mi scusi davvero… Da tanto tempo non lo ricordavo più…

Il soggetto? È il solito eterno soggetto… Volevo da lui un figlio, sono rimasta incinta… Si sarà spaventato? Gli uomini sono tutti vigliacchi! Barbone o oligarca, non c’è nessuna differenza. Vanno in guerra, fanno la rivoluzione, ma in amore tradiranno. Una donna è più forte: ‘Fermerà un cavallo al galoppo, entrerà in un’isba che brucia.’3 Per la legge del genere… ‘Ma i cavalli continueranno a galoppare e le isbe a bruciare…’ ‘Un uomo non supera mai i quattordici anni d’età.’ Era la prima volta che mia madre mi dava un consiglio saggio. Ricordo che… era andata così… Gli avevo dato la notizia giusto prima di partire in trasferta, mi mandavano nel Donbass. Mi piacevano le trasferte, amavo l’odore delle stazioni e degli aeroporti. Era interessante quanto tornavo raccontargli tutto e discutere con lui. Ora capisco che non solo mi faceva scoprire il mondo, ma riusciva a sorprendermi e mi portava in giro per boutique da capogiro, mi copriva di regali e poi mi insegnava a pensare. Non perché lui si prefiggesse questo obiettivo, veniva da sé. Lo guardavo, l’ascoltavo. Neppure quando pensavo che saremmo stati insieme, non intendevo vivere alle sue spalle per sempre e vivere con noncuranza una vita glamour. Da non crederci! Avevo dei progetti di vita. Amavo il mio lavoro e ho fatto rapidamente carriera. Ho viaggiato molto… Una volta… volavo verso un villaggio di minatori: era una storia terribile, ma tipica di quei tempi. Avevano ricevuto in premio dei registratori e la notte un’intera famiglia era stata sgozzata. Non avevano rubato nulla, eccetto i registratori. Un Panasonic di plastica! E la scatola che lo conteneva! A Mosca circolavano auto di lusso, c’erano supermercati, ma oltre il Sadovoe Kol’co un registratore era ritenuto un oggetto prodigioso. I ‘capitalisti’ locali, quelli che sognava il mio redattore, giravano per strada portandosi dietro una scorta di artiglieri. E andavano in bagno con la guardia del corpo. E qui c’era un casinò, là un altro, c’erano casinò dappertutto. E qualche ristorantino privato. I famigerati anni Novanta… Ero rimasta in trasferta tre giorni. Al mio ritorno ci siamo incontrati. Da principio si era rallegrato: avremo un figlio, presto avremo un figlio! Aveva già due maschi e desiderava una femmina. Ma le parole… le parole… non significano nulla, dietro le parole ci si nasconde, le parole servono per difendersi. Gli occhi! I suoi occhi… I suoi occhi tradivano la paura: dovrò prendere delle decisioni, cambiare la mia vita. Ma ecco l’intoppo… Il fallimento. Ah! Ci sono uomini che se ne vanno subito, con le valigie dove hanno infilato i calzini ancora umidi e le camicie… E ci sono quelli come lui… Che non rinunciano alla scena… ‘Che cosa vuoi, dimmi… Che cosa dovrei fare?’ mi domandava. ‘Basta solo che tu dica una parola e io mi separo. Basta che me lo dici.’ Io lo fissavo…

Lo fissavo e mi si gelavano le punte delle dita, cominciavo a capire che non sarei mai stata felice con lui. Piccola e sciocca… Ora lo braccherò come si braccano i lupi, sapevo essere una predatrice e una pantera. E adesso so essere una donna d’acciaio! Ma allora sapevo solo soffrire. La sofferenza è come una danza, in essa ci sono il gesto, il pianto e la rassegnazione. Come nella danza… Ma c’è un segreto, un semplice segreto: non è bello essere infelici… è umiliante… Di tanto in tanto mi ricoveravano in ospedale perché non perdessi il bambino. Un mattino gli telefono e gli dico che devo preparare le mie cose, che all’ora di pranzo mi dimettono, e lui con voce assonnata: ‘Non posso. Oggi non posso.’ E non mi ha più richiamato. Quel giorno partiva con i figli per l’Italia per andare a sciare. Era il trentuno dicembre… L’indomani sarebbe stato Capodanno. Ho chiamato un taxi… La città era sommersa dalla neve, camminavo tra i cumuli di neve, tenendomi la pancia. Da sola. Non era vero! Eravamo in due, eravamo già in due. Io e la mia bambina… la mia piccolina… Mia! Adorata! L’amavo già più di ogni cosa al mondo! E lui l’amavo? Come in quella fiaba: erano vissuti a lungo e felici ed erano morti in un solo giorno. Soffrivo, ma non morivo: ‘Non posso vivere senza di lui. Morirò senza di lui.’ Forse non avevo mai incontrato prima un uomo così… Sì, sì, sì! Ma avevo imparato a perdere, non ho paura di perdere… (Guarda fuori dal finestrino.) Da allora non ho più avuto storie importanti… Ho avuto delle storielle… Fare sesso per me è facile, ma questo non c’entra, è un’altra cosa. Non mi piace l’odore degli uomini, non l’odore dell’amore, l’odore degli uomini. Quando sono in una stanza da bagno percepisco subito se c’è stato un uomo… Anche se usa il profumo più raffinato e fuma le sigarette più care… Mi sento inorridire quando penso a quanto lavoro bisogna fare per aver accanto un uomo diverso. Come in una cava di pietre! Bisogna dimenticarsi di se stesse, abdicare a se stesse, liberarsi di se stesse. Nell’amore non c’è libertà. Anche se troverete il vostro ideale, non avrà il profumo giusto, gli piacerà la carne arrosto e vi deriderà per le vostre insalate, lascerà i calzini e i pantaloni dove non deve. E bisognerà sempre soffrire. Soffrire?! A causa dell’amore… Non voglio più fare questa fatica, mi è più facile confidare in me stessa. Con gli uomini è più semplice fare amicizia e avere rapporti di lavoro. Anche di fare la civetta mi va di rado, non ho voglia di indossare questa maschera, di giocare. La spa, la french manicure, la ginnastica all’italiana. Il maquillage. Il trucco da combattimento… Mio Dio! Mio Dio! Ragazze di ogni buco di provincia… Ragazze di tutta la Russia – a Mosca! A Mosca! Dove vi aspettano ricchi principi! Sognano di venir trasformate da Cenerentole in principesse. L’attesa della fiaba! Del miracolo! Sono già passata attraverso tutto questo… Capisco le Cenerentole, ma le compiango. Non c’è paradiso senza inferno. Il paradiso da solo non esiste… Ma loro ancora non lo sanno… sono incapaci di vedere…

Sono trascorsi sette anni da quando ci siamo lasciati… Mi telefona, chissà perché mi telefona di notte. Le cose gli vanno male, ha perso molto denaro… dice di essere infelice… Ha avuto una ragazza giovane, poi un’altra. Propone di vederci… ma perché? (Tace.) Per tanto tempo ho sentito la sua mancanza, spegnevo la luce e me ne stavo seduta per ore al buio. Mi perdevo nel tempo… (Tace.) Poi… poi ho avuto solo dei flirt… Ma io… non potrei mai innamorarmi di un uomo senza soldi, che viene da un quartiere dormitorio. Di uno del ghetto, di uno di Harlem. Detesto chi è vissuto nella povertà e ha una mentalità da ‘povero’, per persone del genere il denaro conta talmente tanto che non è possibile fidarsi. Non amo i poveri, gli umiliati, gli offesi. Tutti i Bašmačkin e gli Opiskin…4 Gli eroi della letteratura russa… Non mi fido di loro! Che dire? Forse c’è qualcosa che non va in me… non rientro negli standard? Aspetti… Nessuno sa come è fatto questo mondo… Un uomo non mi piace per il suo denaro o almeno non solo per il suo denaro. Mi piace l’immagine complessiva di un uomo di successo: il suo modo di camminare, di guidare, di parlare, di farti la corte, in lui tutto è diverso. Tutto! Io li scelgo così… Per questo… (Tace.) Mi telefona… non è felice… Con tutto quello che ha visto, che può permettersi di comprare… Lui… e i suoi amici… I soldi li hanno già fatti… E tanti. Pazzi! Ma con tutti i loro soldi, non possono permettersi di comprare la felicità e neppure l’amore. Un povero studente riesce ad avere l’amore, ma loro no. Che ingiustizia! E a loro sembra di poter avere tutto: sui loro aerei privati raggiungono qualunque paese per vedere una partita di calcio, vanno a New York per la prima di un musical. Tutto è alla loro portata. Portarsi a letto la modella più bella, portare tutti a Courchevel, un intero aereo! Tutti abbiamo letto Gor’kij a scuola e sappiamo bene come i mercanti russi fanno i loro baccanali. Rompere gli specchi, finire con il muso dentro il caviale nero… far fare il bagno alle ragazze nello champagne… ma tutto gli è venuto a noia. Sono stufi. Le agenzie turistiche di Mosca offrono a simili clienti degli svaghi speciali. Per esempio, due giorni da trascorrere in prigione. La pubblicità li reclamizza così: ‘Volete provare a vivere per due giorni come Chodorkovskij?’ Li trasportano su un’auto della milizia con la grata a Vladimir nella prigione più spaventosa, gli fanno indossare una divisa da prigioniero, li inseguono per il cortile con i cani e li picchiano con dei manganelli di gomma. Veri! Li ficcano come aringhe in una cella fetida, puzzolente con il bugliolo. E loro si sentono felici. Provano emozioni nuove! Per tre, cinquemila dollari si può anche giocare a fare i ‘barboni’: gli aspiranti barboni si travestono, si truccano e vagabondano per le vie di Mosca a mendicare. A dire il vero, dietro l’angolo ci sono le loro guardie del corpo e quelle dell’agenzia. Esistono anche proposte più hard, per tutta la famiglia: la moglie si trasforma in prostituta e il marito nel suo pappone. Conosco una storia… Ad avere più clienti nell’arco di una sera è stata una volta la moglie dall’aspetto piuttosto modesto e un po’ sovietico di un ricchissimo pasticciere. E il marito ne era felice! Vi sono poi dei passatempi di cui non si fa neppure menzione nelle pubblicità turistiche… Assolutamente segreti… Si può organizzare anche una caccia all’uomo notturna. A uno sventurato barbone danno mille dollari: ecco, prendi i ‘verdoni’, sono tuoi! Lui non ha mai visto in tutta la sua vita una somma simile! E adesso fai la preda! Se ti salvi, vuol dire che era destino, se ti ammazzano, non prendertela. È andato tutto secondo le regole! Oppure si può prendere una ragazza per una notte… Sfogare su di lei tutte le proprie fantasie più basse e animalesche e fare cose che neppure al marchese De Sade sarebbero mai potute venire in mente! Sangue, lacrime e sperma!! E questo si chiama essere felici. Essere felici alla russa: finire in prigione per due giorni e poi uscirne per capire che si sta bene. Proprio bene! Comprare non solo auto, case, barche e poltrone da deputato… ma anche una vita umana… Sentirsi se non Dio, almeno un semidio… un superuomo! Eh, sì… E sono tutti nati in Unione Sovietica, provengono tutti da lì. Con la stessa malattia. Ed era così… così ingenuo quel mondo… sognavano di costruire un uomo buono… Promettevano: ‘Condurre con mano di ferro l’umanità verso la felicità…’ Il paradiso in terra.

Ho avuto una discussione con mia madre… Voleva lasciare la scuola: ‘Farò la guardarobiera. O la portinaia.’ Racconta ai bambini dei libri di Solženicyn… degli eroi e dei giusti… Le brillano gli occhi, ma ai bambini non brillano. La mamma era abituata a vedere che ai bambini di prima brillavano gli occhi mentre ascoltavano le sue parole, ma i bambini di oggi le dicono: ‘È davvero interessante sapere come vivevate, ma noi non vogliamo vivere così. Non sogniamo imprese eroiche. Vogliamo vivere in modo normale.’ Studiano le Anime morte di Gogol’. La storia di un manigoldo… Così ci insegnavano a scuola… Ma oggi i bambini che siedono in classe sono diversi: ‘Ma perché un manigoldo? Čičikov, come Mavrodi5 ha costruito una piramide dal nulla. È un’idea di business veramente geniale!’ Čičikov per loro è un eroe positivo… (Tace.) Mia madre non educherà mai mia figlia… Non glielo permetterò. A sentire lei un bambino dovrebbe vedere solo cartoni animati sovietici perché sono ‘umani’. Ma spegni il cartone ed esci per strada. Là fuori il mondo è completamente diverso. ‘Come sono contenta di essere già vecchia,’ ammette la mamma. ‘Posso starmene in casa, al sicuro.’ Mentre prima avrebbe voluto essere giovane per sempre: la maschera per il viso al succo di pomodoro, gli impacchi di camomilla per i capelli…

Da giovane mi piaceva cambiare, sfidare il destino. Ora no, ho già dato. Mia figlia sta crescendo e io penso al suo futuro. E occorrono i soldi! Voglio guadagnarli da sola. Non voglio chiederli a nessuno. A nessuno! Me ne sono andata dal giornale per lavorare in un’agenzia pubblicitaria dove pagano di più. Un bello stipendio. Le persone vogliono vivere bene, oggi è questa la cosa più importante per noi. E quella che preoccupa tutti. Accendete il televisore: scendono in piazza a manifestare… mettiamo pure che siano in decine di migliaia, ma dei bei sanitari italiani sono in milioni a comprarli. Dappertutto senti dire che la gente fa lavori e ristruttura i propri appartamenti e le proprie case. Viaggiano. Non è mai stato così in Russia. Noi non reclamizziamo soltanto delle merci, ma dei bisogni. Produciamo nuovi bisogni, insegniamo a vivere bene! Governiamo il nostro tempo… La pubblicità è lo specchio della rivoluzione russa. La mia vita è piena da scoppiare. Non ho intenzione di sposarmi… Ho degli amici, tutti uomini ricchi. Uno si è ‘ingrassato’ con il petrolio, un altro con i concimi minerali. Ci incontriamo per fare quattro chiacchiere. E sempre in ristoranti cari: ingresso in marmo, mobilio antico, quadri costosi alle pareti… portieri con la postura da possidenti russi… Mi piace stare fra arredi splendidi in bei locali. Un mio caro amico vive anche lui da single e non vuole sposarsi, gli piace stare da solo nella sua casa a tre piani: ‘Dormire in due la notte, ma vivere da soli.’ Di giorno ha la testa piena delle le quotazioni dei metalli non ferrosi alla Borsa di Londra. Rame, piombo, nichel… Tra le mani ha tre cellulari che trillano ogni trenta secondi. Lavora tredici-quindici ore al giorno. Senza giorni di riposo, né ferie. La felicità? Cos’è la felicità? Il mondo è cambiato… Oggi a essere sole sono persone di successo e felici, e non i deboli o i falliti. Loro hanno tutto: denaro, carriera. La solitudine è una scelta. Io voglio rimanere in pista. Sono una predatrice, e non una belva mansueta. Sono io a scegliere. La solitudine è molto simile alla felicità… Suona come una confessione… vero? (Tace.) Forse non volevo neppure raccontarlo a lei, ma a me stessa…

Tempo di seconda mano: La vita in Russia dopo il crollo del comunismo
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