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Nessuno reciterà la parte di Pete in una versione cinematografica della storia. Pete non è quello che si dice un eroe. Dopo la confessione, Pete e Rachel sono accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione e maltrattamento di minori. Ce n’è abbastanza per cinquant’anni di prigione.
E poi c’è il raid nella casa di Daniel. Una missione di salvataggio o una violazione di domicilio?
Ci vuole molto tempo per mettere in chiaro ogni cosa.
Una squadra di agenti federali impiega settimane per analizzare i documenti della Catena trovati nel computer di Ginger.
Ed è con grande coraggio che la famiglia Dunleavy dichiara alla polizia che Rachel ha preso Amelia con il loro consenso, visto il suo intento di porre fine alla Catena. Così si spiegano anche i soldi sul conto Bitcoin. Gli agenti non credono a una sola parola, ma è chiaro che in caso di processo i Dunleavy non testimonieranno contro gli imputati.
A questo punto l’opinione pubblica si è schierata con Rachel, Pete e tutte le vittime della Catena. Simpatia e compassione sono tutte dalla loro parte. È probabile che le accuse vengano ritirate. La procura del Massachusetts capisce da che parte soffia il vento. Rachel e Pete sono rimessi in libertà in attesa di ulteriori indagini. E senza la testimonianza della famiglia Dunleavy, con i media dalla loro parte e le graduali rivelazioni di tutte le imprese criminali di Ginger, gli avvocati dicono a Rachel che sembra improbabile si possa arrivare a un processo tanto costoso quanto impopolare. Rachel ha ucciso il mostro. La Catena è finita per sempre e tutti coloro che ne hanno fatto parte sono liberi.
Ovviamente i media si buttano sulla storia della Catena. Un giornalista del Boston Globe ne scopre le radici in una modalità di rapimento diffusa in Messico, in cui un famigliare dell’ostaggio può prendere il suo posto.
Le vittime della Catena sono centinaia, ma la paura di ritorsioni e le rappresaglie occasionali ma efferate hanno tenuto quasi tutto a tacere per anni.
Questo, almeno, è ciò che Rachel legge sui giornali come il Boston Globe. Sui tabloid e su internet ci sono ricostruzioni più sensazionalistiche. Ma per tutelarsi Rachel non legge i tabloid e da quando è stata liberata cerca in ogni modo di evitare il web.
Non concede interviste e tiene un profilo basso. Si limita a portare sua figlia a scuola e a preparare le lezioni di filosofia. E alla fine, grazie a queste strategie così poco diffuse nel ventunesimo secolo, riesce a ritirarsi nell’ombra.
Presto smette di essere un trending topic su Twitter e su Instagram. Qualche poveraccio prende il suo posto, per essere poi sostituito da un altro. Che poi verrà sostituito da un altro e così via.
A Newburyport continuano a riconoscerla – come potrebbe essere diversamente? – ma basta andare in un centro commerciale del New Hampshire o nella periferia di Boston per tornare anonimi, ed è ciò che preferisce.
Fine di marzo. Una domenica mattina di sole.
Rachel è a letto con il portatile. Cancella venti richieste di intervista dalla casella email e chiude il computer. Pete sta cantando sotto la doccia. Quanto è stonato!
Rachel sorride. Pete ha ripreso con successo il programma di disintossicazione e ha appena iniziato a lavorare come consulente per la sicurezza per un’azienda high-tech di Cambridge. Rachel va a piedi nudi in cucina, riempie il bollitore e lo mette sul fornello.
Dal piano di sopra arrivano i segnali di notifica dell’iPad di Kylie. È sveglia e se ne sta sotto le lenzuola a chattare con gli amici. Anche lei si è ripresa alla grande. Si sa che i ragazzini sono resilienti e sanno superare i traumi, ma è incredibile vedere come ha saputo reagire.
Alle otto arriva Stuart. Kylie lo abbraccia e lui rimane ad accarezzare il gatto, aspettando pazientemente che Kylie si prepari. Anche Stuart se la passa bene; di tutti loro è quello che sembra godersi di più l’attenzione mediatica. Escluso Marty, ovviamente. È andato varie volte in televisione per parlare di quello che ha passato. E ogni volta il suo ruolo nel salvataggio diventa sempre un po’ più eroico. Marty sfoggia una nuova fidanzata, la giovane Julie, e sembra convinto che tutti vivano in un film a lieto fine in cui anche la sua prima moglie, la malinconica Rachel, alla fine sarà conquistata dal suo fascino effervescente.
Rachel si siede a tavola e riapre il portatile, lasciando vagare i pensieri. Poi sfoglia Al caffè degli esistenzialisti di Sarah Bakewell e rimane un attimo a osservare una foto di Simone de Beauvoir con una spilla a forma di labirinto.
Chiude il libro e fa un cenno di saluto al dottor Havercamp che sta andando a togliere l’acqua dal fondo della sua barca.
«Vorrei iniziare la lezione con una barzelletta, Stuart. Dimmi come ti sembra questa. Un mio amico vuole aprire una libreria di testi di filosofia. E io: ’Scordatelo. È un’attività troppo Spinoza’.» Rachel è raggiante.
Stuart fa una smorfia.
«Non fa ridere?» chiede Rachel.
«Non so, forse non sono il più adatto per...»
«Quello che sta cercando di dirti, mamma, è che il tuo umorismo si rivolge a un’altra fascia generazionale», interviene Kylie, sporgendosi dal ballatoio.
Pete esce dalla doccia e scuote la testa. «Spero che il tuo piano B non sia darti al cabaret.»
«Andate tutti a quel paese!» sbotta Rachel, chiudendo di scatto il computer.
Quando sono tutti pronti, salgono in macchina. Dato che sono in anticipo per la scuola, si fermano al Dunkin’ Donuts sulla Route 1.
Rachel azzanna una sfoglia alle mandorle mentre Kylie e Stuart bisticciano sugli spoiler della terza stagione di Stranger Things. Sembra tornata la Kylie di una volta. Certo, la ferita e la tenebra non si cancellano. Non succederà mai. Sono diventate parti di lei, di tutti loro, ma Kylie ha smesso di bagnare il letto e i brutti sogni sono meno frequenti. Ed è già qualcosa.
«Questa funziona sempre. Quanti filosofi ci vogliono per cambiare una lampadina?» chiede Rachel.
«Mamma, per favore! Non la voglio neanche sentire!»
«Quanti?» chiede Stuart.
«Tre. Uno per cambiarla, e gli altri due per discutere se la lampadina esiste o meno», risponde Rachel. Almeno Pete sorride.
Rachel lascia i ragazzi a scuola e accompagna Pete alla stazione di Newburyport. Per il nuovo lavoro deve mettersi il vestito, una vera scocciatura. E non fa altro che aggiustarsi la cravatta.
«Non toccarla! Sei uno schianto!» gli dice sincera.
Quando arriva il treno, torna alla Volvo, va in città ed entra in una farmacia. Controlla che alla cassa non ci sia Mary Anne, che la conosce, e si infila nella corsia dove ci sono i test di gravidanza.
C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ne prende uno a caso e va a pagare.
La cassiera è una ragazza che sembra andare ancora alle superiori e che la targhetta identifica come Ripley. Sta leggendo Moby Dick.
Sembra ancora lontana dal punto dove compare la Rachele alla ricerca dei figli perduti. I loro sguardi si incrociano.
«A che capitolo sei arrivata?»
«Al settantasei.»
«Una volta una persona mi ha detto che tutti i libri dovrebbero finire al capitolo settantasette.»
«Magari! Questo non finisce mai. A proposito... se posso permettermi, dovrebbe prendere il Clearblue», dice la ragazza.
«Il Clearblue?»
«Con il FastResponse una pensa di risparmiare, ma c’è una percentuale più alta di falsi positivi.» Abbassa la voce. «Lo so per esperienza.»
«Allora vado a prendere il Clearblue», dice Rachel.
Paga il kit, va a bere un altro caffè allo Starbucks in State Street e torna a Plum Island.
Va in bagno, estrae il kit dalla scatola, legge le istruzioni, urina sopra lo stick e lo rimette nella scatola.
Fa un caldo insolito per marzo, così prende la scatola e va fuori, sedendosi sul bordo del deck con i piedi che dondolano sopra la sabbia.
C’è alta marea. L’odore del mare stordisce. Un airone bianco zampetta tra le canne alla ricerca di cibo mentre un falco vola a ovest verso la terraferma.
Barche. Pescatori di granchi. Un cane abbaia vicino al minimarket.
Rachel avverte la forza delle metafore: agio, stabilità, sicurezza.
Thoreau definì Plum Island lo «squallido Sahara del New England», ma oggi è cambiata.
Rachel guarda la scatola che ha in mano. La scatola che contiene due possibili futuri. Due futuri che rotolano verso di lei a sessanta secondi al minuto, sessanta minuti all’ora.
Un battito alla volta.
Sorride.
Andranno bene entrambi.
Qualunque futuro va bene.
Ha salvato sua figlia dalle tenebre.
Ha ucciso il mostro.
La aspettano milioni di sfide.
Ma ha riavuto Kylie.
Ha Pete.
È sopravvissuta.
La vita è fragile, fugace e preziosa.
E il solo fatto di vivere è già un miracolo.