DA ALCUNI ARTICOLI DI GIORNALI COMUNISTI
“Zinatov Timerjan Chabulovič è uno degli eroici difensori della Fortezza di Brest,1 che fu la prima a subire l’assalto dei contingenti hitleriani la mattina del 22 giugno 1941.”
“Di nazionalità tatara. Prima della guerra era stato allievo ufficiale (42° reggimento della 44° divisione di fanteria). Nei primi giorni della difesa della fortezza era stato ferito e fatto prigioniero. Per due volte aveva tentato di fuggire dai campi di concentramento tedeschi e la seconda volta con successo. Aveva concluso la guerra combattendo nell’esercito attivo così come aveva cominciato, ossia da soldato semplice. Per la difesa della Fortezza di Brest è stato decorato con l’ordine di secondo grado della Grande Guerra Patriottica. Dopo la guerra ha viaggiato in lungo e in largo per tutto il paese, lavorando nei cantieri dell’Estremo Nord alla costruzione della BAM e della Ferrovia Bajkal-Amur,2 e una volta in pensione, si è stabilito in Siberia. A Ust’-Kuta.”
“Benché Ust’-Kuta disti da Brest molte migliaia di chilometri, Timerjan Zinatov ogni anno tornava in visita alla Fortezza portando in dono delle torte ai dipendenti del museo. Lo conoscevano tutti. Come mai tornava così spesso alla fortezza? Lui e i compagni di reggimento, coi quali s’incontrava in quelle occasioni, si sentivano al sicuro solo tra quelle mura. Lì nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio che fossero dei veri eroi, e non degli impostori. Nessuno avrebbe osato aggredirli, dicendo: ‘Se non aveste vinto la guerra, ora potremmo berci della birra bavarese e vivere in Europa.’ Accidenti a voi, sostenitori della perestrojka! Ciò che i loro giovani detrattori non riuscivano a capire, dunque, era che se quei loro nonni non avessero vinto, il nostro sarebbe diventato un paese di domestiche e guardiani di porci. Hitler aveva sancito che, riguardo all’istruzione, bastava che i bambini slavi sapessero contare fino a cento…”
“L’ultima volta che Zinatov si è recato a Brest era il settembre 1992. Tutto era andato come sempre: s’era incontrato con i suoi ex compagni, si era aggirato nella fortezza. Certo doveva aver notato che il flusso dei visitatori era diminuito. Infangare il nostro passato sovietico insieme ai suoi eroi era ormai una moda…”
“Poi era venuto il momento della partenza… Il venerdì si era congedato da tutti, dicendo che per i giorni festivi sarebbe rientrato a casa. Chi avrebbe mai potuto pensare che quella volta era venuto alla fortezza per rimanerci per sempre?”
“Il lunedì i dipendenti del museo tornando al lavoro, hanno ricevuto una telefonata dalla polizia ferroviaria: un difensore della Fortezza di Brest, sopravvissuto alla carneficina del 1941, si era gettato sotto un treno…”
“Qualcuno in seguito si è rammentato di un vecchio con la valigia, dall’aspetto molto curato, che era rimasto a lungo sulla banchina. Gli avevano trovato addosso settemila rubli portati da casa per i suoi funerali e un biglietto scritto di suo pugno prima della morte in cui copriva di contumelie il governo El’cin-Gajdar per averli costretti a una vita umiliante e miserabile. E per aver tradito la Vittoria. E nel quale chiedeva di essere sepolto nella Fortezza.”
Dal biglietto scritto prima di morire
“… Se fossi morto in guerra per le ferite riportate avrei almeno saputo di essere morto per la Patria. Invece ora muoio per questa vita da cani. Scrivetelo pure sulla mia tomba… Non pensate che sia uscito di senno…”
“… Preferisco morire in piedi, anziché elemosinare in ginocchio un misero sussidio di vecchiaia ed essere costretto fino alla tomba a chiedere la carità. Così, egregi amici, cercate di mettervi nei miei panni e non giudicatemi troppo severamente. Lascio una somma che, se non mi verrà rubata, dovrebbe bastare per la mia sepoltura… Non c’è bisogno di nessuna bara… Bastano gli abiti che indosso, ma non dimenticate, per i posteri, di infilarmi in tasca l’attestato di difensore della Fortezza di Brest. Siamo stati degli eroi e moriamo in miseria! Conservatevi in salute, non amareggiatevi per il gesto di un tataro che dichiara a nome di tutti: ‘Muoio, ma non mi arrendo. Addio, Patria mia!’”
“Dopo la guerra nei sotterranei della Fortezza di Brest è stata rinvenuta un’iscrizione graffita sul muro con una baionetta: ‘Muoio, ma non mi arrendo. Addio Patria mia! 22-7-1941’. Per decisione del Comitato centrale questa frase è diventata il simbolo del coraggio del popolo sovietico e della sua dedizione al Partito comunista sovietico. I difensori della Fortezza di Brest sopravvissuti hanno assicurato che il suo autore è il tataro Timerjan Zinatov, un allievo ufficiale non iscritto al partito, ma gli ideologi comunisti hanno preferito attribuirla a un Soldato ignoto morto sul campo.”
“Le autorità municipali di Brest si sono assunte l’onere di pagare le spese del funerale. La sepoltura dell’eroe è rientrata nelle ‘spese correnti del bilancio comunale’.”
Partito comunista della Federazione Russa, Sistemnyj vzgljad, N° 5
“… Perché il vecchio soldato Timerjan Zinatov si è gettato sotto un treno? Per capirlo bisogna partire da lontano… Da una lettera inviata alla Pravda da Viktor Jakovlevič Jakovlev, dalla stanica Leningradskaja, nella regione di Krasnodar. Jakovlev aveva combattuto nella Grande Guerra Patriottica ed era stato un difensore di Mosca nel ’41. A Mosca aveva partecipato alla parata per commemorare il cinquantacinquesimo anniversario della Vittoria. A spingerlo a scrivere alla redazione era stato un senso di profonda offesa…
Poco tempo prima era andato a Mosca insieme a un amico (un ex colonnello), anche lui veterano del fronte. Per l’occasione avevano indossato la loro giacca da parata con tutte le decorazioni. Esausti dopo la giornata trascorsa nella caotica capitale, arrivati alla stazione Leningradskij,3 avevano cercato dove sedersi in attesa dell’arrivo del treno. Non trovando posti liberi, erano entrati in una sala quasi deserta con un bar e delle morbide poltrone. Immediatamente si era precipitata verso di loro una ragazza, che serviva le bevande nella sala, e aveva loro indicato sbrigativamente l’uscita: ‘Qui non potete stare. È una sala riservata alla business class!’ La lettera prosegue poi con queste parole: ‘Io ho replicato d’impulso: «Sta dicendo che ladri e speculatori sono ammessi, e noi no? Come un tempo in America, quando si proibiva l’ingresso ai negri e ai cani?» Cos’altro c’era da aggiungere? Era tutto chiaro. Abbiamo girato i tacchi e ce ne siamo andati. Ma avevo avuto il tempo di notare la presenza di alcuni cosiddetti uomini d’affari, in realtà furfanti che si abbuffavano, bevevano e berciavano… Ormai è stato dimenticato che noi in questi luoghi avevamo versato il nostro sangue. Tutti questi mascalzoni di Čubajs, Veksel’berg e Gref4 ci hanno tolto ogni cosa: i nostri soldi e il nostro onore. Il nostro passato e il nostro presente. Tutto! E ora arruolano nell’esercito i nostri nipoti per difendere i propri miliardi. E allora vorrei domandarvi: per cosa abbiamo combattuto? Perché abbiamo passato tutto quel tempo dentro le trincee, in autunno, con l’acqua che ci arrivava alle ginocchia e in inverno, nel gelo atroce, immersi nella neve, mesi interi con gli stessi indumenti addosso, senza mai poter dormire decentemente? A Kalinin, Jachroma, alle porte di Mosca… Là a nessuno sarebbe venuto in mente di dividerci tra ricchi e poveri…’
Certo, si potrebbe obiettare che il nostro veterano ha torto e che non tutti gli uomini d’affari sono ‘ladri e speculatori’. Ma cerchiamo di guardare il nostro paese postcomunista attraverso i suoi occhi… Quei nuovi arroganti padroni della vita, che provano disgusto per gli ‘uomini di ieri’, da cui emana, come scrivono le riviste glamour, ‘l’odore della miseria’. Lo stesso odore che, sempre secondo le suddette riviste, aleggia nelle grandi sale dove si tengono gli incontri celebrativi per il giorno della Vittoria, ai quali sono invitati una volta all’anno i veterani e dove vengono loro rivolti ipocriti discorsi elogiativi. E in effetti oggi nessuno ha bisogno di loro. Le loro idee di giustizia sono ingenue. E anche la loro dedizione al modello di vita sovietico…
All’inizio del suo mandato presidenziale El’cin aveva giurato che il tenore di vita della popolazione non si sarebbe abbassato, era disposto a giocarsi la testa, si sarebbe ‘disteso sui binari’ se ciò fosse accaduto. Il tenore di vita non solo si è abbassato, ma è sprofondato, per così dire, in un abisso. Ciò nonostante, El’cin non si è mai disteso sui binari. Ma a gettarsi sotto un treno per protesta è stato, nell’autunno 1992, il vecchio soldato Timerjan Zinatov…’
Sito della Pravda, 1997